Uno strappo che fa rumore, tanto. Uno scatto d’orgoglio e dignità del Pd, raro, rarissimo in questi anni di dialettica troppo anemica, piatta, quasi suddita nei confronti di Michele Emiliano. E una bordata violenta, forse la prima con effetti diretti e concreti, al disinvolto civismo extralarge del governatore. Il Pd pugliese, in piena crisi di identità e futuro, si scuote dal torpore e lancia un segnale di vitalità e forza. Il “licenziamento” di Massimo Cassano da direttore dell’Arpal (qui la notizia) - la potente e preziosa (per chi la gestisce) Agenzia regionale del lavoro - stavolta non è il capriccio di un ristretto club di consiglieri dissidenti e perennemente sul piede di guerra: in Consiglio il voto del gruppo Pd è (di fatto) compatto, in scia si mette anche il M5s, e il messaggio a Emiliano è chiaro, tuonante. D’accordo: ma ora?
Conseguenze, effetto domino, tattiche e strategie. La sfiducia a Cassano - con successiva defenestrazione - è la prima, vera, bruciante battuta d’arresto per Emiliano in sette anni di Regione. Una crepa, forse non ancora il segnale di cedimento di un sistema di governo e potere, più probabilmente è la scossa d’assestamento dopo le elezioni politiche e prima di future, cruciali scadenze elettorali. Di certo, è una frattura profonda nel centrosinistra regionale. Quasi un punto di non ritorno, che ridisegnerà rapporti e forse assetti. E potrebbe presto sfociare in un rimpasto di giunta regionale, o nel rischio di tensioni continue, stallo e ingovernabilità in Regione.
Il colpo a Emiliano è duro, e lo dimostra pure lo strenuo, un po’ disordinato e vano tentativo di bollare come incostituzionale la decadenza di Cassano.
Uno sguardo al passato
In passato il Pd tante volte ha avuto la possibilità di battere il pugno, di imbrigliare e marcare stretto Emiliano, su Arpal e non solo, di limitarne l’esondante tendenza a imbarcare chicchessia sotto lo spregiudicato ombrello del civismo, marginalizzando e svuotando proprio il Pd. Ma non lo ha fatto, quasi mai. L’atteggiamento molle, silente dei democratici di questi anni - con pochissime eccezioni, e vanno senz’altro citati i tre firmatari della proposta approvata ieri: Amati, Mazzarano e Mennea - è un dato incontestabile e che ha permesso a Emiliano di fare, disfare, strafare a piacimento. In altre circostanze, negli anni, il governatore era riuscito in Consiglio a disinnescare le mine vaganti e gli “agguati” dell’ala più critica, sfoggiando tutto l’arsenale di persuasione, trattativa e minaccia. E il Pd e la sinistra hanno spesso preferito accucciarsi dietro lo scudo protettivo del governatore, per debolezza o talvolta per convenienza.
L’atto di ribellione del Pd va comunque contestualizzato. L’ultima seduta del Consiglio regionale sconta le molte scorie del dopo elezioni politiche e solleva altrettanti interrogativi. Uno su tutti: dopo la prova muscolare dei democratici in aula, cosa succederà? Gli attori del copione sono tre: i dem, i cinque stelle e il governatore con tutta l’arca del civismo a corredo.
Le motivazioni (doppie) del Pd
Il Pd ieri ha armato il pugnale (metaforico, s’intende) spinto da due molle: il segnale delle elezioni del 25 settembre, non certo esaltante per i dem; la corsa allo scacchiere di candidature, perché all’orizzonte già si profilano nuove sfide (le Comunali, anche a Bari, e le Regionali magari anticipate). Col sospetto che Emiliano «volesse isolarci ancora di più», digrigna i denti qualche esponente pd di prima fascia. Nelle riunioni di gruppo consiliare tra i più accesi e convinti sostenitori della rimozione di Cassano ci sarebbe stato persino Raffaele Piemontese, vicepresidente della giunta e rampante esponente del Pd foggiano. Peraltro, la rumorosa assenza di Emiliano al vertice del gruppo dem, precedente al Consiglio, è stata percepita come uno sprezzante guanto di sfida. Risultato: i democratici hanno dato fondo a un’insospettabile riserva di forza e capacità d’alzare il muro in aula, convincendo anche quei consiglieri di solito fedelissimi del governatore. La vera sfida però arriva adesso: continuare a fare argine e catenaccio, compattarsi, ingaggiare un confronto serrato e franco con Emiliano, su tutto. È anche su questo terreno che si misureranno le chance di rinascita del Pd e dei leader in rampa di lancio verso ulteriori destini, come Antonio Decaro.
Gli alleati a 5 Stelle
I cinque stelle ieri, forse per la prima volta, si sono trovati invischiati nella più classica e “sporca” meccanica d’aula: davanti al bivio, all’ultimo minuto hanno scelto di mollare Emiliano e di fare squadra col Pd. Ma il segnale qui è tutto politico: i pentastellati, corazzati dai risultati delle elezioni nazionali (primo partito in Puglia), pretendono dal governatore più spazio in giunta, sui temi e nel valzer di nomine. E il messaggio recapitato ieri è di facile lettura: caro presidente, occhio perché sappiamo come sgambettarti.
Le mosse di Emiliano
Ma Emiliano ora cosa farà? Cercherà prima di tutto di riannodare il filo con i cinque stelle, sua antica passione. Non sfugge il paradosso dei numeri (il M5s ha cinque consiglieri, il Pd 15), ma la chiave è politica: in prospettiva, l’obiettivo del governatore è il patto di ferro tra i civici e i pentastellati. Anche per questo, e le vicende d’aula di ieri indurranno allo sprint, Emiliano spinge per una federazione dei civici, vecchia ambizione che dovrebbe sfociare in una sorta di macro-soggetto politico. Cercando pure di ripescare in qualche modo Cassano. E il Pd? Il governatore ritiene probabilmente il partito agli sgoccioli, col fiato corto. E lo scenario offre allora tre opzioni sul piatto: Emiliano archivierà l’incidente d’aula di ieri, oppure incasserà il colpo e farà sedimentare tutto in attesa di tempi migliori, o infine andrà allo scontro frontale e a tutto campo con il Pd. Con effetti imprevedibili anche sui futuri schemi delle candidature: citofonare Decaro per tastare il polso.