«Ho visto Maradona»: il sogno di generazioni di tifosi e appassionati e le lacrime per l'addio al più grande di tutti i tempi. Una vita di eccessi, a partire dal talento

«Ho visto Maradona»: il sogno di generazioni di tifosi e appassionati e le lacrime per l'addio al più grande di tutti i tempi. Una vita di eccessi, a partire dal talento
di Giovanni CAMARDA
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Giovedì 26 Novembre 2020, 09:47 - Ultimo aggiornamento: 10:31

Chissà oggi, nell’epoca dei tecnici giochisti, come lo avrebbero affrontato, con quale alchimia avrebbero cercato di contenerlo, limitarlo, schermarlo. Ai suoi tempi, invece, la soluzione praticabile era solo una: appiccicargli addosso uno svelto e rude, per tutta la partita, e votarsi a un santo, uno qualsiasi, secondo devozione, tranne San Gennaro, dichiaratamente di parte. Cercare di togliergli il respiro era quello che immancabilmente facevano anche gli allenatori del Lecce che lo affrontarono negli anni di Napoli, dal primo (Fascetti) all’ultimo (Boniek), passando soprattutto per Mazzone, l’unico a battere i partenopei approfittando però dell’unica assenza di Diego negli otto confronti di serie A dal 1985 al 1991. Sette volte Maradona in campo ma nessun gol contro i giallorossi in un diluvio di assist, per Carnevale, De Napoli o Alemao. E puntualmente tutto ruotava attorno alla marcatura del diez per antonomasia, preso ora da Enzo ora da Garzya, l’ultimo giallorosso suo avversario diretto, un mastino nel pieno dell’esuberanza atletica contro un pibe già appannato dagli eccessi, gonfio, corrucciato, distratto da pensieri cupi. Del resto, nel suo caso, l’eccesso era una forma esistenziale, in campo e fuori, tanto che probabilmente a un certo punto deve essersi convinto di non avere alcun limite e che il genio del suo sinistro gli avrebbe consentito di affrontare e risolvere qualunque problema, si trattasse del Milan o della Juve, della dipendenza da cocaina o da alcol, di un rapporto sentimentale al crepuscolo, di un figlio in più o in meno, di un’amicizia compromettente.

È così che ha vissuto ed è in fondo naturale che allo stesso modo se ne sia andato, ancora facendo scalpore, dopo l’ennesimo allarme, un’altra corsia d’ospedale e un’ultima operazione, che pareva perfettamente riuscita.

Come tutte le altre, anche quelle per recuperarlo a un aspetto decente da fattezze imbarazzanti per uno sportivo, un fuoriclasse. In questa versione semplicemente il più grande di tutti, come oggi dovrebbe riconoscergli anche Pelé, l’unico veramente degno di stare al suo livello, solo un gradino più in basso. La verità è che nemmeno il brasiliano può essere considerato all’altezza di Maradona, a prescindere dagli inevitabili distinguo su stagioni di riferimento palesemente differenti e sulla infinitamente più credibile carriera di Diego, straordinario ovunque gli sia capitato di mostrarsi, Argentina o Europa, Spagna o Italia.

Nessuno, in realtà, è stato decisivo come quel bambino che teneva incollato al suo sinistro un pallone di stracci davanti ad una casupola sgarrupata; nessuno ha avuto la forza, l’estro, la personalità per rendere vincenti squadre altrimenti normali o poco più, come quel Napoli del doppio scudetto o la nazionale albiceleste campione in Messico nell’86, con l’indimenticabile (per motivi diversi) doppietta all’Inghilterra, l’opera omnia di Maradona condensata in cinque minuti. In quei due gol c’è tutto Diego, il suo essere oltre le regole, con la faccia tosta che s’inventa la mano de dios, ma anche con la genialità incommensurabile di quella serpentina senza fine, così fuori dagli schemi, dalla logica, dall’immaginabile. Semplicemente fuori dal mondo reale.

Se n’è andato appena sessantenne, ma anche questa in fondo è una valutazione scorretta in quanto “normale”, perché poi i suoi sessant’anni valgono almeno tre vite: gli inizi, i trionfi e infine la parabola più tormentata, lunga e sofferta, fino alla fine. Ma non sufficiente ad oscurare tutto il resto, quello che Maradona è stato e ciò che ha regalato al pianeta, a chiunque abbia avuto il privilegio di ammirarlo mentre inventava un calcio che diversamente non ci sarebbe mai stato. Peccato che tanta ammirazione non sia bastata per convincerlo a darsi un finale meno triste e solitario, manco l’avesse preconizzato Osvaldo Soriano. Ma, d’altro canto, un’uscita di scena diversa non sarebbe stata coerente con la sua vita.

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