Medici no vax, nello scontro governo-Regione la soluzione è lontana. Cosa dicono le leggi

Medici no vax, nello scontro governo-Regione la soluzione è lontana. Cosa dicono le leggi
di Francesco G. GIOFFREDI
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Giovedì 3 Novembre 2022, 06:45 - Ultimo aggiornamento: 11:39

Se non è un caso unico, è senz’altro raro. Perché si sovrappongono e intrecciano in un vero e proprio groviglio leggi, decreti, norme costituzionali, atti amministrativi, piani di prevenzione vaccinale, sentenze della Corte costituzionale. Una matassa che potrebbe districare probabilmente la Consulta, ma sollecitata solo da una questione di legittimità sollevata nel corso di un causa davanti ad altro giudice, e sempre che governo e Regione non arrivino in tempi stretti a un comune punto di chiarezza. Improbabile, stando ai toni di queste ore.
La materia del contendere è ormai nota: da una parte il governo ha anticipato di due mesi, e con decorrenza da ieri, lo stop all’obbligo di vaccinazione anti-Covid per il personale sanitario, eliminando anche la misura della sospensione; dall’altro lato la Regione difende invece a scudo alto e ritiene tuttora in vigore la legge approvata dal Consiglio regionale nel marzo 2021, che rende necessaria la vaccinazione per poter lavorare nelle strutture sanitarie o comunque nei reparti più a rischio. Il punto di rottura è tutto qui: le nuove disposizioni nazionali “decapitano” la norma regionale? O possono convivere? Una risposta netta e univoca forse non c’è, ma è possibile comunque mettere in fila tutti gli elementi e fare un po’ di chiarezza. Con una postilla politica, dato che lo scontro tra governo e Regione rischia di assumere proprio questa sfumatura: Palazzo Chigi ha modificato le disposizioni vigenti anche per lanciare un segnale di discontinuità con la passata gestione dell’emergenza; e la Regione si appunta sul petto la virtuale medaglia di prima duellante con il governo Meloni. Non solo: Michele Emiliano è ora un assertore dell’obbligo vaccinale per il personale sanitario, nel 2021 viceversa non partecipò al voto in aula (non fu l’unico). Con ordine, allora.
 

La prima legge del 2018

Quattro anni fa, dunque prima della pandemia, il Consiglio regionale vara la legge (la n°27/2018) che estende di fatto l’obbligo – per i vaccini previsti all’epoca dal Piano nazionale di prevenzione – a tutto il personale sanitario. Attenzione: non un obbligo in senso stretto, che non spetta fissare alla Regione, ma l’individuazione «dei reparti dove consentire l’accesso ai soli operatori che si siano attenuti alle indicazioni del Piano nazionale di prevenzione vaccinale». La legge prevede pure sanzioni pecuniarie e la trasmissione degli atti all’Asl di appartenenza per «l’assunzione dei provvedimenti». A stretto giro fu anche emanato un regolamento che entrava nel dettaglio dei reparti “sensibili” inibiti agli operatori non vaccinati, e perciò presumibilmente destinati ad altra collocazione. 


La sentenza della Consulta

La legge regionale del 2018 venne impugnata dal governo Conte, ma la Consulta salvò la normativa pugliese (relatore della sentenza era la futura ministra Marta Cartabia). Dettando una serie di principi oggi senz’altro preziosi, alla luce del dirompente conflitto in corso: le disposizioni regionali «possono essere ricondotte all’ambito dell’organizzazione sanitaria, parte integrante della competenza legislativa regionale» che la Regione «ha esercitato non introducendo obblighi vaccinali di nuovo conio e, comunque, non imponendo obbligatoriamente ciò che a livello nazionale è solo suggerito o raccomandato»; la previsione di sanzioni amministrative pecuniarie poi «non eccede dalle competenze regionali». Insomma: a differenza di ciò che riteneva il governo, la Regione si era mossa sotto la copertura dell’articolo 117 della Costituzione, e dunque nel solco delle cosiddette materie concorrenti oltre che del Piano nazionale di prevenzione vaccinale.

Piano che indica per gli operatori sanitari specifiche vaccinazioni «in forma di raccomandazione», ma «nella pratica sanitaria - scrivevano i giudici - la distanza tra raccomandazione e obbligo è assai minore di quella che separa i due concetti nei rapporti giuridici». Punti a favore della Regione.


La legge regionale del 2021

Tre anni più tardi, a marzo 2021 e in piena emergenza epidemiologica, il Consiglio regionale sceglie di integrare la legge del 2018 estendendo “l’obbligo” per il personale sanitario anche alla vaccinazione anti-Covid, a patto che «sia prescritta in forma di obbligo o raccomandazione (ndr: ricordate la Corte costituzionale, poco sopra?) dalla legislazione statale, ovvero contenuta in disposizioni normative statali eccezionali e d’emergenza, oppure sia prevista da atti amministrativi nazionali diretti a favorire la massima copertura vaccinale e per questo aventi efficacia integrativa del Piano nazionale di prevenzione vaccinale».


Su cosa poggia la legge?


L’estensione Covid della legge pugliese non è stata impugnata dal governo, anche perché appena un mese dopo sarebbe arrivata analoga norma nazionale: il decreto legge n°44/2021, che parla(va) di «obbligo» e di «sospensione dal diritto a svolgere prestazioni o mansioni che implicano contatti interpersonali», dando così ulteriore copertura alla legge pugliese. E qui c’è la prima trappola: venuto meno l’obbligo nazionale, cosa accade alla norma regionale? Non può decadere automaticamente, perché è antecedente e non rimanda in modo diretto alla successiva legge nazionale. La norma pugliese, evocando le «raccomandazioni del Piano nazionale di prevenzione vaccinale», si rifà invece a una cornice più ampia e tuttora valida, non compromessa dalle ultime decisioni del governo Meloni, dato che il Piano è in vigore.


Gli effetti e i dubbi


Tutto risolto? Non proprio. Innanzitutto perché all’atto pratico la legge pugliese innesca un involontario cortocircuito, determinando un trattamento differente per gli operatori pugliesi non vaccinati, soprattutto se non adeguatamente assegnati a mansioni diverse e non a rischio, e incidendo in materia di profilassi (che è esclusivamente nazionale). Sempre la Corte costituzionale, nel febbraio 2021, ha poi bocciato una legge della Val d’Aosta sul contenimento della pandemia, spiegando che la Regione non può andare oltre il binario dell’articolo 117 della Costituzione, che quella materia è «profilassi» ed è esclusiva dello Stato, e che «i piani di vaccinazione devono svolgersi secondo i criteri nazionali che la normativa statale abbia fissato».


Palla alla Corte. Ma come?


Il governo non può più impugnare la legge pugliese: avrebbe dovuto farlo nei 60 giorni successivi alla pubblicazione. Potrebbe essere allora un giudice, durante una causa, a sollevare la questione di legittimità costituzionale e a coinvolgere la Consulta. Ma è di tutta evidenza che lo scontro, ora, è sfociato nella guerriglia politica.


Il voto nel 2018 e 2021


A proposito di politica. Contro la legge pugliese del 2018, promossa da Amati, votarono i cinque stelle, non presero parte al voto Emiliano, tre consiglieri di centrosinistra, il centrodestra (quasi tutto: Franzoso invece appoggiò la norma). Tre anni dopo, Emiliano ancora una volta fuori dalle operazioni di voto, pur presente da remoto ai lavori, così come il centrodestra, il cinque stelle Galante, la pd Maurodinoia, due civici (Stea e Stellato).

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