Al Sud i disoccupati sono sotto il milione

Al Sud i disoccupati sono sotto il milione
di Nando SANTONASTASO
5 Minuti di Lettura
Sabato 21 Ottobre 2023, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 09:09

Sono ancora tanti, troppi, soprattutto nella fascia di età più giovane, tra i 15 e i 24 anni. Ma sono anche al di sotto della soglia psicologica del milione di unità. Non accadeva da tempo immemore che i disoccupati del Sud scendessero a 986mila persone, con un calo più modesto (-1,5%) rispetto alla media nazionale (-5%) ma anche con la conferma che lo spostamento non è episodico o contingente. È uno degli effetti del dinamismo dell’economia meridionale nel 2022, proseguito anche nella prima metà dell’anno in corso come documentato dagli ultimi dati di Srm, la Società di studi e ricerche sul Mezzogiorno, che ha aggiornato il suo Bollettino economico al secondo trimestre 2023. «La spinta del post Covid che sembrava destinata a raffreddarsi per le conseguenze della guerra in Ucraina e l’aumento dell’energia e delle altre materie prime sembra in realtà proseguire, sia pure a un ritmo leggermente inferiore. Si intravede insomma una certa tendenza al recupero del Mezzogiorno che peraltro era emersa anche da altri monitoraggi delle scorse settimane», spiega Salvio Capasso, responsabile economico di Srm.

L'occupazione


In effetti, il tasso di occupazione ha continuato a crescere portandosi al 41,9% e consolidando il superamento per oltre 300mila unità della soglia altrettanto psicologica dei 6 milioni, mentre il tasso di disoccupazione è calato attestandosi al 13,5% e quello femminile in particolare è sceso rispetto al secondo trimestre 2022, passando da 16,6% a 15,8%. Sono progressi non più marginali come in passato anche se le distanze dalle medie Italia e del Centro-Nord restano ancora vistose, specie per i giovani, come evidenziato solo pochi giorni or sono dall’Istat. C’è un Sud che perde pezzi a livello demografico tra fughe al Nord o all’estero e denatalità ma che investe ormai stabilmente più della media nazionale (43% contro 40%). E che ormai rappresenta con 1 milione e 729mila imprese attive il 33,8% del totale nazionale (fino a 15 anni fa non si andava oltre il 25%), con un significativo incremento delle società di capitale (+2,9%) che peraltro non compensa la frenata delle ditte individuali (-1,8%) e delle società di persone (-3,9%). È un Mezzogiorno nel quale ancora fino a metà 2023 il rimbalzo maggiore tra i settori produttivi si registrava nelle costruzioni mentre il calo maggiore tra le imprese attive si era manifestato nell’agricoltura e subito dopo nella manifattura e nel commercio. È probabile che nel secondo semestre 2023, complice il peso dell’inflazione e dell’aumento dei tassi Bce, molti valori dovranno essere rivisti al ribasso (lo si capirà meglio alla presentazione del Rapporto Svimez prevista per la fine di novembre) ma non sembra che si possa profilare all’orizzonte un nuovo incremento del divario, specie sei i cantieri previsti dal Pnrr saranno effettivamente aperti e soprattutto non si fermerà l’attrazione degli investimenti nelle Zes, prima che si passi alla Zona economica speciale unica per tutto il Mezzogiorno prevista nel 2024.

Gli indicatori


Un indicatore utile in tal senso a capire che Sud farà è quello relativo al commercio con l’estero. «Al II trimestre 2023 – spiega Srm - il Mezzogiorno ha registrato un interscambio commerciale (import + export) con l’estero pari a 70,2 miliardi di euro, in calo dell’1,3% rispetto all’analogo dato del 2022; le importazioni sono state pari a 37,1 miliardi (-3,5%) e le esportazioni pari a 33 miliardi (+1,3%)”. Un dato quest’ultimo che fa ben sperare (anche se si resta lontani dalla media nazionale) perché due terzi delle imprese produttive meridionali esportano sui mercati esteri (pressoché in linea con la media nazionale) ma in Campania si raggiunge il 70%. Inoltre, quasi il 30% delle imprese (27% nel Mezzogiorno, 28% in Campania e 29% mediamente in Italia) ricava dai mercati esteri oltre il 40% del fatturato. Ma il dato export va letto anche in rapporto alla quota di imprese manifatturiere del Mezzogiorno che, come detto, hanno realizzato investimenti nell’ultimo triennio maggiori del dato medio nazionale, attestandosi al 43% contro il 40%. L’Abi ha già dimostrato che per quantità di prestiti a famiglie e imprese il Sud è la macroarea del Paese più vivace in assoluto pur dovendo scontare un livello ancora alto di rischiosità nell’accesso al credito bancario e una conosciuta debolezza intrinseca. Ma non è trascurabile che gli investimenti di carattere innovativo delle imprese del Sud stiano diventando stabilmente superiori al dato nazionale (44,6% contro 41,8%). Un’indagine condotta su un campione di 700 imprese manifatturiere, sempre da Srm, dimostra altresì che «anche le prospettive d’investimento future delle imprese meridionali si mantengono migliori rispetto a quelle delle imprese del resto del Paese». E questo vale per gli investimenti in digitale (la crescita media nel prossimo triennio è stimata al 10,6% per le imprese del Mezzogiorno contro l’8% a livello nazionale); per gli investimenti in innovazione sostenibile (10,1% contro 7,4% mediamente in Italia); e per gli investimenti in formazione e ricerca (9,2% contro il 7% in Italia).

Alla luce di tutto ciò si può capire perché anche un piccolo taglio delle percentuali sulla disoccupazione può fare notizia senza dimenticare che il Sud ha il triplo dei senza lavoro del Nord, che ci sono ancora 20 punti di distanza tra gli occupati del Sud e quelli del Settentrione e che per le donne il lavoro resta ancora un miraggio, qui più che nel resto del Paese. Non a caso la quota femminile dei Neet è ancora la più alta in assoluto.

© RIPRODUZIONE RISERVATA