Emiliano a Burgesi: «E adesso paghi chi ha tombato i veleni»

Emiliano a Burgesi: «E adesso paghi chi ha tombato i veleni»
di Paola ANCORA
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Martedì 27 Dicembre 2016, 12:52 - Ultimo aggiornamento: 28 Dicembre, 16:10

«Chi ha compiuto, tollerato o colpevolmente agevolato l’attività criminosa ha l’obbligo di ricercare i veleni e bonificare l’area», ha detto il presidente della Regione Michele Emiliano davanti al cancello della discarica di Burgesi, a Ugento. In quell’impianto dismesso nel 2009 e che dal 1991 ha accolto i rifiuti di mezzo Salento, sono stati infatti tombati almeno 600 fusti di veleni, precisamente di policlorobifenili (Pcb) oggi presenti in concentrazioni elevatissime nel percolato analizzato dal Cnr di Bari su richiesta dei carabinieri del Noe e del Nucleo investigativo e che rischiano di arrivare fino alla falda, all’acqua profonda che scorre nel corpo del Salento.
Non è la prima volta che si parla di veleni tombati a Burgesi o nelle immediate vicinanze. Ci sono state inchieste e condanne definitive per l’inquinamento provocato in quell’area.
Ma dal 2014 i militari dell’Arma indagano per trovare riscontri alle nuove dichiarazioni rese dall’imprenditore Gianluigi Rosafio, genero del boss ergastolano della Scu Pippi Calamita. Ai carabinieri e poi ai pm, Rosafio ha riferito i nomi degli imprenditori e delle imprese che sarebbero stati coinvolti in un traffico illecito di rifiuti pericolosi, grazie al quale, per decenni, veleni di ogni tipo sarebbero stati tombati a pochi chilometri dai centri urbani di Ugento, Acquarica e Presicce, dentro una discarica autorizzata e a titolarità pubblica, in spregio alla legge e alla salute dei salentini.

Oggi Rosafio, che all’inizio degli anni Duemila è stato condannato in via definitiva per traffico illecito di rifiuti, è l’unico indagato nell’inchiesta aperta dalla Procura due anni fa e per la quale, a fine novembre, i pm Angela Rotondano ed Elsa Valeria Mignone hanno chiesto l’archiviazione. I reati, commessi fra il 1999 e il 2000, sono andati prescritti, ma «gli obblighi di una eventuale bonifica – ha tuonato ieri Emiliano – sono imprescrittibili».
 

 
                     

Il presidente della Regione già all’inizio della prossima settimana convocherà a Bari i sindaci dei Comuni di Ugento, Acquarica e Presicce – Massimo Lecci, Francesco Ferraro e Riccardo Monsellato – presenti ieri al sopralluogo che Emiliano ha voluto fare a Burgesi. E a quel tavolo il presidente chiamerà anche la Monteco, l’impresa che sempre dal 1991 gestisce la discarica e che, oggi, è incaricata della post-gestione dell’impianto.
 
Emiliano ha chiarito di voler sentire il titolare della discarica, cioè Mario Montinaro: «Lo convocherò – ha detto il presidente – perché questa non è una discarica abusiva, ma un impianto ufficiale sul quale, nel corso degli anni, sono stati investiti diversi milioni di denari pubblici e dove, secondo le dichiarazioni di Rosafio, sarebbero stati commessi dei reati. Monteco - ha aggiunto Emiliano - potrà dimostrare di essere parte offesa in questa vicenda, se il tombamento dei fusti è avvenuto a sua insaputa. Non salto a conclusioni affrettate, ma vedo un cancello piuttosto difficile da valicare anche senza sorveglianza».

Un cancello e, tutto intorno, un muro di cinta alto qualche metro con tanto di filo spinato in cima circondano Burgesi: una montagna di rifiuti di almeno tre ettari di superficie, oggi coperta da terriccio e, più sotto, da un telo in plastica nera. Quel telo che non è riuscito a contenere, in questi lunghi anni, la rabbia e le denunce delle popolazioni che vivono vicino alla discarica, «Ma oggi come si fa?» ha allargato le braccia Mario Paiano, già consigliere comunale a Ugento e presidente della commissione speciale che anni fa fu insediata proprio per far luce sull’inquinamento causato da Burgesi.

Caschetto in testa, mascherina sul viso, Emiliano ha risalito la montagna di rifiuti insieme ai sindaci Lecci, Ferraro e Monsellato e ai tecnici di Monteco che sorvegliano la discarica. «Come si fa - ha proseguito Paiano - a individuare il sito dove sono stati tombati quei fusti? Con tutte le sopraelevazioni che ci sono state, come si fa? Ma lei lo sa - ha proseguito - che nel 2002, quando l’autorizzazione all’esercizio della discarica andò a scadenza, quel permesso fu rinnovato con una semplice delibera di Giunta?». E intanto, nella Puglia dell’interminabile emergenza, Burgesi accoglieva l’immondizia di un bacino di Comuni ben superiore a quello inizialmente previsto e in base al quale la discarica, sistemi di sicurezza compresi, era stata progettata.

Poco fuori il confine di Burgesi svetta il megaimpianto di stoccaggio dei rifiuti differenziati costato cinque miliardi e 301 milioni di vecchie lire. Denaro pubblico servito a realizzare un impianto che avrebbe dovuto “digerire” i rifiuti differenziati, nell’ottica di una riduzione progressiva della quantità di immondizia da mandare a Burgesi, «in un periodo in cui le discariche di Puglia fatturavano mediatamente 20 milioni di euro l’anno ciascuna» ha spiegato il parlamentare di CoR Rocco Palese, che è stato assessore regionale con l’allora presidente Raffaele Fitto.
Nel Salento dei rifiuti, dove fino a oggi la differenziata è stata considerata alla stregua di un fastidioso orpello e dove gli appalti sono stati affidati con ordinanze sindacali o semplici determine dirigenziali per decenni, di proroga in proroga, sempre alle stesse imprese, quell’impianto di stoccaggio non ha mai funzionato. Neanche un giorno. E oggi è ridotto a rudere: un contenitore vuoto, vandalizzato, monumento allo spreco e all’omertà diffusa che per decenni ha consentito di usare il Salento come immondezzaio di ogni veleno possibile mentre i cittadini pagavano tasse sempre più elevate, per coprire i costi di un servizio di raccolta e di conferimento in discarica dei rifiuti sempre uguale a se stesso, vetusto, funzionale all’interesse
di pochi.

Emiliano si è detto deciso a evitare che l’inquinamento doloso della terra salentina finisca per non avere colpevoli e per evitare, ancora, che l’onere della bonifica venga scaricato sulle spalle degli enti pubblici, cioè dei cittadini. Costretti, quindi, a pagare due volte: una prima volta per lo smaltimento dei rifiuti, un’altra per la bonifica della discarica illegalmente infarcita di veleni.
Un epilogo inaccettabile, nonostante - ha tenuto a rassicurare tutti il presidente della Puglia - la Regione disponga di svariati milioni di euro destinati con il Patto per il Sud proprio alla bonifica dei siti inquinati. Ma a pagare «dovrà essere chi ha inquinato», ha chiarito il presidente. Perché nessuna prescrizione potrà risarcire chi si trova ogni giorno a fare la conta dei morti per cancro e degli ammalati alla vescica e alla tiroide. Perché, come ha detto un giovanissimo agente della Forestale, impettito nella sua divisa verde e nell’armatura di principi e belle speranze, «da queste parti c’è un morto per tumore in ogni casa
 

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