È in carcere in Kazakistan dall’11 luglio scorso, accusata di traffico internazionale di droga, ha raccontato ai famigliari di esser stata picchiata, segregata in una casa dai poliziotti per 18 giorni, ha perso nove chili e ha tentato due volte il suicidio. La storia di Amina Milo Kalelkyzy, 18enne di cittadinanza italiana nata in Kazakistan e cresciuta tra Lequile e San Cesario (alle porte di Lecce), assume contorni sempre più inquietanti. La ragazza a giugno era tornata nella nazione dove è nata, con la madre Assemgul Sapenova - in Salento conosciuta semplicemente come Asia - per fare visita a una parente che non sta bene, e lì è iniziata la sua odissea. La Farnesina - tramite una lettera inviata al nostro giornale, che già ieri aveva sollevato il caso - fa sapere che «il personale consolare italiano intrattiene contatti assidui con la famiglia ed effettua visite regolari assieme alla madre, per accertarsi delle sue condizioni e recare generi di conforto. Durante tutte le fasi processuali un funzionario dell’Ambasciata ha sempre partecipato in qualità di osservatore».
Amina ha respinto ogni accusa, ha scritto un biglietto chiedendo aiuto al ministro degli affari esteri Antonio Tajani, informato anche dall’intervento sul territorio del coordinatore regionale di Forza Italia e parlamentare Mauro D’Attis.
La situazione
La ragazza è stata fermata attorno alla metà di giugno, quando era in compagnia di un coetaneo del posto, e secondo quanto ha raccontato ai genitori sarebbe stata segregata dalla Polizia per 18 giorni in un appartamento privato.
Si indaga sugli abusi denunciati: accertamenti sugli agenti
La denuncia dell’avvocato kazako Alibek Sekerov, intanto, ha fatto sì che la Procura Speciale di Astana aprisse un’inchiesta sui presunti abusi raccontati dalla 18enne. Proprio oggi ci sarà un confronto tra gli agenti che l’avrebbero tenuta in ostaggio in una casa privata per giorni. In Kazakistan la storia è già diventata un caso nazionale: ne hanno parlato tutte le principali emittenti e anche su Instagram, tramite un hashtag, si è diffuso un movimento generalizzato nell’opinione pubblica per la liberazione della 18enne salentina. La famiglia e il legale della ragazza accusano la Polizia di averla costretta a firmare alcuni documenti, che per la giovane sarebbero stati assolutamente incomprensibili (non conosce né il russo e né il kazako, avendo vissuto negli ultimi 10 anni in maniera stabile in Italia), poco prima del nuovo arresto, avvenuto a luglio. E respingono tutte le accuse di spaccio internale di sostanze stupefacenti, ritenendole infondate e prive di prove. L’appello disperato è per le istituzioni italiane: «Liberate Amina», anche perché - assicurano - è depressa, in pessime condizioni di salute e non ce la fa più.