Finocchiaro: «Autonomia? Il ddl non potrà funzionare senza il federalismo fiscale»

Finocchiaro: «Autonomia? Il ddl non potrà funzionare senza il federalismo fiscale»
di Paola ANCORA
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Mercoledì 17 Gennaio 2024, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 09:03

Presidente di “Italiadecide”, associazione fondata anche da Carlo Azeglio Ciampi che si occupa della qualità delle politiche pubbliche nel nostro Paese, Anna Finocchiaro, siciliana di Modica, ha trascorso la maggior parte dei suoi 68 anni al servizio della cosa pubblica, prima come magistrata, poi dal 1987 come parlamentare e ministra nei governi di centrosinistra di Romano Prodi prima e Paolo Gentiloni poi. 


Finocchiaro, ieri è cominciata al Senato la discussione del ddl Calderoli sull’autonomia differenziata. Insieme a Violante, Amato, Pajino, Bassanini, Gallo, anche lei ha scelto di lasciare il Comitato Lep lo scorso giugno. Perché e che cosa pensa di questo ddl?
«La premessa è che nel Paese esistono larghi strati di popolazione che - vuoi per delusione nei confronti dello Stato, vuoi per orgoglio di sé, delle proprie capacità amministrative - questa aspirazione all’autonomia la nutrono davvero e non lo possiamo ignorare. Ma tale legittima aspirazione non può che svilupparsi in coerenza con il sistema costituzionale e con riguardo alle disparità e agli squilibri evidentemente presenti nel Paese. Il ddl Calderoli sull’autonomia differenziata sconta quindi un errore “alla nascita”: quello di pensare che l’autonomia possa esistere senza prima aver attuato il federalismo fiscale. Così com’è il ddl Calderoli verrebbe finanziato con l’attuale criterio della spesa storica, cristallizzando le disparità. Non potrebbe funzionare. L'autonomia, come previsto dall'ultimo comma dell'articolo 116 della Costituzione, ha senso se le Regioni e i Comuni se ne fanno carico con tributi propri, se cioè il federalismo fiscale è operante. Questo aspetto è rimasto inattuato e, oggi, è stato saltato a piè pari».


Perché? Per malizia politica? Tanto più che il “padre” del federalismo fiscale, previsto dalla legge 42 del 2009, è sempre Calderoli. 
«Certo, oggi i lavori sono condizionati da malizia politica, lo sanno benissimo tutti che quel ddl non può funzionare, che aggraverebbe le diseguaglianze, ma è ormai una battaglia identitaria e per loro conta soltanto raggiungere il risultato. Il guasto di accentuare le diseguaglianze esiste tutto. Un tentativo di riparazione, in seno alla commissione per la definizione di Lep, è stato fatto, ma la verità è che non si è voluto inseguire l’ambizione più alta: ovvero costruire realmente il sistema dei Livelli essenziali delle prestazioni, ridisegnare il modello del welfare e su quello innestare l'autonomia, così da garantire a ciascun territorio la libertà e la responsabilità di auto-finanziarsi.

Questa partita, peraltro, è aggravata da un altro nodo».


Quale?
«L'articolo 116 ultimo comma della Costituzione stabilisce che sono previste “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia concernenti le materie di cui al terzo comma del 117”. A una lettura laica della Carta, emerge quindi che l'autonomia consiste nel trasferimento di alcune funzioni nell'ambito delle materie elencate dal 117: con il ddl Calderoli l’articolo è stato interpretato prevedendo il trasferimento di intere materie. Con il che, per esempio, potremmo assistere al trasferimento in blocco delle competenze su energia e istruzione solo per il tramite di intese fra Stato e Regioni e con un iter che prevede che il Parlamento possa dire soltanto sì o no senza emendare il testo e senza poter prevedere ordini del giorno vincolanti rispetto ai contenuti di quelle intese. Con questa furbizia, potremmo finire per vedere stravolto il nostro sistema di ripartizione della potestà legislativa sulla base di una semplice intesa, “intoccabile” dal Parlamento. E questo potrebbe avvenire su temi importantissimi come quelli che ho citato».


