Quantità di veleni «largamente superiori» ai livelli massimi consentiti. Non solo. Nei pozzi “spia” al servizio della discarica dismessa in località Burgesi, a Ugento, è stata accertata anche la presenza di vari composti, appartenenti sempre alla classe dei policlorobifenili (Pcb), ma derivati dalla degradazione dei primi veleni smaltiti illegalmente in quella discarica. E la concentrazione di tali composti, anch’essi fortemente tossici e certamente cancerogeni, è cinque volte superiore a quella dei Pcb iniziali.
Le dichiarazioni fatte ai pm Elsa Valeria Mignone e Angela Rotondano dall’imprenditore Gianluigi Rosafio - genero del boss ergastolano della Scu Pippi Calamita e già condannato in via definitiva nei primi anni Duemila per traffico illecito di rifiuti - trovano conferma nelle 40 pagine scritte dall’Istituto di Ricerca sulle Acque (Cnr Irsa) di Bari e consegnate alla Procura lo scorso settembre.
Quaranta pagine nelle quali si certifica, senza ombra di dubbio, che fra il 1999 e il 2000 a Burgesi sono state tombate enormi quantità di veleni. In parte già rinvenute grazie alle inchieste aperte in quegli anni e che hanno portato a diverse condanne, compresa quella di Rosafio. In parte, rimaste a marcire nel cuore della terra salentina, a trenta metri sotto la superficie e a poco più di un chilometro dai centri abitati di Acquarica e Presicce.
Oggi, l’inchiesta partita proprio dagli interrogatori fatti a Rosafio nell’ambito di un altro procedimento, quello sulla gestione degli appalti nell’ex Ato Lecce 2, ha consegnato all’opinione pubblica salentina due nuove certezze. La prima è che i reati commessi in quegli anni, quando alcune imprese strinsero un “patto del silenzio” per lo smaltimento illecito di rifiuti pericolosi in una comune discarica, sono andati tutti prescritti. Per questo i pm Mignone e Rotondano hanno chiesto l’archiviazione del procedimento. La seconda certezza è «l’elevato rischio ambientale» al quale, oggi, si deve porre rimedio mettendo in sicurezza e poi bonificando la discarica. Lo hanno chiesto proprio i magistrati al ministero, alla Regione e al Comune di Ugento nei giorni scorsi.
Di più. Dalla concentrazione di policlorobifenili rintracciata nelle diverse aree della discarica è stato possibile individuare il punto esatto dove Rosafio, a cavallo del 2000, ha interrato - a suo dire per conto di imprese del territorio e piemontesi, con sede anche nel Salento - i 600 fusti di Pcb. Gli uomini di Rosafio, infatti, avrebbero fatto almeno 30 viaggi su camion, trasportando Pcb e tombando tutto, con una pala meccanica, nel lotto numero 3 di Burgesi.
Da allora, quella bomba ecologica è rimasta sotto terra. A lungo si è parlato, sospettato, ipotizzato che non tutti i veleni di Burgesi fossero stati smaltiti. Fino alla discarica ugentina portava, peraltro, una delle piste battute dagli inquirenti per individuare colpevole e movente dell’omicidio di Peppino Basile, ancora irrisolto. Oggi, dopo il lavoro di indagine del nucleo investigativo dei Carabinieri di Lecce, del Noe e dei pm Mignone e Rotondano, sappiamo che di Pcb Burgesi è piena. E che, fortunatamente, quei veleni non sono ancora arrivati nelle acque di falda, come certificano le analisi. «Il telo plastico protettivo di contenimento della discarica - scrivono dal Cnr Irsa - evidentemente riesce a confinare efficacemente la contaminazione da Pcb». E la speranza è che quel telo resista e protegga la terra fino a quando le autorità preposte non metteranno in sicurezza la discarica di Burgesi e la salute di tutti.
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