Ex Ilva, i sindacati ritrovano l'unità e si scagliano contro l'azienda: «Crisi dilagante»

Ex Ilva, i sindacati ritrovano l'unità e si scagliano contro l'azienda: «Crisi dilagante»
Ex Ilva, i sindacati ritrovano l'unità e si scagliano contro l'azienda: ​«Crisi dilagante»
di Domenico PALMIOTTI
5 Minuti di Lettura
Venerdì 28 Luglio 2023, 05:00

Su Acciaierie d’Italia, ex Ilva, i sindacati metalmeccanici ritrovano l’unità dopo i dissidi degli ultimi mesi e provano a rilanciare con tre mosse. Nell’ordine, una campagna su problemi e carenze della fabbrica (i sindacati la chiamano di controinformazione e vedremo poi il perché ndc), un nuovo ciclo di assemblee con i lavoratori per meglio coinvolgerli, la continuità del pressing sul Governo.

L’obiettivo resta sempre quello di smuovere la politica e il Governo e cercare di avere le risposte sinora mancate. Ieri la riunione del consiglio di fabbrica ha segnato un primo ricompattamento di Fim Cisl, Fiom Cgil, Uilm e Usb dopo le divisioni. Che si sono manifestate sia nelle prese di posizione non unitarie, che sulla gestione delle questioni concrete.

I recenti dissidi

La più significativa, per esempio, è l’accordo di fine marzo sul rinnovo della cassa integrazione straordinaria per 3.000 dipendenti del gruppo, di cui 2.500 a Taranto. Fim e Fiom lo hanno firmato al ministero del Lavoro (e con loro anche altre sigle), mentre Uilm e Usb non ne hanno voluto sapere. Da qui sono poi partite le assemblee in fabbrica, che le organizzazioni hanno tenuto dividendosi. Fim e Fiom hanno difeso l’accordo, dichiarando che avrebbe permesso una gestione condivisa degli ammortizzatori sociali e consentito il pagamento dei ratei di tredicesima ai cassintegrati. Uilm e Usb hanno invece contestato l’intesa e sostenuto che il rinnovo della cassa era un “regalo” all’azienda, visto che non ha presentato il nuovo piano industriale, né indicato una direzione di marcia.

A giugno, quando la cassa é scaduta solo per Taranto e bisognava rinnovarla almeno sino a fine anno, la spaccatura di marzo é stata recuperata in quanto tutte le sigle hanno detto no alla proroga non essendoci garanzie sulla prospettiva.

Tant’è che fallito il negoziato al ministero del Lavoro, il Governo è corso ai ripari e infilando un articolo nel decreto sulla Pubblica amministrazione, ha rinnovato la cassa sino a fine anno eliminando anche il passaggio della consultazione sindacale preventiva. Cassa attualmente in corso sempre per 2.500 unità, anche se tuttora non ancora formalmente autorizzata dal ministero del Lavoro.

La controinformazione

Ma torniamo alle tre mosse dei sindacati. Perché i sindacati parlano di controinformazione? La loro attenzione, e di qui l’iniziativa che avvieranno, è nata dall’inserzione pubblicitaria fatta da Acciaierie d’Italia nei giorni scorsi su diversi quotidiani nazionali, con la quale si lancia l’evento del 28 settembre a Taranto riservato alla clientela dell’azienda. Un roadshow commerciale che si sta preparando sin da ora, il cui titolo sarà “Primary”. Per AdI servirà ad illustrare “le novità che caratterizzeranno la proposta commerciale del gruppo nel corso del prossimo anno” e la piattaforma di certificazione “Penisola steel”. La pubblicità dell’azienda ha colpito i sindacati. Per i quali “le inserzioni pagate da Acciaierie d’Italia sono soldi che l’azienda non sta erogando ai lavoratori. Non sono soldi dell’amministratore delegato, perché se così fosse non ci sarebbe nulla da dire, ma soldi sottratti ai lavoratori. E allora la controinformazione - si puntualizza - deve illustrare cosa è davvero oggi l’ex Ilva, in quale stato effettivo si trova, quali carenze l’assediano, in quali condizioni sono gli impianti, altroché immagine di azienda all’avanguardia”. Inoltre, nelle prossime settimane ci saranno assemblee con i lavoratori, iniziative di mobilitazione e volantinaggio. I sindacati ritengono che fare queste cose insieme “sia un valore”. C’è poi il pressing sul Governo. Davide Sperti, segretario Uilm, dice a Quotidiano che “il Governo, con l’ultimo intervento nel dl ‘Salva Infrazioni’, sostiene che vuole togliere ogni alibi a Mittal e quindi spingerlo a investire, ma quando deve davvero intervenire passando in maggioranza al 60 per cento in AdI? Quando deve cambiare la governance? Perché tra un po’ saremo davvero ospiti tutti, lavoratori e cittadini, dell’azienda”. Nel documento congiunto, Fim, Fiom, Uilm e Usb sostengono che “la situazione risulta totalmente fuori controllo”.

La posizione dei sindacati nazionali

Ma intervengono anche Fim, Fiom e Uilm nazionali e “ancora una volta” sollecitano “una risposta dal Governo evidenziando la drammaticità sociale ed industriale che potrebbe, in mancanza di un intervento immediato, precipitare irrimediabilmente in una crisi irreversibile”. “Denunciamo per l’ennesima volta lo stato dell’arte del più grande gruppo siderurgico italiano” affermano i sindacati, per i quali “il piano industriale posto alla base dell’accordo sottoscritto in sede ministero ex Sviluppo Economico il 6 settembre 2018 non è stato formalmente modificato ma nei fatti mai applicato, a partire dalla ripartenza dell’altoforno 5, fondamentale per il rilancio di Taranto e necessario per l’alimentazione di coils per tutti gli altri stabilimenti del gruppo”. Inoltre, proseguono i sindacati, “il potenziale livello produttivo di sei milioni di tonnellate annui non è stato mai raggiunto e per l’anno in corso forse si raggiungeranno, ancora una volta, poco più di tre milioni di tonnellate di acciaio”.

A ciò si aggiunga che “dal 2018, anno in cui è stato preso in carico da ArcelorMittal l’ex gruppo Ilva, non sono stati effettuati gli investimenti necessari a garantire la buona tenuta produttiva degli impianti ma principalmente le condizioni di sicurezza degli stessi. Complessivamente - evidenziano le sigle - gli stabilimenti hanno registrato un peggioramento delle condizioni impiantistiche e dello stato degli ambienti di lavoro”. Inoltre, “non sono mai state rese note le modalità di utilizzo e la destinazione dei 680 milioni di euro di fondi pubblici nonostante gli impegni dichiarati e non realizzati dall’azienda”. “Chiediamo al Governo che si assuma la responsabilità di decidere sul destino di oltre 20.000 lavoratori dell’ex Ilva e del suo indotto, dell’economia e dell’ambiente di interi territori da cui dipende e non lasciarlo nelle mani di una multinazionale che ha mostrato il disinteresse nel rilancio di Acciaierie d’Italia” concludono Fim, Fiom e Uilm nazionali. “Prima che sia troppo tardi, il Governo assuma la maggioranza nella gestione del gruppo”.

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