Dal caso Moro a Mani Pulite: rivelazioni inedite e vecchi conti da saldare durante la presentazione di Pellegrino

Da sinistra: Sergio Pizzolante, Giovanni Pellegrino, Claudio Signorile, Biagio Marzo e Fabrizio Cicchitto. Il moderatore in piedi è l'avvocato De Nitto Personé
Da sinistra: Sergio Pizzolante, Giovanni Pellegrino, Claudio Signorile, Biagio Marzo e Fabrizio Cicchitto. Il moderatore in piedi è l'avvocato De Nitto Personé
di Alessandra LUPO
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Domenica 10 Marzo 2024, 18:43 - Ultimo aggiornamento: 20:14

Il pericolo di aprire il vaso di Pandora è sempre quello: che poi sia difficile richiuderlo. E così, a circa sei mesi dalla sua uscita, l'ultimo volume di Giovanni Pellegrino ("Dieci anni di solitudine, memorie di un eretico di sinistra" Ed.Rubbettino) - apparentemente un innocuo memorandum degli ultimi dieci anni di vita dell'ex senatore ed ex presidente della Provincia di Lecce dopo l'addio alla politica attiva - continua a riservare delle sorprese. Nella sua intimistica narrazione, attraversata dal dialogo a distanza con l'ex leader dei Ds Massimo D'Alema, Pellegrino torna irresistibilmente alle attività cruciali della sua carriera politica che lo hanno visto impegnato in alcuni dei casi che hanno marchiato la storia contemporanea italiana: a cominciare ovviamente dal caso Moro, da lui ampiamente trattato da presidente della Commissione bicamerale d'inchiesta sulle stragi che si è occupata per anni di fare luce sul sequestro ed assassinio del presidente della Dc e sul terrorismo in Italia.

La presentazione a Lecce con il gotha dei socialisti 


E lo stesso è accaduto alcune sere fa in una anomala presentazione leccese del libro, organizzata all'interno dello studio legale De Nitto Personè nello storico palazzo d'epoca che porta lo stesso nome della famiglia, a venti metri esatti dal Duomo. Nello studio, ricco di foto, faldoni, memorabilia di più epoche politiche, si ritrovano infatti attorno al volume cinque personaggi chiave che hanno come comun denominatore non solo la storica militanza del Psi. Ma anche l'aver vissuto da protagonisti gran parte dei fatti raccontati da Pellegrino, da Moro a Tangentopoli.
Al divanetto in raso retrò siedono infatti l'ex ministro Claudio Signorile, sangue barese e salentino, che del Psi di Bettino Craxi fu anche vicesegretario, Biagio Marzo, altro nome di spicco del partito in Puglia ma anche Sergio Pizzolante, anche lui ex parlamentare socialista di alcune generazioni successive che dal 2014 al 2018 fece parte della commissione parlamentare d'inchiesta sul caso Moro. L'ospite è invece Fabrizio Cicchitto che prima della lunga parentesi al fianco di Silvio Berlusconi in Forza Italia e poi nel Popolo delle Libertà, è stato un rappresentante di spicco del Partito Socialista.

A moderare è il padrone di casa, l'avvocato Carlo De Nitto Personè.

 Tra i vecchi compagni di partito, messe da parte le antiche ruggini come la cacciata di Signorile e Marzo dal partito nel 1994 (insieme a un altro socialista salentino Doc, Damiano Potì) proprio a opera di Cicchitto, i riferimenti storici viaggiano come lampi. E quando Pellegrino gela tutti annunciando di aver finalmente capito chi sia stato il vero esecutore dell'uccisione di Moro nessuno si scompone più di tanto. «Signorile ha ragione quando dice che a volerlo morto erano sia i servizi dell'Est che dell'Ovest spiega l'ex senatore leccese, unico nel gruppo ad aver proseguito la sua strada nei Ds e poi nel Pd ma fu proprio la commissione in cui c'era Pizzolante, quella istituita da Fioroni, che chiarì il ruolo chiave di un altro personaggio: Riccardo Dura».

