Uil, Giannetto lascia dopo 30 anni. Il segretario: «La sfida è riportare i giovani nel sindacato»

Uil, Giannetto lascia dopo 30 anni. Il segretario: «La sfida è riportare i giovani nel sindacato»
di Pierpaolo SPADA
7 Minuti di Lettura
Martedì 28 Giugno 2022, 05:00

Sornione, dietro il baffo. Il sorriso non manca mai. Nato a Castiglione di Sicilia, alle radici dell’Etna, spalanca gli occhi quando s’infuria. Il sorriso che riserva in pubblico lo caratterizza, però, assai più, anche quand’è sarcastico. Salvatore Giannetto: dopo trent’anni, si congeda dalla segreteria leccese del sindacato ma non dalla Uil di cui è massima e longeva espressione territoriale. Ebbe tutto inizio, quasi per caso, da un amore. 


Segretario Salvatore Giannetto, a 16 anni giocava in serie D nella squadra di calcio del suo paese, poi s’iscrisse al Magistrale e 4 anni dopo alla facoltà di Lingue: ambiva davvero a diventare sindacalista? 
«No, io volevo fare l’insegnante o il diplomatico. Optai per Lingue a Bari perché in Sicilia occorreva un esame integrativo. Poi, a 4 esami dalla laurea, conobbi una ragazza: rimase incinta e un mese dopo che la sposai partorì la mia prima figlia. Fui pertanto costretto a lasciare gli studi per cercare lavoro. E quando chiesi aiuto a mio cugino dirigente alla Montedison di Brindisi, lui mi fece assumere come elettricista da un’azienda appaltatrice. Era il ’67, avevo vent’anni. Ma qualcosa mi turbò subito». 
La paga? 
«Di 29mila lire appena. Ma era il capo squadra a farmi irrigidire. Poco istruito, aveva un piglio da dittatore. Mi opposi tanto da non passare inosservato al segretario di Uilm Brindisi, Giorgio Benvenuto, che, a un certo punto, m’invito a farmi avanti. Nel ’69 mi presentai alle elezioni del Consiglio di fabbrica e fui eletto».
Quale politico la sosteneva?
«Il mio punto di riferimento era Riccardo Lombardi. E, con lui, Claudio Signorile e tutto il Partito Socialista accompagnarono la mia ascesa».
Crede ancora nella politica?
«Sì, ma non ho più punti di riferimento». 
E nell’incisività del sindacato? 
«La realtà è mutevole, il sindacato deve individuare di volta in volta gli strumenti per aggredirla».
Qual è la battaglia più importante vinta con Uil?
«Vertenza Saca, azienda aeronautica di Brindisi: l’autogestimmo con Fim e Fiom».
Quella persa?
«Quella contro la Xylella». 
Anche le mafie vi tolgono “terreno”?
«Durante la pandemia sono stati dati incentivi a pioggia. Come Uil, abbiamo chiesto per primi di tassare l’extra-profitto di chi in crisi non era, perché avrebbe danneggiato anche i lavoratori. Uno schiaffo a tutta quella gente che oggi è ricompensata con la povertà anche se lavora». 
E lei si è mai sentito a rischio? 
«Nel ’92, a Brindisi. In un comizio per Benvenuto dissi, forse, qualcosa che non dovevo. Quella sera partii per Roma per un’iniziativa nazionale e qualcuno sparò alle finestre della mia villetta, dove c’era mia figlia grande. Poi fui minacciato: “Stai attendo che hai una bella moglie e una bella figlia”, mi dissero. E scattò la scorta, per me e la mia famiglia».
Per questo motivo si trasferì a Lecce?
«No. A Lecce fui mandato per rilanciare la Uil, come ho fatto». 
E senza lasciar nulla di incompiuto?
«Avrei voluto creare una scuola di formazione sindacale che sostenesse i giovani nella comprensione del passato, del presente e del futuro del sindacato». 
Nella segreteria leccese, intanto, ci ha fatto casa, tanto che qualcuno l’accusa d’essersi attaccato alla poltrona.
«Non ho scelto da solo di essere segretario generale per trent’anni: sono stato eletto ogni 4 anni all’unanimità. Ciò significa che, nonostante qualche attrito, sono stato il segretario di tutti e ho cercato di creare coesione confederale tra le categorie. Io provengo dal mondo operaio. Al sindacato ho dedicato tutta la mia vita, trascurando talvolta anche i miei cari». 
Fino a che punto?
«Una sera dimenticai di prendere mia figlia all’uscita dalla scuola di danza perché ero impegnato in una trattativa importante. E a mezzanotte mi chiamarono i carabinieri perché l’avevano trovata sola in strada». 
La Uil che lascia è in salute?
«Lascio una Uil con 40mila iscritti e un gruppo dirigente forte, in grado di poter colloquiare con qualsiasi interlocutore e, all’occorrenza, scendere in piazza e fare battaglie». 
Ma senza il contributo dei pensionati sarebbe autosufficiente?
«I pensionati sono decisivi, ma altrettanto rilevante è la quota di lavoratori attivi». 
Non sono, certo, i giovani a rappresentarvi.
«C’è netta prevalenza di contratti a tempo. Pertanto, c’è poca fiducia nel mercato del lavoro e nel sindacato». 
Forse siete anche meno presenti?
«Siamo ovunque». 
Anche laddove donne ricamano a mano capi di lusso per 2 euro l’ora?
«Siamo presenti nelle aziende strutturate, nei laboratori familiari non ci fanno entrare».
E basta un “no” per farvi desistere? 
«E che dovremmo fare?». 
Nemmeno sui campi vi si vede troppo.

