Berlusconi, il ricordo di Rocco Buttiglione: «Come Aldo Moro, fu un grande riformatore»

Silvio Berlusconi e Rocco Buttiglione
Silvio Berlusconi e Rocco Buttiglione
di Paola ANCORA
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Mercoledì 14 Giugno 2023, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 14:56

«A molti sembrerà un sacrilegio, ma per me personalmente dopo Aldo Moro, il primo ad avere avuto una percezione della crisi italiana e della necessità di una riforma di sistema è stato Silvio Berlusconi». La riflessione di Rocco Buttiglione – natali gallipolini, Cattedra di filosofia alla Pontificia Università Lateranense e, fino al 2018, parlamentare italiano ed europeo, due volte ministro, segretario del Ppi e del Cdu, presidente dell’Udr e dell’UdC – irrompe nel dibattito di un Paese diviso, oggi, fra chi commemora la scomparsa di Silvio Berlusconi con gratitudine commossa e chi, invece, ne ricorda anche i tratti più controversi e divisivi.

Professore, lei è stato ministro del primo Governo Berlusconi. Quando lo conobbe?
«In realtà lo conobbi nel 1976.

Aveva appena finito di costruire Milano 2. Era un giovane brillante, intelligentissimo, consapevole dei suoi limiti e che sapeva ascoltare. Era anche molto generoso. Iniziava a pensare di fare televisione e per questo organizzava dei corsi di aggiornamento per sé e la sua équipe sulla politica, la società e la comunicazione del tempo chiamando dei giovani docenti. Uno di quei docenti ero io. Dunque posso dire che Berlusconi fu mio allievo. Aveva interessi culturali non volgari e tante, tantissime idee. Poi ci siamo persi di vista».

E quando vi siete ritrovati?
«Al momento della discesa in campo. All’epoca era un Berlusconi molto differente dall’immagine pubblica che ne venne fuori dopo. Era un uomo molto interessato a pensare un’Italia diversa da quella compressa e sfasciata che ci trovavamo davanti. Aveva costituito una associazione per il buongoverno con alcune delle teste migliori del Paese: Pera, Urbani, Colletti, Tremonti, Moratti. In questo senso – sebbene a molti sembrerà un sacrilegio – personalmente ritengo che dopo Aldo Moro, il primo ad avere una reale percezione della crisi italiana e della necessità di una sua riforma strutturale sia stato Berlusconi. Confalonieri disse che entrò in politica per salvare le sue televisioni, è vero. Ma si tratta di due verità per nulla contrapposte. Come l’Ulisse descritto da Omero, anche Berlusconi era un politropo, un uomo dall’ingegno versatile e dalle mille sfaccettature».

Professore tuttavia il profilo pubblico di Moro e quello di Berlusconi non sembrerebbero avere punti di contatto. Il primo estremamente discreto, profondamente cattolico e attaccato alla famiglia. Il secondo – per usare le parole del senatore Pellegrino, già presidente della commissione Stragi - “un vecchio satiro contro il quale i giudici hanno esagerato”. Non stride un simile accostamento?
«Su questo ho una mia teoria, che riposa sulla convinzione che gli uomini siano fatti dalle donne. C’è stato un Berlusconi finché erano in vita la sua mamma e la sua sorella maggiore: tenevano a freno la sua megalomania, costringendolo con i piedi per terra. Poi un Berlusconi con la seconda moglie e i freni hanno cominciato a saltare, ma l’amava moltissimo e finché quel legame ha tenuto è filato tutto liscio. Ma la crisi e il secondo divorzio lo hanno molto scosso, per mille ragioni. E dopo allora, la voglia di accettare tutte le sfide, anche quelle che sarebbe stato meglio accantonare, lo ha spinto a commettere molti errori».

La “riforma di sistema” cui lei accenna passava, per il Cavaliere, attraverso una profonda riforma della giustizia italiana. Obiettivo che tuttavia non ha mai centrato, ma che ha trascinato il Paese in una guerra giudiziaria perenne. La sua. Condivide questa analisi?
«L’idea di una riforma della giustizia era condivisa, ma Berlusconi ha sbagliato tutto. Ha cercato di riformare partendo dai suoi processi, consentendo così alle forze reazionarie della magistratura di coagularsi attorno alla difesa del principio di giustizia. E ha sbagliato, ancora, perché ha ricercato compromessi che si sono poi rivelati fragili: lo ha fatto quando si è sentito vittima di una aggressione giudiziaria da parte della magistratura politicizzata di allora. Berlusconi era come un toro: se gli si sventolava davanti un drappo rosso, lui caricava anche quando era evidente che, dietro, ci fosse una trappola. Questo ha impedito la necessaria riforma della giustizia e della magistratura. Un deragliamento. Ed è così passata l’idea che sulla politica dovesse esserci una sorta di tutela della magistratura, che ha distrutto la politica per annientare Berlusconi. Invece una nazione, la nostra Italia, ha bisogno di credere tanto nella magistratura che nella politica».

Giovedì in Consiglio dei ministri approderà la riforma della giustizia approntata dal ministro Nordio. Un’accelerazione vissuta e proposta proprio come omaggio al fondatore di Forza Italia. La convince?
«Oggi ci sono fattispecie di reato così vaghe che sembrano pensate per distruggere le carriere politiche. Poi possiamo anche chiederci: Berlusconi è stato sempre nei limiti della legge? Probabilmente no, per quanto solo un processo - delle decine aperte a suo carico - si concluse con una condanna. Ma è difficile negare che ci sia stato contro di lui un accanimento giudiziario. E quindi, da un certo momento in poi, lui ha concentrato le sue forze contro la magistratura. Come diceva Andreotti, però, “in politica c’è poco posto per i sentimenti, figuriamoci per i risentimenti”. Purtroppo la politica del risentimento ha preso il posto della politica».

Forza Italia è diventata la casa di molti ex Dc come lei. Cosa pensa succederà adesso? Cosa dovremmo aspettarci?
«Il voto democristiano è confluito un po’ in Forza Italia, è vero, ma per la maggior parte si è rifugiato nell’astensione. Berlusconi, all’epoca, si impegnò a creare le condizioni per un grande partito popolare. Io garantii per lui con l’allora presidente del Partito popolare europeo, Wilfried Martens. Poi avrà pensato che un partito, ovvero un organo democratico che va comunque gestito e nel quale si può essere sfiduciati, non sarebbe stato il mezzo migliore per raggiungere i suoi scopi in Italia, ovvero difendere la sua libertà personale e le sue aziende. Dunque la grande eredità, lo spazio aperto che Berlusconi lascia è proprio questo: la necessaria formazione di un partito italiano di centro e con respiro europeo. Il compito di chi verrà dopo dovrà essere questo».

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