L'autonomia/ Galli Della Loggia: «Con il regionalismo il Sud non è cresciuto»

L'autonomia/ Galli Della Loggia: «Con il regionalismo il Sud non è cresciuto»
di Alessandra LUPO
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Mercoledì 20 Settembre 2023, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 21 Settembre, 19:58

«L’errore? Cambiare il titolo V della Costituzione allargando l’autonomia delle Regioni e ponendole sullo stesso piano dello Stato». Ernesto Galli Della Loggia, storico, saggista ed editorialista, non ha dubbi sul fatto che la riforma regionalista sia un errore che ora rischia di peggiorare con l’autonomia. Il motivo? «Le Regioni di autonomia ne hanno avuta fin troppa e non sempre hanno saputo utilizzarla al meglio. Soprattutto al Sud».


Crede che ci sia bisogno di fare il punto sul regionalismo prima di pensare a una riforma autonomista?
«Penso che aver cambiato il testo della Costituzione nel 2001 sia stato sbagliato, perché ha posto Comuni, Province, Regioni e Stato sullo stesso piano. Poi sono state introdotte tutta una serie di materie su cui esiste in astratto una legislazione concorrente, il che ha moltiplicato le trattative su ogni questione minimamente importante con la conseguenza di allungare i tempi e trovare sempre soluzioni di compromesso: tutto il processo decisionale e politico italiano è handicappato non solo dal punto di vista dei tempi ma anche dei contenuti, perché questi sono sempre frutto di compromessi. E le decisioni basate sul compromesso sono raramente delle buone decisioni».

Sulle materie in cui le Regioni hanno autonomia le cose vanno meglio?
«A mio avviso, soprattutto le Regioni del Sud, non hanno fatto buon uso di questa autonomia. Come mai dopo 30 anni di autonomia regionale siamo a questo punto? Il Sud negli ultimi vent’anni non ha fatto passi avanti: non c’è una Regione meridionale che abbia varato una qualche iniziativa economica, un accordo tra Regioni del Sud per investimenti, ricerca.

L’unica grande crescita è stata nel numero degli impiegati. Ma per il resto, pur rappresentando la Sanità la principale voce di spesa per le Regioni, tantissimi meridionali per operarsi sono ancora costretti a scegliere Milano o il Veneto».


Cosa non funziona nel decentramento dei poteri?
«Io credo che in Italia i gruppi dirigenti locali siano in genere di qualità e capacità inferiori rispetto ai gruppi dirigenti nazionali. Affidare una larga parte del governo del Paese a gruppi dirigenti incontrollati mi sembra un errore. In questo panorama l’Autonomia non farà altro che aumentare lo svantaggio del Sud, che storicamente non ha recuperato terreno».


Esiste a suo avviso una responsabilità del Mezzogiorno quindi?
«In buona parte credo che gli elettori meridionali tendano a scegliere rappresentanti politici di pessima qualità, che a loro volta scelgono dirigenti e personale di pessima qualità tramite logiche clientelari. Queste esistono ovviamente anche al Nord ma in misura minore».


Lei ha parlato dell’autonomia come l’ultimo colpo di piccone contro l’Unità nazionale. Che cosa significa per gli italiani metterla a repentaglio?
«Significa che tra il centro e la periferia non c’è alcun collegamento, che ognuno va per cavoli suoi e che, come sta accadendo da parecchio tempo, tutti i pezzi del Paese tendono ad autonomizzarsi, a non riconoscersi come parte di un tutto e quindi anche la solidarietà tra le varie parti viene a cadere. Si è solidali se si pensa di appartenere a una sola cosa, se si rompe il senso di appartenenza ognuno ragiona per sé e questo è un male».


Esiste un segnale politico che potrebbe ridare speranza?
«Un segnale politico sarebbe non fare l’autonomia differenziata. Ma la sinistra, che oggi si oppone, ha una gigantesca coda di paglia: per rincorrere demagogicamente la Lega, nel 2001 approvò la riforma del titolo V».


Scelta che gli viene rinfacciata praticamente ogni giorno.
«Direi a ben vedere, visto che sull’argomento ci fu anche un referendum confermativo in cui la sinistra votò massicciamente a favore. Oggi l’autonomismo è proposta dalla destra con la sinistra all’opposizione, vent’anni fa era il contrario. Tutti quanti hanno detto e fatto cose diverse da quelle che dicono e fanno oggi e quindi nessuno ha le carte in regola per fare un discorso di verità e questo è molto italiano: tutto si riduce a un miserabile scontro di politichette».


Alla fine questa ambiguità di fondo potrebbe portare a non farne nulla?
«Questo potrebbe accadere, certo. Sicuramente il progetto non piace a Fratelli d’Italia e a Giorgia Meloni perché non fa parte della loro cultura politica, ma da una parte ci sono gli equilibri con la Lega e dall’altra un’opinione pubblica che sinora si è dimostrata assolutamente assente su questo tema, che mi pare non scaldi i cuori né le menti».


Se invece ci fosse un sussulto nell’opinione pubblica?
«Questo potrebbe senza dubbio aiutare le forze politiche che nel centrodestra non sono convinte della riforma». 


Recentemente, ospite di Rai3, ha parlato dei modelli turistici citando anche la Puglia e il Salento. Con una previsione piuttosto preoccupante di quello che potrà accadere nei prossimi anni.
«Il discorso sul turismo riguarda molte realtà. Io penso che Venezia, Firenze, Roma, Napoli e tutti i luoghi più belli d’Italia minacciano di essere distrutti da questa ondata turistica. Anche il Salento».


Quali sono a suo avviso e cause principali?
«Non mi pare che ci sia un piano di sviluppo. Ognuno può fare quello che vuole, non esistono dei limiti. La mia impressione è che anche nel Salento, da un giorno all’altro uno possa mettere su una struttura turistica o un’impresa senza che esista una direzione e una visione condivisa. Questo a mio avviso è molto rischioso».
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