Il lavoro si crea con le imprese, non per legge

di Enrico DEL COLLE
4 Minuti di Lettura
Venerdì 22 Ottobre 2021, 05:00

Prima della pandemia l’occupazione in Italia era caratterizzata da un tasso pari al 59% che, se confrontato con quelli degli altri Paesi europei, la collocava in fondo alla graduatoria (con una media Ue del 69% circa, meglio soltanto della Grecia al 57% e con la Germania lontana al 77%, fonte Eurostat). Oltre a ciò, il nostro Paese registrava un tasso di disoccupazione (poco meno del 10%), molto distante dalla media europea (intorno al 6%).

Quello giovanile era addirittura confinato al penultimo posto in Europa (poco meno del 30%, migliore soltanto della Grecia, 35% circa), come pure quello di genere (9% circa quello degli uomini e poco più dell’11% quello delle donne, contro rispettivamente il 6% e il 7% della media Ue, fonte Ocse) e il tasso di inattività – “specchio” dell’enorme difficoltà del Paese in tema di lavoro – era del 35% circa, anch’esso “staccato” di almeno 10 punti percentuali dalla media Ue. Ora la situazione non è molto cambiata, anzi il Covid l’ha ulteriormente aggravata con la perdita di circa un milione di occupati, ripartiti quasi totalmente tra indipendenti e dipendenti a tempo determinato (la componente a tempo indeterminato non ha subìto forti “scossoni”) – con un loro parziale recupero (circa 500mila, più evidente nei contratti a termine) in questi ultimi mesi – e anche nel confronto europeo la condizione non appare affatto migliorata (attorno al 58% il nostro tasso di occupazione contro il 68% della media Ue e con la Germania già al livello pre-pandemico). Oggi tutte le Istituzioni competenti (nazionali ed internazionali) ci vedono in forte ripresa fino a classificarci ai primi posti tra i Paesi europei in termini di crescita economica (qualche giorno fa il Fmi ha certificato un più 5,8% del Pil a fine d’anno, a fronte di più 5% dell’Eurozona e con la Germania a più 3,1%) e allora ci chiediamo: saremo capaci di “trasferire” questa ripresa sull’occupazione (possibilmente stabile) e in che misura? A tale riguardo il Governo è al lavoro nella preparazione della prossima legge di bilancio, dove confluiranno disposizioni volte a migliorare le politiche attive per il lavoro (mediante il programma Gol), così come dovrebbe essere inserita una profonda “revisione” degli ammortizzatori sociali (il riordino dovrebbe avvenire tramite un meccanismo di tutela erga omnes, cioè esteso anche ai lavoratori autonomi e a quelli delle microimprese che perdono il lavoro), oltre ad un puntuale provvedimento idoneo a ridurre significativamente il cuneo fiscale; ma questo, seppur importante, “pacchetto” normativo sarà sufficiente per avviare una stagione di poderoso impulso al lavoro senza il quale potremmo avere conseguenze rovinose, traducibili, ad esempio, in un aumento delle già marcate disuguaglianze sociali esistenti nel Paese? Siamo convinti che una “spinta” definitiva all’occupazione andrebbe completata con altri interventi: in particolare, appaiono indifferibili concrete e incisive azioni del mondo imprenditoriale volte ad ammodernare il sistema produttivo attraverso fusioni di aziende, ad esempio, in modo di aumentare le relative dimensioni con l’obiettivo di essere più competitive e maggiormente coinvolte negli investimenti in tecnologie innovative e sostenibili (ricordiamo che gli investimenti privati sono costantemente “fermi” a poco meno di 300 miliardi annui, cioè meno del 20% del Pil).

Al tempo stesso però non devono essere considerati accessori i possibili provvedimenti dal lato della formazione – caratterizzandoli per un irrinunciabile processo di riqualificazione del capitale umano, visto che gli occupati in settori ad alta tecnologia rappresentano non più del 4% del totale (dati Istat) – e da quello dell’istruzione, considerato che la domanda di nuovo lavoro verte in prevalenza su figure professionali giovani che il sistema educativo stenta a preparare (come i dati Unioncamere dimostrano ampiamente, considerato che è introvabile circa il 40% dei profili richiesti). Insomma, il tema del lavoro appare molto complesso e spetta a tutti gli interessati il compito di operare nella stessa direzione, con condotte comuni coordinate e guidate da una sana coerenza alla quale non deve mancare la necessaria attenzione verso il sempre vivo problema delle disparità territoriali e dei relativi fabbisogni. 

© RIPRODUZIONE RISERVATA