Presidente Finocchiaro, da destra tuttavia invitano il centrosinistra a smettere i panni della “verginella”: questa l'espressione utilizzata proprio su queste pagine dal parlamentare di Fratelli d'Italia Ignazio Zullo. La modifica del Titolo V è stata approvata durante il Governo D'Alema, le intese con le Regioni sono state siglate dal Governo Gentiloni. Insomma esiste una responsabilità del centrosinistra? Dopo oltre 20 anni, non sarebbe stato necessario un “tagliando” alla riforma del Titolo V?
«Zullo dice una cosa vera: la riforma del Titolo V è stata approvata durante il Governo D'Alema, ma abbiamo anche provato a correggerla con la riforma costituzionale di Renzi. Sono stati loro a opporsi e lavorare perché quella riforma venisse bocciata al referendum. Direi dunque che siamo 1 a 1, palla al centro. Ora il tema è riconoscere alle Regioni, che hanno assunto un’importanza crescente, una rappresentanza politica nelle istituzioni rappresentative nazionali. Inoltre l’autonomia, preceduta dall’attuazione del federalismo fiscale, può contribuire a far crescere il Paese, può essere un motore di spinta non solo economica, ma anche di cambiamento della Pubblica amministrazione, può riaccendere la passione civica valorizzando le identità territoriali, può rispondere ai nuovi bisogni emersi nel corso di questi anni, ma bisogna farla bene. Peraltro le intese che furono firmate da Gentiloni non prevedevano certamente il trasferimento di intere materie, ma di singole funzioni e il dominus restava lo Stato. C’è poi un’altra furbizia». 


Quale?
«Sono stati talmente “bravi” che, in questa confusione, hanno già messo nero su bianco il passaggio relativo al trasferimento di intere materie alle Regioni: comma 791 della legge di bilancio 2022. Si dà esattamente questa interpretazione dell'articolo 116 della Carta, che per essere modificata - come ben sanno anche loro - necessita di una procedura aggravata. Non lo si può fare con una legge ordinaria».


Fratelli d'Italia insiste per il premierato, la Lega per l'autonomia. Ritiene siano due idee conciliabili per una architettura dello Stato solida, giusta, efficiente?
«Mi pare che il dibattito nella maggioranza sia confuso e contraddittorio. Da una parte gli statalisti che vorrebbero un centro di autorità unico e, dall'altra, i sostenitori dell’autonomia purché sia. Nessuno di loro si preoccupa delle contraddizioni evidenti in un simile quadro». 


E come finirà?
«Difficile dirlo con le elezioni che incombono. Peraltro il premierato ha in sé una previsione preoccupante».


Ce la sveli.
«Prevede che nel caso in cui il presidente eletto non ottenga la fiducia della Camera, il subentrante possa essere scelto solo fra gli eletti delle liste che appoggiavano il presidente e ne condividevano il programma. Il primo errore è che se la Camera nega la fiducia al capo del Governo, la nega necessariamente anche al suo programma. E inoltre una simile previsione di legge lega le mani al Capo dello Stato, che non ha libertà di scelta: deve individuare il successore in un ventaglio ristretto di nomi. Abbiamo un solo precedente di epoca pre-repubblicana nella legge istitutiva del Gran Consiglio del Fascismo del dicembre 1928. All’articolo 13 recitava così: “Il Gran Consiglio, su proposta del Capo del Governo, forma e tiene aggiornata una lista di nomi da presentare alla Corona per la nomina, in caso di vacanza del primo ministro”. Tanto è vero che dopo Mussolini fu scelto Badoglio. L’unico precedente di questa formulazione bizzarra del premierato che prosciuga i poteri del Capo dello Stato è questo e non riguarda, ripeto, la storia repubblicana». 


Torniamo al ddl Calderoli. Se lei avesse per 48 ore il potere di decidere cosa fare dell'autonomia, quali decisioni prenderebbe?
«Valuterei se è possibile attuare il federalismo fiscale, impresa ardua in tempi di vacche magre. Individuerei i Livelli essenziali delle prestazioni: ci vorrebbe molto tempo, ma sono decisivi per disegnare un welfare più giusto. Farei quanto è necessario per mantenere una connessione sentimentale con il Paese intero, attuando l’autonomia secondo giustizia. Nessuna riforma può funzionare se non rispetta i principi cardine della Costituzione repubblicana: giustizia, uguaglianza, coesione».
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