Le previsioni: «Entro il 2040 la Puglia avrà meno di tre milioni di abitanti». Gli effetti della crisi: meno fondi per la sanità e atenei a rischio

L'assessore alla Salute, Rocco Palese: "Il Governo apra un confronto con le Regioni"

Le previsioni: «Entro il 2040 la Puglia avrà meno di tre milioni di abitanti». Gli effetti della crisi: meno fondi per la sanità e atenei a rischio
di Paola ANCORA
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Domenica 23 Aprile 2023, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 11:27

«Avanti così e nel 2040, secondo le nostre proiezioni più pessimistiche, saremo meno di tre milioni». La preoccupazione dell’assessore alla Salute della Regione, Rocco Palese è palpabile. «Siamo nel pieno di una vera e propria “gelata” demografica, che non è più, ormai, un fenomeno nuovo, ma si sta aggravando rapidamente». In una nota del 19 aprile scorso firmata dal direttore generale Giovanni Rezza, il ministero della Salute ha infatti scritto alle Regioni per comunicare l’aggiornamento della popolazione residente in base agli ultimi dati Istat. La Puglia conta oggi 3.900.852 abitanti, con un tasso di natalità di 6,7 nuovi nati ogni 1.000 abitanti, più basso rispetto al 2019, quando era di 7 ogni 1.000. 
Questo comporterà un effetto a catena importante: ci sarà un taglio alla quota del Fondo sanitario nazionale destinata alla Puglia, saranno ridotti i trasferimenti relativi al finanziamento del trasporto pubblico locale. Ancora: ci saranno meno classi nelle scuole di ogni ordine e grado, nel 2040 rischierà la chiusura per default l’intero sistema universitario pugliese (con l’eccezione dell’Ateneo “Aldo Moro” a Bari) per scarsità di iscrizioni. Ci sarà una riduzione proporzionale dei fondi destinati ai servizi sociali e via così. Si ridurrà da subito anche il numero dei componenti il Consiglio regionale. Così, se oggi uno dei problemi da risolvere, per la politica, è la disoccupazione, nel 2030 diverrà reperire donne e uomini da occupare: si calcola ne mancheranno all’appello 200mila. A rischio, insomma, c’è anche la tenuta del sistema economico e sociale dei territori meridionali, la loro sopravvivenza prima della loro prosperità. 

«L’aspetto più preoccupante - insiste Palese - è che non si possa invertire subito la rotta.

Qualsiasi cosa pensassimo di fare oggi vedrà dispiegarsi i suoi effetti nel 2050, se va bene. E lo dico da amministratore e da cittadino del Sud Italia: il Governo deve agire e aprire un confronto con le Regioni su questo». In particolare con le Regioni del Mezzogiorno, come la Puglia, dove «al calo drastico delle nascite si sta aggiungendo il progressivo spopolamento di paesi e paesini nelle nostre province. Subiamo un notevolissimo fenomeno di migrazione - prosegue l’assessore regionale alla Sanità - dettato dalle opportunità di lavoro che albergano altrove. Formiamo giovani che vanno via, a guadagnare di più e spendere il loro talento nel Nord Italia o in Europa, con una perdita netta per il territorio, in termini economici, demografici e di prospettiva». 

Il riparto del Fondo Sanitario Nazionale

All’assessorato regionale alla Salute il problema è stato esaminato nel dettaglio. «L’ultimo riparto del Fondo sanitario nazionale - aggiunge Palese - è stato effettuato calcolando un valore di 1.980 euro per abitante. Abbiamo perso 22mila abitanti in un anno. Significa dire addio, per ora, a 43 milioni e mezzo di euro perché uno dei criteri di riparto del Fondo è la popolazione. Ma come possiamo permetterci una simile emorragia di risorse?». Tanto più che già oggi la Regione non ha un bilancio ricco sul quale costruire la sanità del futuro, delineata grazie ai denari arrivati con il Piano nazionale di ripresa e resilienza. In quel Piano si è detto cosa costruire - ospedali e case di comunità - e quali macchinari metterci dentro, tutti di ultima generazione. Ma non si dice, però, con quali risorse sarà assunto il personale necessario a riempire e far funzionare strutture e macchinari. Senza risorse nuove, aggiuntive, come si potrà procedere alle indispensabili assunzioni?

La prospettiva è drammatica: «L’emigrazione è incessante, migliaia di ragazzi vanno via ogni anno. E questo genera un allarme serio anche per la gestione dei servizi a domanda individuale». Un esempio? Il servizio di raccolta dei rifiuti, finanziato con la tassa pagata dai cittadini; gli asili nido, le mense o lo scuolabus sostenuti anche con le rette versate dalle famiglie; la pubblica illuminazione. «I Comuni coprono questi servizi con i tributi versati dai cittadini - spiega Palese -. Se i costi per mantenere quei servizi restano invariati o, in qualche caso, aumentano per via dell’inflazione, ma i contribuenti diminuiscono, a breve ci troveremo a misurarci con aumenti smisurati del costo dei servizi o con tagli ugualmente incisivi e gravi». 

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