La cartolina del Salento con troppe nuove ombre

di Adelmo GAETANI
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Giovedì 22 Luglio 2021, 05:00

La grande bellezza a grande bruttezza: il rischio c’è ed è reale, se non si cambia registro. In tempi rapidi. La celebrata cartolina di un Salento magico, fascinoso, iconico, anche un po’ invidiato, va incenerendosi assieme agli alberi di ulivo dati alle fiamme a completamento dell’opera distruttiva avviata dalla Xylella e colpevolmente implementata da diffusi comportamenti incivili che trattano il territorio come una grande discarica. E tutto avverrebbe nel silenzio e nell’indifferenza generale, se, oltre ai continui allarmi di una cronaca inquietante, personalità come Giacinto Urso non facessero sentire la loro voce sdegnata, raccolta e rilanciata da questo giornale, su un disastro ambientale annunciato, atteso e ora sotto gli occhi di tutti, anche di chi non vuol vedere.
Nel 2007, in Puglia, presidente Nichi Vendola, fu varata la legge regionale 14 a tutela degli alberi di ulivo monumentali “in virtù della loro forza produttiva, di difesa ecologica e idrogeologica, nonché quali elementi peculiari e caratterizzanti della storia, della cultura e del paesaggio”. Si voleva contrastare l’espianto di ulivi per trasferirli al Nord, fenomeno sicuramente deprecabile anche se numericamente poco significativo e comunque non emergenziale, come si intendeva far credere. Eppure si intervenne con urgenza e grande mobilitazione mediatica. 

Pochi anni dopo, davanti alla devastante avanzata della Xylella che, solo in provincia di Lecce, avrebbe distrutto nove milioni di ulivi su dieci, la paralisi delle Istituzioni è stata totale, quando non connivente con le posizioni che, oggettivamente, hanno finito col favorire il processo di devastazione del territorio che ha toccato anche, seppur in misura minore, le province di Brindisi e Taranto. Nulla è stato fatto per contrastare l’avanzamento del batterio che, indisturbato, in pochi anni ha potuto completare la sua opera distruttrice; poco o niente si sta facendo per avviare l’opera di rinascita dell’economia agricola salentina che significa anche ricostruzione di un paesaggio oggi desertificato e annerito dagli incendi, in alcuni casi provocati, in altri casi spontanei come conseguenza della mancata manutenzione del territorio, a partire dalle strade comunali di campagna abbandonate a se stesse e costeggiate da erba essiccata alta anche un metro, facile veicolo per le fiamme.
Dopo anni di delusioni e di sconfitte, la rassegnazione ha avuto il sopravvento tra gli agricoltori e il definitivo abbandono al loro destino delle campagne, fenomeno sempre più palpabile, sarebbe l’esito inevitabile senza organici interventi di sostegno organici, che al momento mancano o sono bloccati da incertezze gestionali e ritardi burocratici. In tutto questo, la Regione Puglia continua ad essere la grande assente nell’operatività, non nelle promesse, mai elargite con avarizia. 
Un vecchio proverbio ammonisce: “E’ affar tuo quando brucia la parete del tuo vicino”. Significa che quanto sta avvenendo nel Salento è affare di tutti, nell’accezione più vasta, anche perché gridare al fuoco non aiuta a spegnere l’incendio se non si agisce con mezzi idonei, nei tempi giusti e soprattutto se non si eliminano le cause che determinano l’emergenza.


