«Nella discarica 50mila metri cubi di rifiuti mai rimossi: così hanno inquinato il suolo»: cinque indagati. Ci sono anche due sindaci

«Nella discarica 50mila metri cubi di rifiuti mai rimossi: così hanno inquinato il suolo»: cinque indagati. Ci sono anche due sindaci
di Matteo CAIONE
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Lunedì 10 Agosto 2020, 09:10
Inquinamento ambientale colposo e attività di gestione di rifiuti non autorizzata. Queste le principali ipotesi di reato che la Procura della Repubblica contesta ai cinque indagati nell'ambito dell'inchiesta sulla discarica di Cavallino. Ci sono i nomi di due sindaci, di un dirigente comunale e dei due rappresentanti delle società che nell'ultimo ventennio hanno gestito l'area finita sotto la lente della magistratura. Nei giorni scorsi si è chiuso il cerchio della complessa indagine che ha acceso un faro sugli ultimi 18 anni di gestione della discarica abusiva.

A tirare le somme è l'avviso di chiusura delle indagini preliminari e contestuale informazione di garanzia che il procuratore aggiunto Elsa Valeria Mignone, titolare del fascicolo, ha fatto notificare ai cinque indagati. Nell'atto compaiono i nomi dell'attuale sindaco di Cavallino, Bruno Ciccarese Gorgoni, in carica dal 2016, e del suo predecessore Michele Lombardi, primo cittadino per un decennio, dal 2006 al 2016: i due amministratori sono coinvolti perché nelle vesti di rappresentanti dell'ente hanno seguito le procedure amministrative relative alla realizzazione e gestione della discarica. Con loro è indagato anche Giuseppe Antonio De Giorgi, responsabile del settore lavori pubblici di Cavallino, nonché Rup (responsabile unico del procedimento) per i lavori di bonifica e messa in sicurezza provvisoria delle aree di deposito delle ecoballe.

Gli altri due nomi sono quelli dei vertici delle società che si sono alternate nella gestione della discarica: Gino Montinaro, legale rappresentante della Ambiente e sviluppo scarl che ha avuto in mano la conduzione dell'area dal 2001 al 2014, e Giuseppe Cesario Calò, amministratore unico della Geoambiente srl, la società che ha ricevuto il testimone nell'estate del 2014 e che gestisce attualmente il sito. Gli accertamenti dell'inchiesta si spingono indietro fino al 2002, quando l'allora presidente della regione Puglia e commissario per l'emergenza ambientale, Raffaele Fitto, destinò l'area in questione, che sorge in località Masseria Guarini, a piattaforma per lo stoccaggio temporaneo della frazione secca, nelle more dell'attivazione della linea di produzione del Cdr (combustibile derivato da rifiuti).

La Procura contesta agli indagati di aver di fatto trasformato l'area in un deposito permanente di ecoballe per un volume complessivo di 59mila metri cubi di rifiuti, di cui 48700 metri cubi ancora presenti. Rifiuti mai rimossi nonostante la fine, nel 2009, della fase emergenziale. Secondo le carte gli indagati avrebbero contribuito alla realizzazione di una discarica abusiva determinando in maniera colposa un danneggiamento del suolo causato da una impermeabilizzazione inadeguata del sito. La Procura mette nero su bianco anche la presenza di liquidi e percolato. Ma l'inquinamento ambientale riguarda anche l'emissione di odori molesti. Intanto, con la chiusura dell'inchiesta, gli indagati potranno cominciare a difendersi dalle accuse mosse. Poi la palla tornerà nuovamente nelle mani della Procura che dovrà decidere se procedere con la richiesta di rinvio a giudizio.
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