«La Uila è la prima categoria per numero di iscritti in provincia di Lecce».
Lei si è sempre opposto a chi ritiene che l’attuale carenza di stagionali sia da attribuire al Reddito di cittadinanza. Perché allora non siete ogni giorno fuori da campi, bar, lidi, alberghi e ristoranti a denunciare lo sfruttamento dei lavoratori?
«Che i ragazzi non vogliano lavorare è falso. Stamattina è venuto un ragazzo immigrato: ha raccontato d’aver lavorato 10 ore al giorno per 4-500 euro al mese, meno del Reddito di cittadinanza. Noi andiamo nei luoghi da cui provengono segnalazioni». 
Se così fosse, la città sarebbe piena di sindacalisti.
«Lo so, il sindacato non è più barricadiero. Ed è probabilmente questo l’atteggiamento che non piace ai giovani. E da qui occorre ripartire per individuare il modo di riavvicinarci a loro. Sulla piattaforma Terzo Millennio proviamo a dare risposte». 
E il territorio com’è cambiato?
«Con la terziarizzazione, sono diminuiti anche i diritti. Quindi, c’è più bisogno di sindacato». 
Ma voi nel “salotto” leccese siete ospiti o coinquilini?
«Il sindacato sarà sempre lì dove saranno presenti anche solo un “padrone” e un lavoratore». 
Di chi è la responsabilità se qui si muore sul lavoro più che nel resto della Puglia?
«È una strage, anche di pensionati. I contratti pirata spopolano. Poi, c’è molto “nero” e pochi controlli: mancano gli ispettori». 
È un mantra. Ma perché le assunzioni non avvengono mai in misura adeguata?
«Dubito che ci sia una volontà politica in tal senso. Ritengo piuttosto che la politica sia disattenta nell’affrontare la questione. Bisogna attivare un sistema premiale che penalizzi le aziende inadempienti». 
Anche il sindacato potrebbe fare di più?
«Incidiamo dove ci siamo. Ma oggi aprono e chiudono aziende e cantieri da un giorno all’altro. Tanto sfugge». 
Intanto, storcete il naso anche davanti al salario minimo: se i vostri contratti sono derogabili, restano utili?
«Per noi il salario minimo va bene, purché sia quello previsto dai contratti nazionali firmati dalle organizzazioni più rappresentative. Sono i contratti pirata che trascinano al ribasso la contrattazione. Lo Stato deve riaffermare il significato di sindacato: un simbolo non basta». 
E il Pnrr può elevare lo standard occupazionale anche in Salento?
«Se c’è oculatezza e verifica. Abbiamo proposto la nostra collaborazione alla Provincia». 
Figlio dello storico segretario della Uilm, oggi Mauro Fioretti sarà eletto suo successore: perché l’ha scelto? 
«Io non ho designato alcun nome. Noi scioglieremo le camere sindacali territoriali. Ai delegati del Congresso sarà proposto, dunque, un coordinatore che gestirà tutta la provincia. Fioretti è uno dei dirigenti che può assumere questo ruolo: ha lavorato bene nella Uila».
E lei, invece, da domani che farà?
«Ho dato e ricevuto tanto. Oggi ho 74 anni ma non sono ancora pronto per andare in pensione. Quindi, se Uil lo vorrà, resterò a disposizione. Nel frattempo, riposo un po’».
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