La Xylella, gli incendi e, per non farci mancare niente, il sistematico inquinamento fai-da-te del territorio. Un ulteriore sfregio arriva dalla proliferazione di pericolose discariche abusive e dai tanti che abbandonano rifiuti di ogni tipo e in ogni dove. L’aggressiva diffusione dei pannelli fotovoltaici e l’inarrestabile consumo del suolo soprattutto per la realizzazione di nuove costruzioni, completano un quadro desolante.
Non si considera che l’attacco alla bellezza del paesaggio e dell’ambiente si traduce in un incalcolabile danno di immagine con ricadute negative sulle attività economiche, in particolare a quelle legate all’accoglienza di visitatori italiani e stranieri. E in questo caso la responsabilità ricade su quei salentini - e non sono pochi - che, senza vergogna, tradiscono la loro terra, che è la loro casa, due volte: prima violando la legge, poi rinnegando il loro senso di appartenenza. 
Poco meno di due anni fa, la vincitrice del Premio Oscar e salentina d’adozione, Helen Mirren, aveva voluto lanciare l’allarme contro i “barbari” deturpatori del territorio e, dando il buon esempio, aveva ripulito le stradine di campagna divenute ricettacolo di rifiuti. Una lezione di rispetto per il bene comune, di buon comportamento civico che, allo stato delle cose, sembra caduta nel vuoto, per ignavia, irresponsabilità o sottovalutazione.
C’è chi pensa, illudendosi, che la cartolina di un Salento turistico, meraviglioso per i suoi paesaggi e alla moda per la sua forza attrattiva, possa essere l’enorme ombrello capace di ripararci dal temporale, non considerando la volubilità di alcuni fenomeni socio-economici, oltre che culturali, e la facilità con cui credenziali, conquistate con fatica e impegno, possono andare rapidamente in fumo quando vengono meno standard qualitativi - la bellezza del territorio è tra i più importanti - sui quali è stato costruito il percorso di una rapida crescita, anche per questo con radici poco profonde che possono assicurare una relativa tenuta.
La solidità del castello costruito negli ultimi due decenni con il marchio Salento - la luce, il mare, il barocco, il cibo, per dirla con Ferzan Ozpetek - è tutta da verificare, giorno dopo giorno. Non si può pensare di poter oltraggiare il territorio, desertificarlo, ridurlo in cenere e poi presentarlo al mondo come il luogo del miraggio, della bellezza, della storia infinita e della cultura profonda, che si ritengono graziosamente innervate nel Dna di ogni buon salentino.
Questa cartolina autoconsolatoria rischia di restare sfregiata per sempre se non si imporrà un nuovo protagonismo capace di rivendicare e ottenere dalle Istituzioni preposte gli interventi negati; un protagonismo che deve necessariamente muoversi assieme alla presa di coscienza delle nostre responsabilità, che ci sono e non sono secondarie.
Il Salento, sulla cresta dell’onda, non poteva non avere anche la sua colonna sonora, un mix di musica tradizionale e moderna: dalla Notte della Taranta ai brani di grande successo di Biagio Antonacci, Boomdabash e Alessandra Amoroso, Vinicio Capossela, Daniele Silvestri dedicati a questa terra. Per non parlare dei Sud Sound System che la colonna sonora cominciarono a scriverla oltre 20 anni fa o, ancora più in là nel tempo, era il 1970, quando Lucio Battisti volle celebrare la magia dei colori del mare di Porto Cesareo con “Acqua azzurra, acqua chiara”.
Salvare l’immagine del Salento vuol dire anche evitare che questa colonna sonora, una volta perso il suo rapporto con una realtà mutata in peggio, finisca con l’alimentare nostalgicamente i nostri malinconici ricordi.
Domenica scorsa, a Serrano, il paroliere principe della musica italiana, Mogol, è stato premiato nell’ambito della manifestazione L’Olio della Poesia. Nell’occasione il giornalista Massimo Melillo, uno dei curatori dell’iniziativa, ha ricordato come nel 1972 il paroliere-poeta fu stregato da un brano “ambientalista” musicato da un giovanissimo Guido Maria Ferilli, il grande compositore salentino autore di immortali successi internazionali, e volle curarne il testo. “Il bosco no”, questo il titolo della canzone, poi interpretata da Adriano Pappalardo, e questo uno dei versi: “Io vivo per lavorare. Lavoro per mangiare. Ma il bosco non lo voglio tagliare. Scusa, padrone, non lo farò”. Era un coraggioso boscaiolo che si rifiutava di distruggere gli alberi rischiando il posto di lavoro e le sue condizioni di vita. Un messaggio forte agli inizi degli anni Settanta che, forse, pochi potevano comprendere.
Ora la sensibilità è cambiata, la tutela dell’ambiente e della natura è diventata una priorità assoluta in un mondo assediato da ogni tipo di veleni.

Ma, per ragioni diverse e alcune di difficile interpretazione, questa sensibilità diffusa e condivisa, certe volte sembra fermarsi alle porte del Salento, dove molti continuano a giocare con il fuoco. In senso materiale e metaforico. Il sogno, che si spera possa trasformarsi in realtà, è che ogni salentino voglia essere o diventare, come il coraggioso boscaiolo de “Il bosco no”, sentinella di una terra che ha bisogno di essere rispettata e protetta sicuramente dalle Istituzioni, ma anche dai suoi cittadini che responsabilmente sono chiamati a difenderla per evitare di gettare nella spazzatura dell’inciviltà quanto di buono è stato fatto sinora.

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