Il rapporto Svimez, tutti i nodi del Sud: il cambiamento climatico penalizzerà il Sud più del Centro-Nord. Emigrazione: la grande fuga

Il rapporto Svimez, tutti i nodi del Sud: il cambiamento climatico penalizzerà il Sud più del Centro-Nord. Emigrazione: la grande fuga
di Giuseppe ANDRIANI
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Mercoledì 6 Dicembre 2023, 06:35 - Ultimo aggiornamento: 7 Dicembre, 14:37

Il cambiamento climatico fa più paura al Sud che al Nord. E i divari territoriali in senso esteso sono tutt'altro che diminuiti. La ripresa del Mezzogiorno, dopo la pandemia, è fin troppo fragile: l'incremento dell'occupazione non basta ad arginare la povertà come emergenza sociale e la crescita del Pil è solo un'illusione temporanea, per non parlare della grande occasione del Pnrr, su cui è evidente un ritardo dei Comuni del Sud. E ancora: l'emigrazione giovanile ha cambiato pelle ed è un'urgenza sempre meno rinviabile per le regioni del Mezzogiorno. Il report annuale della Svimez (Associazione per lo sviluppo dell'Industria nel Mezzogiorno) disegna un quadro a tinte scure, a tratti scurissime. I problemi sono molteplici e a quei nodi quasi storicizzati - vale a dire il lavoro, il reddito, le politiche industriali e i divari di genere - se ne aggiunge un altro: il cambiamento climatico. 
Il 50esimo rapporto è stato presentato ieri a Roma e ha lanciato, come sempre, una serie di spunti su cui riflettere, mettendo in dubbio anche il concetto stesso di ripresa del Mezzogiorno dopo la pandemia e la crisi economica. Appena qualche giorno fa il Censis rilevava come la paura per gli effetti del "clima pazzo" fosse più marcata al Sud. «Il cambiamento climatico colpisce diversamente le regioni, con la Sicilia a maggior rischio desertificazione (70% del territorio minacciato da insufficienza idrica), seguita da Molise (58%), Puglia (57%) e Basilicata (55%). Le temperature più elevate hanno effetti economici differenziati tra Nord e Sud, con le regioni settentrionali che potrebbero vedere un aumento del Pil (+0/2%) e il Sud una significativa riduzione (-1/3%), con picchi superiori al -4% in Campania e Sicilia», scrive Svimez. Per altro anche il boom di Puglia, Campania e Sicilia nella capacità installata per le rinnovabili nasconde «la sotto-dotazione manifatturiera e la dipendenza strategica dalle importazioni asiatiche nel comparto delle tecnologie verdi (pannelli, turbine e biocarburanti), che nel 2022 sono raddoppiate (+104%) a 22 miliardi a livello europeo». Detto altrimenti: così come si può diventare un polo produttivo strategico se manca personale formato? Sarebbe, invece, una grande opportunità.

Tutti i nodi del Sud

Il report dell'Associazione spariglia le carte sul tavolo: diversi i nodi da affrontare. A partire dall'economia. Se è vero che «la dinamica del Pil italiano nel biennio 2021-2022 si è mostrata uniforme su base territoriale» e che «l’economia del Mezzogiorno è cresciuta del 10,7%, più che compensando la perdita del 2020 (–8,5%)» è altrettanto vero che «la novità di una ripartenza allineata tra Sud e Nord sconta però l’eccezionalità del contesto post-Covid per il tenore straordinariamente espansivo delle politiche di bilancio e la diversa composizione settoriale della ripresa». E cioè: al Sud il contributo dell'industria alla ripresa è stato quasi marginale: 10 punti percentuali contro i 24,5 del resto del Paese. 
Le urgenze maggiori, secondo Svimez, restano però lo spopolamento del Sud e il contesto lavorativo precario nel Mezzogiorno. Due emergenze che si intrecciano e dialogano tra loro. «Dal 2002 al 2021 hanno lasciato il Mezzogiorno oltre 2,5 milioni di persone, in prevalenza verso il CentroNord (81%). Al netto dei rientri, il Mezzogiorno ha perso 1,1 milioni di residenti. Le migrazioni verso il 5 Centro-Nord hanno interessato soprattutto i più giovani: tra il 2002 e il 2021 il Mezzogiorno ha subìto un deflusso netto di 808 mila under 35, di cui 263 mila laureati», spiega il rapporto. Ma non è tutto: è cambiato nell'ultimo anno anche il profilo degli emigranti. Sono sempre più spesso i laureati ad andare via dal Sud. E soprattutto: si spopolano a una velocità maggiore i piccoli centri distanti dai capoluoghi, dove evidentemente le opportunità sono di meno. Eppure l'occupazione è in ripresa. Ma Svimez risponde con decisione a questa obiezione de facto: "La crescita della povertà tra gli occupati conferma che il lavoro, se precario e mal retribuito, non garantisce la fuoriuscita dal disagio sociale". Sedici operai del Mezzogiorno su cento vivono comunque una situazione di povertà assoluta. E allora l'occupazione, se fragile e mal retribuita (aumentano, per altro, soprattutto i contratti a tempo), non serve a portare il Sud fuori dal tunnel.
All'orizzonte si intravedono un paio di opportunità: il Pnrr e la Zes Unica.

Ma su entrambe le prospettive, Svimez lancia un monito. «Si evidenzia la necessità di una riflessione più ampia sull'approccio del Pnrr, considerando le difficoltà delle amministrazioni meridionali (e non solo) nel reperire risorse a causa di carenze progettuali e attuative. La competizione tra le amministrazioni locali, attraverso il sistema dei bandi, sembra aver portato a un processo di attuazione incerto, suggerendo l'importanza di interventi decisi per rafforzare la governance territoriale negli enti con minore capacità amministrativa». E la Zes unica, invece, rappresenta un indubbio vantaggio potenziale «ma rischia di produrre effetti limitati se non sarà pienamente integrata nelle politiche industriali nazionali e regionali e nelle più ampie strategie di sviluppo del Paese». 

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