Coronavirus, falsi allarmi e psicosi. I commercianti cinesi: «In Puglia da anni, non siamo un pericolo»

Coronavirus, falsi allarmi e psicosi. I commercianti cinesi: «In Puglia da anni, non siamo un pericolo»
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Domenica 2 Febbraio 2020, 11:23 - Ultimo aggiornamento: 14:10

«Molti clienti, spaventati da questa situazione, stanno insinuando cose non vere, per esempio che toccando i nostri prodotti si rischia di essere infettati dal coronavirus». Ed è per questo che i titolari del China World di Campi salentina, provincia di Lecce, hanno scelto di condividere su Facebook un messaggio rassicurante, di spiegare perché non ci sono rischi a frequentare il negozio o persone di nazionalità cinese, come del resto hanno ribadito, in questi giorni, tanto l'Istituto superiore di Sanità che l'Oms.

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Il virus, infatti - per contenere il quale sono state attivate tutte le misure di protezione possibili - si trasmette solo da persona a persona e non anche con il contatto con oggetti vari. «E non per forza - sottolineano da China world - con contatti con persone di origine cinese. Negli ultimi due anni - proseguono - i dipendenti e i responsabili del negozio non sono mai rientrati in patria e hanno vissuto solo ed esclusivamente a Lecce. Non hanno avuto alcun contatto con parenti di origine cinese. Speriamo - concludono - che questo brutto periodo venga superato e cerchiamo di combattere tutti i tipi di virus, senza attaccare il popolo cinese, che per pura sfortuna si trova coinvolto in questo caso. Vi ringraziamo per l'attenzione e vi aspettiamo tutti i giorni, dalle 8 alle 21». 



La psicosi, insomma, ha contagiato anche il Salento, nonostante le rassicurazioni dei virologi di tutto il mondo e nonostante le misure di contenimento prese, fra gli altri, anche dal nostro Paese. L'allerta, infatti, rimane alta, anche dopo l'esito dei testi sull'ultimo caso sospetto individuato nel Salento. Quello di una 43enne del posto trasferita d'urgenza - l'altro pomeriggio - da Lecce a Bari, dopo essersi presentata al pronto soccorso del Vito Fazzi di Lecce in preda a febbre e tosse che, unitamente a un soggiorno a Wuhan (la città cinese epicentro dell'epidemia che sinora ha fatto 259 morti e 11mila casi), hanno allarmato i sanitari. La donna non è affetta da coronavirus 2019-nCoV.

Prima della 43enne, giovedì scorso, c'è stato un altro caso trattato sempre dal reparto Infettivi del Vito Fazzi di Lecce , una giovane donna che aveva soggiornato a Wuhan. Era andata in ospedale con febbre e problemi respiratori per cui fu disposto il trasferimento a Bari. Alla fine si trattava di coronavirus, ma non quello cattivo bensì il 229E.

Il nuovo protocollo, elaborato dalla task force regionale istituita dalla Regione Puglia, oltre a dare precise indicazioni sulle modalità con cui affrontare i casi sospetti, impone per prudenza e a tutela della salute pubblica di eseguire le indagini utili a definire la presenza o meno del coronavirus killer in ogni caso in cui ci siano sintomi in persone che sono state a Wuhan e comunque in Cina o hanno avuto contatti con persone in arrivo da quel Paese. La prudenza ha poi spinto la Asl di Lecce a monitorare un gruppo di 20 musicisti cinesi che erano stati invitati dal Conservatorio di Lecce. Allarme finito senza alcuna conseguenza. Ma intanto ogni Asl pugliese ha dedicato un'ambulanza al trasferimento dei casi sospetti di coronavirus al Policlinico di Bari che ha il compito di trattare tutti i casi sospetti della regione e in ogni ospedale è stata predisposta una stanza di isolamento.

Il monitoraggio della situazione è costante e sono stati verificati anche i posti letto da riservare se, nella peggiore ipotesi, dovesse diffondersi il contagio.

Nelle 24 ore sono state contagiate in Cina 2.102 persone, per un totale di 11.791 a livello nazionale. Una progressione rapida, nonostante la settimana scorsa sia stato imposto un cordone sanitario in Hubei (la provincia da cui è partita l'epidemia) e misure preventive molto severe adottate in altre parti del Paese. Un'epidemia che, però, non deve lasciar spazio alla psicosi immotivata nei confronti delle persone di nazionalità cinese che vivono, ormai da anni, nel nostro Paese. 

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