Berlusconi, il ricordo di Giovanni Pellegrino: «Un'oratoria che ammaliava. E con lui i giudici esagerarono»

Giovanni Pellegrino
Giovanni Pellegrino
di Paola ANCORA
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Martedì 13 Giugno 2023, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 14:05

«Un uomo abile e spregiudicato, con un’oratoria rotonda, che ammaliava. E capace di compiere un miracolo: diede a noi progressisti una mazzata che ancora ricordiamo». Dalla sconfinata cassaforte dei ricordi, Giovanni Pellegrino - già senatore comunista, poi Pds e infine dell’Ulivo - ne tira fuori più d’uno per raccontare il Silvio Berlusconi degli esordi e poi quello che, nel giro di una stagione, scalò le vette della politica fino a sedere sulla poltrona di presidente del Consiglio.

Senatore, lei fu eletto per la prima volta nel 1990, quindi ebbe modo di seguire da vicino l’ascesa del Cavaliere. Quando lo conobbe?
«In realtà lo conobbi nella primavera del 1980.

L’allora direttore della Lega calcio, Allodi, aveva convocato tutte le società per discutere della legge sulla professione di sportivo. Io mi trovavo là in qualità di legale. Intervenne Boniperti per conto della Juventus e ci chiese di ascoltare “un amico che penso possa dire cose interessanti”, così disse introducendo questo sconosciuto che aveva una appena accennata stempiatura. Quell’uomo prese il microfono e con la sua splendida oratoria ammaliò i presidenti delle società sportive, convincendoli di quale fiume di denaro si sarebbe riversato sul mondo del calcio se fosse entrato in sinergia con la televisione commerciale. Franco Iurlano disse che si era innamorato di lui. La sera andammo a cena insieme. Quattordici anni dopo ce lo ritrovammo avversario alle Politiche del 1994».

La famosa discesa in campo. Che cosa pensò?
«Si votava con il Mattarellum, legge grazie alla quale nasce il bipolarismo in Italia. Il campo progressista attivò la sua gioiosa macchina da guerra e Berlusconi in pochissimo tempo fu capace di costruire due poli: il Polo delle libertà con la Lega e il Polo del buongoverno con il Movimento Sociale italiano. Ci lasciò stupefatti: compì un miracolo politico, anche se durò poco, perché quei due partiti erano nemici. E ci diede così una mazzata che tutti ancora ricordano. Siamo stati messi ko da un imprenditore».

Come lo definirebbe? 
«Abilissimo a inventarsi nemici. Quando erano già passati molti anni dalla svolta di Rimini e Occhietto si illudeva di aver superato l’anticomunismo viscerale che segnò la prima Repubblica, con Berlusconi si dovette rendere conto che quel sentimento avverso era solo quiescente nella società italiana. Il Cavaliere lo seppe risvegliare in pochi mesi».

Al netto delle sue numerose, controverse e politicamente molto dibattute vicende giudiziarie personali, alcune delle riforme giudiziarie chieste a gran voce da Berlusconi oggi sono diventate patrimonio condiviso da una maggioranza molto larga. Si pensi alla responsabilità civile dei magistrati. Che cosa ne pensa?
«Resto convinto che la filosofia che animava “Mani pulite” era quella del primato della giurisdizione. Si illudevano che la magistratura sarebbe diventata un potere egemone. Berlusconi non è stato mai capace di modificare l’assetto delle giurisdizioni. Anche l’accordo raggiunto con D’Alema in sede di Bicamerale restò irrealizzato. Ma i magistrati vedevano in lui un vero avversario e indubbiamente hanno esagerato, per quanto lui si desse da fare con una vita spregiudicata da vecchio satiro».

Cosa ritiene accadrà al centrodestra, ora che la sua anima più moderata perde il suo leader senza che vi sia un successore designato? 
«Non lo so. Ma la verità è che anche Berlusconi ha fallito, come ha fallito tutta la nostra generazione politica. Non siamo riusciti a creare un bipolarismo maturo, nel quale le forze si contrappongano sulla base di una reciproca legittimazione e accettino l’alternanza. Non ci siamo riusciti, prima che arrivasse questa ondata di populismo».

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