Arpal, il sussulto del Pd e gli effetti: dal rimpasto allo scontro aperto in Regione

Arpal, il sussulto del Pd e gli effetti: dal rimpasto allo scontro aperto in Regione
di Francesco G.GIOFFREDI
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Giovedì 20 Ottobre 2022, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 22:25

Uno strappo che fa rumore, tanto. Uno scatto d’orgoglio e dignità del Pd, raro, rarissimo in questi anni di dialettica troppo anemica, piatta, quasi suddita nei confronti di Michele Emiliano. E una bordata violenta, forse la prima con effetti diretti e concreti, al disinvolto civismo extralarge del governatore. Il Pd pugliese, in piena crisi di identità e futuro, si scuote dal torpore e lancia un segnale di vitalità e forza. Il “licenziamento” di Massimo Cassano da direttore dell’Arpal (qui la notizia) - la potente e preziosa (per chi la gestisce) Agenzia regionale del lavoro - stavolta non è il capriccio di un ristretto club di consiglieri dissidenti e perennemente sul piede di guerra: in Consiglio il voto del gruppo Pd è (di fatto) compatto, in scia si mette anche il M5s, e il messaggio a Emiliano è chiaro, tuonante. D’accordo: ma ora?

Conseguenze, effetto domino, tattiche e strategie. La sfiducia a Cassano - con successiva defenestrazione - è la prima, vera, bruciante battuta d’arresto per Emiliano in sette anni di Regione. Una crepa, forse non ancora il segnale di cedimento di un sistema di governo e potere, più probabilmente è la scossa d’assestamento dopo le elezioni politiche e prima di future, cruciali scadenze elettorali. Di certo, è una frattura profonda nel centrosinistra regionale. Quasi un punto di non ritorno, che ridisegnerà rapporti e forse assetti. E potrebbe presto sfociare in un rimpasto di giunta regionale, o nel rischio di tensioni continue, stallo e ingovernabilità in Regione.
Il colpo a Emiliano è duro, e lo dimostra pure lo strenuo, un po’ disordinato e vano tentativo di bollare come incostituzionale la decadenza di Cassano.

Il direttore dell’Arpal è stato in questi anni una delle sinapsi chiave del sistema civico “largo” di Emiliano, tanto che nemmeno la candidatura dell’ex sottosegretario alle Politiche col Terzo polo ha scalfito l’asse col governatore (nonostante le apparenze e le dichiarazioni di prassi). Il Pd ha ritenuto la misura però colma, captando anche gli umori di una fetta d’elettorato, dei territori e della base, sentendo stringere al collo il cappio dell’irrilevanza e dell’anonimato politico e reagendo così a ciò che poteva essere letto, interpretato e fermato molto prima: un’Agenzia strategica in mano a un solo dominus, di fatto incontrastato, e col solido sospetto che l’Arpal fosse sin dall’atto di nascita perlopiù una leva di consenso, attivata comunque nei limiti consentiti dalla legge, ma non sempre in quelli che trasparenza e cosiddetta accountability suggeriscono.

Uno sguardo al passato

In passato il Pd tante volte ha avuto la possibilità di battere il pugno, di imbrigliare e marcare stretto Emiliano, su Arpal e non solo, di limitarne l’esondante tendenza a imbarcare chicchessia sotto lo spregiudicato ombrello del civismo, marginalizzando e svuotando proprio il Pd. Ma non lo ha fatto, quasi mai. L’atteggiamento molle, silente dei democratici di questi anni - con pochissime eccezioni, e vanno senz’altro citati i tre firmatari della proposta approvata ieri: Amati, Mazzarano e Mennea - è un dato incontestabile e che ha permesso a Emiliano di fare, disfare, strafare a piacimento. In altre circostanze, negli anni, il governatore era riuscito in Consiglio a disinnescare le mine vaganti e gli “agguati” dell’ala più critica, sfoggiando tutto l’arsenale di persuasione, trattativa e minaccia. E il Pd e la sinistra hanno spesso preferito accucciarsi dietro lo scudo protettivo del governatore, per debolezza o talvolta per convenienza.
L’atto di ribellione del Pd va comunque contestualizzato. L’ultima seduta del Consiglio regionale sconta le molte scorie del dopo elezioni politiche e solleva altrettanti interrogativi. Uno su tutti: dopo la prova muscolare dei democratici in aula, cosa succederà? Gli attori del copione sono tre: i dem, i cinque stelle e il governatore con tutta l’arca del civismo a corredo.

Le motivazioni (doppie) del Pd

Il Pd ieri ha armato il pugnale (metaforico, s’intende) spinto da due molle: il segnale delle elezioni del 25 settembre, non certo esaltante per i dem; la corsa allo scacchiere di candidature, perché all’orizzonte già si profilano nuove sfide (le Comunali, anche a Bari, e le Regionali magari anticipate). Col sospetto che Emiliano «volesse isolarci ancora di più», digrigna i denti qualche esponente pd di prima fascia. Nelle riunioni di gruppo consiliare tra i più accesi e convinti sostenitori della rimozione di Cassano ci sarebbe stato persino Raffaele Piemontese, vicepresidente della giunta e rampante esponente del Pd foggiano. Peraltro, la rumorosa assenza di Emiliano al vertice del gruppo dem, precedente al Consiglio, è stata percepita come uno sprezzante guanto di sfida. Risultato: i democratici hanno dato fondo a un’insospettabile riserva di forza e capacità d’alzare il muro in aula, convincendo anche quei consiglieri di solito fedelissimi del governatore. La vera sfida però arriva adesso: continuare a fare argine e catenaccio, compattarsi, ingaggiare un confronto serrato e franco con Emiliano, su tutto. È anche su questo terreno che si misureranno le chance di rinascita del Pd e dei leader in rampa di lancio verso ulteriori destini, come Antonio Decaro.

Gli alleati a 5 Stelle

I cinque stelle ieri, forse per la prima volta, si sono trovati invischiati nella più classica e “sporca” meccanica d’aula: davanti al bivio, all’ultimo minuto hanno scelto di mollare Emiliano e di fare squadra col Pd. Ma il segnale qui è tutto politico: i pentastellati, corazzati dai risultati delle elezioni nazionali (primo partito in Puglia), pretendono dal governatore più spazio in giunta, sui temi e nel valzer di nomine. E il messaggio recapitato ieri è di facile lettura: caro presidente, occhio perché sappiamo come sgambettarti.

Le mosse di Emiliano


Ma Emiliano ora cosa farà? Cercherà prima di tutto di riannodare il filo con i cinque stelle, sua antica passione. Non sfugge il paradosso dei numeri (il M5s ha cinque consiglieri, il Pd 15), ma la chiave è politica: in prospettiva, l’obiettivo del governatore è il patto di ferro tra i civici e i pentastellati. Anche per questo, e le vicende d’aula di ieri indurranno allo sprint, Emiliano spinge per una federazione dei civici, vecchia ambizione che dovrebbe sfociare in una sorta di macro-soggetto politico. Cercando pure di ripescare in qualche modo Cassano. E il Pd? Il governatore ritiene probabilmente il partito agli sgoccioli, col fiato corto. E lo scenario offre allora tre opzioni sul piatto: Emiliano archivierà l’incidente d’aula di ieri, oppure incasserà il colpo e farà sedimentare tutto in attesa di tempi migliori, o infine andrà allo scontro frontale e a tutto campo con il Pd. Con effetti imprevedibili anche sui futuri schemi delle candidature: citofonare Decaro per tastare il polso.

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