Marco Pantani 20 anni dopo, mito immortale. Il ricordo dei giovani di oggi: «Su Youtube il Pirata vola ancora»

Marco Pantani 20 anni dopo, mito immortale. Il ricordo dei giovani di oggi: «Su Youtube il Pirata vola ancora»
di Vincenzo MARUCCIO
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Mercoledì 14 Febbraio 2024, 00:22 - Ultimo aggiornamento: 09:21

“Papà, ma chi è questo Marco Pantani?”. “Un ciclista, staccava tutti in montagna e vinceva da solo”. “Lo trovo su TikTok?”. “Provaci, lo chiamavano il Pirata”.
I bambini di oggi non lo conoscono. Giusto quelli che corrono per una squadra e nel weekend fanno le gare: sempre meno, contati sulle dita di una mano, merce rara in città dove si fanno sempre più piste ciclabili, tutti hanno la mountain bike in garage ma in pochi distinguono lo Stelvio dal Pordoi. Oggi tocca a Mbappè e Lautaro tra miliardi e playstation: a ciascuno il suo tempo. Più star che eroi, più personaggi che miti. Per fortuna c’è Youtube e non tutto è perduto.
Pantani ci manca da 20 anni - quel maledetto 14 febbraio 2004 - quando se n’è andato tragicamente tra disperazione e depressione. Aveva 34 anni. Un uomo solo: così era stato descritto. Solo dentro di sè dopo che la squalifica per doping - forse ingiusta, sicuramente esagerata - gli aveva tolto serenità e amore per la vita. Mai solo fuori di sé, all’esterno: la famiglia, la Romagna dove era cresciuto e i tifosi avevano continuato sempre a stargli vicino. Eppure l’affetto non gli era bastato. Non poteva bastargli per risalire. Lui che ce l’aveva fatta mille volte: dopo un gravissimo infortunio, dopo la caduta per il gatto che gli aveva tagliato la strada, dopo la foratura a Oropa quando aveva rimontato tutti, uno ad uno, fino a vincere la tappa. In corsa sì, nella vita no.
La fine tragica alimenta il mito anche se il mondo del ciclismo è sempre rimasto incerto tra celebrazioni e certe ombre mai dipanate. Non come Alberto Tomba, Valentino Rossi e Federica Pellegrini (e ora Yannik Sinner) con l’effetto-idolo mai scalfito da dubbi. Sorrisi, abbracci e soldi a palate. Pantani, invece, no: eroe fragile come nei poemi omerici, solitario più che amico della porta accanto, la fatica negli occhi come è destino per gli scalatori. Campione controverso, ma riconosciuto. Da chi trascorreva i pomeriggi di maggio e giugno incollato ai televisori. Da chi è nato quando già non c’era più, ma era inevitabile “reincontrarlo” da qualche parte. In un vecchio filmato, nei ricordi in famiglia, su un poster con la bandana. 

