Lecce, due mesi per evitare il dissesto. Le speranze nel ricorso e la “soluzione Napoli”

Lecce, due mesi per evitare il dissesto. Le speranze nel ricorso e la “soluzione Napoli”
di Paola ANCORA
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Sabato 4 Dicembre 2021, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 20:03

Sessanta giorni per decidere del destino di Lecce: entro i prossimi 30 il Comune depositerà il ricorso contro la delibera della Corte dei Conti di Puglia che ha bocciato il piano di riequilibrio dell’ente, ritenendolo inadeguato a rimetterne in sesto le casse. Altri trenta serviranno alle Sezioni Riunite della Corte dei Conti, a Roma, per decidere su quel ricorso che, se venisse respinto, manderebbe Palazzo Carafa al dissesto e a giudizio, davanti ai giudici contabili, la classe dirigente della città negli ultimi venti anni, a partire dal sindaco Carlo Salvemini e dal suo predecessore, Paolo Perrone. 

200 milioni da “restituire”

Ma cosa prevedeva il piano di riequilibrio approvato dal Consiglio comunale a gennaio 2019 e perché la Corte dei conti pugliese lo ha ritenuto inidoneo? Prevedeva, in sintesi, una ricognizione dei debiti e dei buchi maturati; l’accantonamento delle risorse necessarie a ripianarli; un’accelerata decisa nella riscossione; il blocco delle spese, a partire da quella del personale e un innalzamento delle tasse che, due anni fa, ha significato ritoccare la sola addizionale Irpef, giacché le altre erano già tutte al massimo. Il piano serviva a ripianare un buco di 20 milioni all’anno fino al 2033, per un totale di circa 200 milioni di debiti e buchi ai quali far fronte. 
Nel dettaglio, questo disavanzo è “figlio” di una serie di fattori. Innanzitutto di due diverse manovre del Comune, effettuate a partire dal 2015. La prima è il riaccertamento dei residui attivi, ovvero dei crediti, che ha permesso di eliminare dai conti gran parte dei crediti di dubbia esigibilità. Queste “grandi pulizie” hanno provocato un’enorme falla nei conti, costringendo Palazzo Carafa ad accantonare circa 15 milioni di euro all’anno per ripianarla entro il 2033. Nonostante gli sforzi profusi, tuttavia, la Corte dei Conti ritiene che ancora oggi il bilancio sia “viziato” dalla presenza di crediti non esigibili pari a circa 20 milioni di euro, ovvero il 30% dei crediti totali indicati dal Comune in bilancio.
La seconda manovra che ha condotto al disavanzo di oggi viene da più lontano: nel 2015, infatti, il Governo permise ai Comuni di ricorrere a un Fondo di anticipazione di liquidità, ovvero a un “prestito” con la Cassa depositi e prestiti per pagare le fatture pendenti. Il Comune di Lecce chiese e ottenne circa 30 milioni, stabilendo di restituire quel prestito entro il 2044. Ma la legge di istituzione del Fondo è finita prima sotto la lente della Corte dei Conti e poi sotto quella della Corte costituzionale, che l’ha bocciata tagliando di netto i tempi per rientrare dei debiti maturati: da 30 a 10 anni. A quel punto il Governo ha teso la mano ai Comuni, stanziando le somme necessarie a coprire solo le prime due annualità, ma senza fornire alcuna prospettiva o finanziamento per le rate da corrispondere per i successivi otto anni. Nella delibera di bocciatura del piano di riequilibrio, infatti, la Corte dei Conti pugliese ha chiamato Palazzo Carafa a dire come intenda coprire quel debito, che pesa sulle casse per 2,8 milioni di euro all’anno fino al 2030: domanda alla quale l’ente non è stato in grado di rispondere, in attesa com’era di sapere dal Governo quali determinazioni era in animo di assumere al riguardo. Al momento, nessuna.
Ancora. Il Comune deve accantonare circa 800mila euro l’anno per il cosiddetto Fondo di garanzia dei debiti commerciali. Si tratta di denaro necessario a garantire un pagamento celere delle fatture a fornitori e imprese. Negli ultimi anni le perfomance di pagamento sono molto migliorate, passando dai 147 giorni del 2017 ai 50 di oggi: un dato evidenziato dalla stessa Corte dei Conti.
Ci sono poi 15 milioni e mezzo del Fondo rischi per onorare i debiti derivanti da eventuali contenziosi: anche queste somme non possono essere utilizzate perché servono a pagare le controparti nei giudizi che vedono e vedranno soccombere il Comune. 

Uno spiraglio dalla legge "Salva Napoli"?

Tirando le somme, l’ente deve congelare ogni anno circa 20 milioni di euro per i prossimi 11 anni. Un “cappio” che potrebbe allentarsi soltanto se migliorasse la riscossione delle tasse, ferma a poco più del 20%. Insufficiente, per i giudici, a riportare in salute Palazzo Carafa, che però, come tutti gli altri Enti locali, con la pandemia ha dovuto bloccare le procedure di riscossione coattiva delle tasse evase. Tant’è. 
Una soluzione politica potrebbe venire dalla norma salva-Comuni che Pd e Movimento Cinque Stelle hanno proposto per Napoli, schiacciata da un maxi debito di un miliardo.

La Lega di Matteo Salvini, che siede al tavolo del Governo Draghi, ha già escluso, però, il sostegno del suo partito a una legge ad hoc per la sola città partenopea. «Pronti ad aiutare tutti i Comuni in difficoltà» ha detto il leader leghista. Lecce avrebbe così la sua chance.

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