Si è pentito il boss della Camorra Francesco Schiavone (Sandokan): il caso dei rifiuti tombati nel Salento

Si è pentito il boss della Camorra Francesco Schiavone (Sandokan): il caso dei rifiuti tombati nel Salento
di ​Andrea TAFURO
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Sabato 30 Marzo 2024, 07:46

Il boss della camorra campana, Francesco Schiavone, capo indiscusso del clan dei Casalesi e custode di importanti segreti, dopo 26 anni di prigione, ha deciso di collaborare con la giustizia. "Sandokan", soprannome attribuitogli per la somiglianza con l'attore dell'omonimo sceneggiato televisivo, avrebbe deciso di collaborare con la giustizia anche perché malato. Dopo le verifiche compiute dalla Direzione nazionale antimafia (Dna), il 70enne è stato trasferito dal carcere di Parma a quello dell'Aquila, nella stessa struttura in cui è stato destinato anche il boss della mafia Matteo Messina Denaro, per poter essere curato.

L'arresto e l'attività criminale: chi è Schiavone

Schiavone, arrestato nel luglio del 1998 e da allora recluso al regime del 41 bis, è il cugino del pentito Carmine Schiavone, morto nel 2015 all'età di 72 anni, dalle cui dichiarazioni partirono le indagini sui rifiuti arrivati in Campania dal Nord Italia e che sarebbero poi stati spostati dalla "Terra dei fuochi" per essere interrati dalla criminalità organizzata anche nel Salento con la complicità della Sacra corona unita (Scu). Un business che secondo le rivelazioni del collaboratore di giustizia, sarebbe stato orchestrato da Francesco Schiavone assieme all'altro boss Francesco Bidognetti. Di fatti, anche grazie a quelle rivelazioni fornite agli inquirenti dell'epoca, si arrivò all'operazione "Spartacus" del dicembre 1995 con 143 ordinanze di custodia cautelare; tra gli arrestati anche diversi amministratori locali e imprenditori.

Il caso Salento

Il caso approdato alla Commissione bicamerale di inchiesta sui rifiuti nel 1997, finì per interessare anche il sud Salento, tirato in ballo dalle dichiarazioni di Carmine Schiavone, che dal'86 all'88 aveva scontato il "soggiorno obbligato" ad Otranto, intessendo però relazioni con i referenti della malavita salentina. «So per esperienza - raccontò Schiavone al presidente di Commissione che gli chiedeva dettagli sulla nostra regione - che, fino al 1992, la zona del Sud, fino alle Puglie, era tutta infettata da rifiuti tossici provenienti da tutta Europa e non solo dall'Italia. C'erano discariche nelle quali si scaricavano sostanze che venivano da fuori in base ai discorsi che facevamo negli anni fino al 1990-1991». Frasi che risuonarono con un forte campanello d'allarme per il territorio, con la Procura leccese che intervenne con l'allora procuratore generale Giuseppe Vignola e il procuratore capo Cataldo Motta. Nel 2005 poi, Elsa Valeria Mignone, all'epoca sostituto procuratore, avviò una serie di accertamenti sulla scorta delle dichiarazioni di un pentito salentino, Silvano Galati, di Supersano, che almeno in una prima fase non portarono riscontri. Nei successivi accertamenti eseguiti dalle forze dell'ordine nei territori di Casarano e dell'hinterland, vennero alla luce ampie discariche tombate tra gli anni 80 e 90, senza però riuscire a risalire agli autori o ad eventuali collegamenti con la camorra campana, come raccontato nelle dichiarazioni dei pentiti. «I rifiuti interrati furono trovati durante i lavori sulla strada statale 275, ha ricordato Mignone - a seguito di alcune segnalazioni e analisi che portarono a rilevare inizialmente un calore anomalo fuoriuscire dal terreno e poi ad individuare le discariche. Episodio di cui informammo anche la Regione. Al contrario le dichiarazioni fatte da Galati non portarono a nulla, anche perchè non fu in grado di indicarci esattamente il sito. Scovammo quindi solo rifiuti locali: erano discariche degli anni 90, mantenute in piedi con ordinanze contingibili e urgenti da vari comuni, poi smantellate e sotterrate. Dalle mie indagini - ha concluso l'attuale procuratore aggiunto alla procura della Repubblica di Lecce - non è emerso nessun elemento per dire che questi rifiuti venissero da fuori».
 

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