Dissesto idrogeologico: circa 120mila pugliesi più esposti al rischio alluvioni

Dissesto idrogeologico: circa 120mila pugliesi più esposti al rischio alluvioni
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Venerdì 19 Maggio 2023, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 08:47

Il disastro causato dal maltempo che si è abbattuto nelle ultime 72 ore in Emilia Romagna ha riacceso il dibattito sull’emergenza legata al dissesto idrogeologico nelle varie regioni italiane. Un quadro nettamente sconfortante, all’interno del quale la Puglia non fa certamente eccezione, visto che nove comuni su 10, pari all’89% del totale, sono a rischio idrogeologico. Nel dettaglio, i Comuni interessati dal problema sono 230 (sui 257 complessivi). Il rischio idrogeologico, con una differente pericolosità idraulica e geomorfologica, riguarda il 100% dei comuni della Bat, il 95% dei territori di Brindisi e Foggia, il 90% dei comuni della provincia di Bari e l’81% dei comuni leccesi, mentre sono 8.098 i cittadini pugliesi esposti a frane e 119.034 quelli esposti ad alluvioni.

Il rischio


Il rischio riguarda contesti prevalentemente agricoli o naturali perché in Puglia la terra frana e si consuma anche a causa dell’abbandono delle aree rurali per fattori diversi a cui si aggiungono fenomeni meteorologici sempre più intensi, concentrati in poche ore e su aree circoscritte, con alluvioni e danni anche in aree non eccessivamente antropizzate. 
A questa situazione, ha fatto notare nei mesi scorsi Coldiretti Puglia, non è certo estraneo il fatto che negli ultimi 50 anni sia scomparso quasi un terreno agricolo su tre, con la superficie agricola utilizzabile in Italia che si è ridotta ad appena 12,8 milioni di ettari a causa dell’abbandono e della cementificazione che rende le superfici impermeabili.

Tutti elementi, questi, che confermano quanto la salvaguardia del suolo e dell’ambiente sia fondamentale per garantire un avvenire alle future generazioni.

Il rapporto


In merito al rischio alluvioni, secondo il rapporto “Dissesto idrogeologico in Italia: pericolosità e indicatori di rischio” dell’Istituto Superiore per la Protezione e la ricerca ambientale (Ispra), la Puglia è per il 4% ad elevato rischio, per il 6,9% a rischio medio e per l’8,2% a rischio basso. Le province dalle maggiori criticità: Foggia (415 kmq), Taranto (111 kmq) e Bari (95,5 kmq). In media, potenzialmente interessati dal pericolo alluvioni, circa 136mila abitanti su un totale di oltre 4 milioni di persone residenti, 50mila edifici, 9mila imprese e 400 beni culturali (4,6%). Il report Ispra ha analizzato anche la distribuzione percentuale del territorio pugliese: al primo posto la pianura (55%) cioè tutti i territori al di sotto dei 300 metri di quota, segue la collina (40%) maggiormente estesa al confine con la Basilicata e compresa tra i 300 e i 600 metri di altitudine, e solo il 5% di montagna con alture superiori ai 600 metri. Valori che inducono dunque verso una scarsa propensione del territorio al pericolo frane. Assodata la superficie di riferimento, di 19.751 kmq, il pericolo frane si presenta per 1.752 kmq, 8% del territorio pugliese, a fronte di una media nazionale del 20%. Solo 596,2 kmq, pari al 3,15% della Puglia, ha un rischio di categoria elevata e molto elevata. Da qui ne deriva un pericolo frane per 57mila pugliesi (1,4%), 28mila edifici, 3.800 imprese e 513 beni culturali (5,8% su un totale di 8.899). Nel dettaglio delle province il rischio frane appartiene quasi del tutto al foggiano. Dato sotto l’1% per Lecce, Taranto, Bat, Bari e Brindisi.
Cosa fare in concreto per diminuire i rischi che emergono dai diversi monitoraggi? Gli esperti non hanno dubbi: occorre accelerare sull’approvazione della legge sul consumo di suolo attesa da quasi un decennio «e che potrebbe dotare l’Italia di uno strumento all’avanguardia per la protezione del suo territorio, ma sono anche necessari – dice ancora Coldiretti - interventi di manutenzione, risparmio, recupero e riciclaggio delle acque con le opere infrastrutturali, potenziando la rete di invasi sui territori, creando bacini per l’acqua piovana in modo da raccoglierla quando è troppa e usarla quando serve in modo da gestire gli effetti dei cambiamenti climatici e aumentare la capacità produttiva».

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