Marco Pantani, i ragazzi di oggi

Enrico Ciccarese ha 11 anni, è di Copertino, in provincia di Lecce, e corre per la Leo Constructions Salis Bike di San Pietro Vernotico, nel Brindisino: «Mio padre mi ha trasmesso la passione per la bicicletta attraverso i successi di questo grande campione. Pantani è diventato motivo di ispirazione e mi sprona a dare sempre il meglio di me stesso in gara». Piccoli ciclisti crescono con il mito del Pirata. Stefano Castellano, 13enne di Martano, veste la maglia della Kalos Lecce: «Pantani è un punto di riferimento per chi ama questo sport. Anche se non ho avuto la fortuna di vivere direttamente le sue imprese sono andato a cercarmi le sue vittorie su internet e ne sono rimasto estasiato». Quante vittorie con le braccia alzate nei sogni di un ragazzino. Lui sorride e aggiunge: «Mi sono fatto dipingere un quadro di Pantani nella mia cameretta. Le sue fughe in salita resteranno nella storia».
Le fughe, appunto. Le fughe già diventate leggenda. Quella del Mortirolo nel 1994 che, scatto dopo scatto, lo fece entrare nella storia dalla porta principale: il principio di tutto. Quella di Plan di Montecampione quando, 4 anni dopo, schiantò Pavel Tonkov andandosi a prendere il Giro d’Italia. Quella sul mitico Galibier quando nel 1998, sotto la pioggia sferzante, se ne andò a vincere sfilando la maglia gialla a Jan Ullrich prima di conquistare il Tour de France. L’ultima, tra quelle indimenticabili, sul Mount Ventoux nel 2000 con Lance Armstrong che non riusciva a stargli a ruota.
Benedetto Youtube che ha reso immortali queste fughe con Adriano De Zan che urlava: «Ecco Pantani, si sfila la bandana, si alza sui pedali e parte». Le telecronache più amate, come quelle di Giampiero Galeazzi per i fratelli Abbagnale nel canottaggio. Sotto il sole cocente di giugno sulle Dolomiti, sotto il freddo di luglio alle Deux Alpes. Luoghi per sempre legati al Pirata. All’inizio del Mortirolo ci hanno fatto un murales. Sulle colline di Sant’Arcangelo dove andava ad allenarsi c’è il Vascone: un piccolo serbatoio-fontana dove si rifocillava dopo gli allenamenti. Nella sua Cesenatico, non lontano dalla piadineria di famiglia e dal Museo che porta il suo nome, c’è una statua a grandezza naturale con lui in sella alla bici.
«È stato l’ultimo di una razza estinta», disse Gianni Mura. Il coraggio di rischiare, di osare, di far saltare il banco. È la piccola, quasi impercettibile differenza tra un campione e un eroe. Il primo vince, il secondo vince e regala emozioni irripetibili. «Pantani ha fatto la storia di questo sport e per chi ama il ciclismo è l’idolo di tutti. A distanza di 20 anni dalla morte continua ad essere un modello perché le emozioni trasmesse non sono paragonabili ad altri corridori». A parlare è Cosmo Rausa, 18enne di Gallipoli: ha lasciato la Puglia per correre con il team Um Tools D’Amico e nello stesso tempo proseguire con gli studi. «Vivo a Urbino - dice - per continuare a sognare sui pedali. Le gesta del Pirata sono indelebili. Solo a parlare di lui mi vengono i brividi. Non mi stancherò mai di rivedere le sue vittorie in salita». 
Una volta si cominciava a correre in bici dopo aver visto Pantani in tv. Ora il suo nome è un’eco che risuona lontano e le immagini bisogna cercarle. Poi, per fortuna, non te ne liberi più. Lo cerca chi corre sull’asfalto, chi fa cross: la differenza poco importa. Stefano Principale, classe 2005, è di Bari e si è trasferito a Roccaforzata, in provincia di Taranto, per indossare la maglia della Pro Git Cyling Team: «Non ho avuto la fortuna di vedere direttamente Pantani e di assistere alle sue mitiche imprese, ma attraverso social, libri e riviste, ho rivissuto emozioni che solo pochi campioni possono trasmettere. Non sono uno scalatore puro, ma cerco di trarre ispirazione rivedendo quelle vittorie». 
Non c’è nessuno che, nel ciclismo moderno italiano, sia stato amato come lui. Moser e Saronni sono stati grandissimi, ma il mito è un’altra cosa. Bisogna tornare a Coppi e Bartali per trovare qualcosa di simile. Oggi tra i ragazzi va di moda il cross, ma se c’è il Pirata le cose cambiano. Andrea Marino, 18 anni, corre per la Polisportiva Cavallaro di Bisceglie, provincia Bat: «Quando ho cominciato ne conoscevo solo il nome, poi ho rivisto le sue grandi imprese. Un vero campione». Da Bisceglie - dove il ciclismo è tradizione - arriva anche Leonardo De Toma, 15 anni e stessa squadra: «Pantani mi ha conquistato subito. Mi sono documentato e ho scoperto un campione unico. Come partiva lui dalle ultime posizioni in gruppo e superava tutti non ne ho più visti».
Come lui nessuno mai. Pantani unico anche nella sua fragilità, «di cristallo» come è stato detto in questi giorni. Dicono che, con la faccenda dell’ematocrito oltre la soglia, abbia pagato per tutti: difficile sapere la verità. Dicono che sia stato ingiustamente massacrato dal “sistema” (giornali compresi) ed è la verità. Quando gli chiesero il suo segreto lui rispose: «Vado forte per accorciare il tempo della fatica, per soffrire di meno». Una fuga vuol dire ritrovarsi soli. Anzi, quanto più soli, in cima alla salita, meglio è. Tra due ali di folla che non ti abbandonano mai, il fiato sul collo che ti spinge in vetta. «Non sono mai stato sereno, ma sono fatto così e devo sempre ritrovare me stesso in bici», disse nella sua ultima intervista. Gli tolsero la bici e quando a fine carriera non lo invitarono al Tour fu l’inizio della fine: come se dai sospetti sulle vittorie non potesse più liberarsi. Le imprese epiche velatamente messe in discussione. Un peso insopportabile, più forte di ogni affetto che pure continuava a circondarlo.
“Papà, ce l’ho fatta, ho trovato Pantani sul telefonino. Vinceva più di Cristiano Ronaldo, dici che ci faranno un videogioco?”. “Forse sì, se lo meriterebbe”. “Correva tra le nuvole, per questo è arrivato in cielo prima degli altri. Ora finalmente si potrà riposare”. “Forse no. Prima o poi scatterà anche lassù”. 
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