La grande fuga: in Puglia in dieci anni è "scomparsa" una città. Nascite in calo e giovani via: i numeri del calo demografico

La grande fuga: in Puglia in dieci anni è "scomparsa" una città. Nascite in calo e giovani via: i numeri del calo demografico
di Giuseppe ANDRIANI
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Domenica 23 Aprile 2023, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 24 Aprile, 08:26

In dieci anni la Puglia ha perso 150mila abitanti. È come se fosse scomparsa una città grande quanto Foggia o quanto Lecce e Trani messe insieme. E la colpa non è del covid. Ed è in parte - per quanto una parte sostanziale - responsabilità della contrazione delle nascite. Solo in parte, perché c’è altro. La Puglia sembra entrata in un circolo vizioso dal quale non riesce a uscire: nascono sempre meno bimbi, il tasso di mortalità è rimasto più o meno invariato, i ragazzi emigrano a caccia di opportunità di studio o lavoro - e tornano sempre meno spesso -, il territorio si impoverisce da un punto di vista economico e umano, e il giro ricomincia. In sintesi: non basta il calo delle nascite, che pure è evidente, a spiegare lo spopolamento in atto in un territorio che è sceso sotto i quattro milioni di abitanti e che sembra vivere solo la prima, ma drammatica, fase del lungo inverno demografico. 
Un tunnel dal quale è difficile riuscire a vedere la luce all’orizzonte. La Puglia si spopola in maniera più veloce rispetto ad alcune regioni del Nord. Anzi, l’inverno demografico è appena iniziato in alcuni territori e ha soprattutto effetti profondamente attenuati. Tanto per fare un esempio: la Lombardia nel 2022 rispetto al 2012 conta poco più di 100mila abitanti in più. Nei dieci anni c’è chi si svuota e chi vede aumentare la popolazione. 

I motivi del calo demografico

Verrebbe da chiedersi perché. I vari studi dell’Istat, che si rincorrono, compongono un puzzle tanto preoccupante quanto chiaro nei contorni. Non si può spiegare lo spopolamento di un territorio soltanto con la contrazione dei bimbi nati. Nel 2022, in Puglia, sono nati 26.381 bimbi. È il dato peggiore di sempre, ma il peggioramento rispetto all’anno precedente è minimo. La dinamica demografica tiene conto, poi, del numero dei decessi: 41.125. Il calo delle nascite è dovuto anche a fattori economico-sociali: è più difficile pensare di mettere al mondo dei figli in un contesto come quello di oggi al Sud. Sarà banale, ma i ragazzi che pensano di voler diventare genitori, tra crisi economica e incertezze occupazionali (è stimato che in Puglia un lavoratore su otto ha un contratto part-time perché non gli è mai stato offerto un posto a tempo pieno), sono sempre meno. E c’è poi tutta un’altra partita legata ai servizi per l’infanzia, enorme cruccio del Mezzogiorno. Qui dovrebbe intervenire il Pnrr, soprattutto sui nidi. Ma basterà? Il dubbio è lecito e il tempo è poco per evitare che previsioni di decrescita costante diventino realtà oggettiva.

L'emigrazione

La fragilità del contesto economico e sociale pugliese, e più diffusamente meridionale, ha - ormai da qualche anno - riportato in auge una tendenza che nei primi anni 2000 era stata quantomeno frenata: l’emigrazione. Non ci sono valigie di cartone, ma spesso zaini pesanti con all’interno notebook e tablet. Ma si va via, si cerca fortuna altrove, quasi sempre nel Centro (Roma in particolare) o al Nord. Le rotte sono quelle degli anni ‘60, la popolazione che emigra è diversificata: fuggono i laureati, per cercare contesti diversi, ma vanno via anche i ragazzi con appena il diploma, o neppure quello, per lavorare in condizioni migliori. O almeno: partono con questa speranza. Si parte per motivi di lavoro. Nicola Rossi, ordinario di Economia Politica a Tor Vergata, lo spiegava appena sette giorni fa su queste colonne: «Non è vero che il lavoro non c’è. È molto probabile, invece, che il lavoro non ci sia lì dove ci sono i disoccupati, ovvero nel Mezzogiorno, e che invece sia il Centro-Nord ad avere bisogno di forza lavoro», proponendo la fine del livello unico salariale. E si parte per motivi di studio: negli ultimi undici anni sono partiti dalla Puglia 80mila ragazzi per iscriversi ad atenei di altre regioni. È il peggior dato, in senso assoluto, d’Italia. Oggi qui per ogni 100 ragazzi ci sono 187 anziani, dieci anni fa ce n’erano 130, vent’anni fa erano di più i giovani degli over 65. L’età media è cresciuta. Il risultato è che soltanto in Sicilia ci sono meno laureati residenti. E il gap, qui, arriva anche al livello del grado d’istruzione. 
Calo delle nascite e movimenti migratori, e il pasticcio è fatto. L’analisi sul trend demografico del Mezzogiorno non può non tenere conto dei dati del 2022: tra chi è emigrato all’estero e chi è arrivato, la Puglia ha “guadagnato” 10.199 persone. Segno che i migranti “mitigano” gli effetti del crollo demografico. Ma al Sud non basta neppure questo. È innegabile che «siano importanti per garantire le pensioni», come sottolineava ieri su Quotidiano, Pasquale Tridico. Il presidente dell’Inps ha ribadito come questa sia «la strada da percorrere, come fanno tutti i Paesi ricchi». Ma la Puglia è una delle quattro regioni italiane in cui anche il saldo migratorio è negativo: sono di più le persone che vanno a vivere in altre parti d’Italia, rispetto a quelle che arrivano dall’estero. 
È la fuga da un Mezzogiorno che rischia di diventare un territorio per soli anziani e di innescare un circolo vizioso ancor più vorticoso. È la fuga dai paesini: ce ne sono alcuni, in Puglia, che hanno perso il 10% dei residenti tra il 2012 e il 2022, come San Giorgio Ionico, Statte, Sternatia, Neviano, Nociglia. Reggono le città, almeno per ora. Ma non basta in una terra che una volta persi anche i giovani, avrà visto volare via la propria ricchezza più grande. 
 

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