L'ipotesi dell'uccisore mai individuato


Pellegrino mette insieme i puntini di una serie di discorsi rimasti in sospeso, a cominciare dalla riflessione di Bettino Craxi secondo cui "i carcerieri e gli esecutori nelle Br non coincidevano mai". E qui il giallo porta ad Hammamet: «Decisi di interrogare Craxi ma quando stavamo per partire, i biglietti erano già fatti, lui disse che stava poco bene racconta Pellegrino -. Poi due anni fa sua figlia Stefania mi mostrò una lettera in cui il padre si lamentava con il governo di Tunisi di aver dovuto mentire al Parlamento italiano e che non lo avrebbe mai più fatto». Chi era stato a esercitare pressioni perché l'ex leader socialista non parlasse?
Nella chiacchierata tra ex, partono le illazioni, tutte plausibili. Ma di fatto a rafforzare il ruolo di Dura ci sono anche le parole di Renato Curcio, nei libri intervista di Rossana Rossanda e Carla Mosca in cui Curcio sembra rimpiangere la ruvidità dell'esponente della colonna genovese delle BR ucciso durante l'irruzione in via Fracchia, a Genova, nel 1980 dove guarda caso verrà ritrovata una delle armi usate nel sequestro Moro. «Quella storia si va via via chiarendo e in questi giorni anche il confronto con Maria Antonietta Calabrò, che avrebbe confermato questa tesi». La giornalista del Corriere della Sera ha scritto un volume insieme a Giuseppe Fioroni proprio sugli esiti della Commissione Moro 2, che ha chiuso i suoi lavori nel dicembre 2018, dal significativo titolo "Moro, il caso non è chiuso". Un volume interamente basato sulle verità non dette e sulla ricostruzione dei fatti frutto di un compromesso volto a formulare una verità accettabile sia per gli apparati dello Stato italiano, sia per gli stessi brigatisti. Lo stesso Pci viene additato duramente dai socialisti, come corresponsabile della linea dura. «Il Pci di Berlinguer ricorda Signorile, allora nel Comitato di Crisi che si occupava del rapimento del presidente della Dc - disse che se ci fosse stata una trattativa il governo sarebbe caduto. Andreotti nel suo cinismo cavalcò la cosa tanto da far aggiungere nella missiva di Paolo VI in cui si chiedeva la liberazione dell'ostaggio la frase "senza condizioni"».

Il capiltolo Mani Pulite e il la magistratura "politica"


La ricostruzione, che potrebbe aprire nuovi capitoli sull'indagine mai conclusa sulla morte di Moro, non è l'unica "verità" che questo consesso quasi interamente formato da ultraottantenni, depositari di spezzoni interi di Prima Repubblica e caratura intellettuale oggi inconsueta nella classe politica, si lascia scappare tra un ricordo e l'altro. Il libro d'altronde offre spunti molto interessanti anche su Mani Pulite, visto che Pellegrino ammette candidamente di non essere un garantista ma nemmeno un giustizialista portando nel suo libro il rapporto tra politica e giustizia a un livello più alto che riguarda la democrazia stessa. «Quella di Mani Pulite fu un'operazione totalmente politica in cui la giustizia non c'entra molto - concordano i presenti -: Cassese elabora lo stesso concetto parlando del governo delle magistrature e di un'idea di supremazia del potere giudiziario rispetto agli altri due». Cicchitto se la prende ancora con Berlinguer, tentando di delegittimarne il mito: «La storia del Pci va riscritta perché Berlinguer non era meglio di Togliatti e Longo, che diversamente da lui non hanno mai pensato di usare la magistratura politicamente. Il nemico erano i socialisti e la sua questione morale molto fragile visto che rinunciò al finanziamento da parte del Kgb ma il partito aveva anche altri finanziamenti irregolari e investiva sistematicamente attraverso le Coop Rosse e Unipol».
I relatori sono concordi nel descrivere il sistema di finanziamento dei partiti come una pratica consolidata che abbracciava l'intero arco parlamentare, nessuno escluso. «Era un sistema figlio della Guerra Fredda ricorda Cicchitto finito il pericolo comunista saltano gli schemi" e da qui c'è l'intervento della magistratura che pretende di potersi sostituire al sistema dei partiti nel governo della Nazione. Operazione tentata, ma non completata anche per la caratteristica stessa del potere giudiziario che, come ricorda Pellegrino "è un potere diffuso su tante sedi che non può servire a governare un Paese, e dimostrazione ne fu la messa sotto indagine di Di Pietro da parte della procura di Brescia" e poi ammette, tra l'ironico e il beffardo "nel Pds c'era l'illusione che Mani Pulite ci potesse portare al governo, invece salì al potere Berlusconi".
Dal pomeriggio con Pellegrino e gli altri suoi illustri ospiti si esce arricchiti da novità importanti e preziose chiavi di lettura, nuovi pezzi di storia che compongono l'intricato puzzle dell'Italia repubblicana e ne arricchiscono la visione in prospettiva finalmente liberata dal "peso" della cronaca.

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