Una libreria e una città, specchi delle nostre vite

Una libreria e una città, specchi delle nostre vite
di Teo PEPE
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Venerdì 29 Gennaio 2016, 17:32 - Ultimo aggiornamento: 17:35
Una libreria e una città possono essere i poli di un mondo. Un mondo interiore, certo, ma grande abbastanza per contenere volti, emozioni, incontri e, in qualche caso speciale, i ricordi di un’intera comunità.
Così ecco che nell’universo tratteggiato da Daniela Palmieri nel suo piccolo-grande “Parole in prestito” (iQdB edizioni), si possono ritrovare in tanti, anche chi nella storia-non storia che Daniela racconta è stato meno di una comparsa, anche chi non conosce direttamente i fatti, i personaggi, i luoghi.
C’è una libreria, in questo racconto, che è una finestra aperta su una città che cambia. E c’è una città che cambia che nella libreria si specchia, scoprendo via via, con gli anni che passano, sofferenze che si stemperano e consapevolezze che si formano.
C’è un dolore troppo grande e ingiusto per due bambine che dovevano essere felici e c’è il coraggio di una donna che mette insieme i pezzi di una vita che sembrava impossibile riaggiustare, e che invece si aggiusta comunque, miracolosamente conservando, per sempre, il pezzo che continua a mancare.
È sorprendente scoprire che in un libro così piccolo ci sia una forza così grande. E che l’autrice, senza il timore di esporsi, riesca ad affidare a così poche pagine i tratti di un’esistenza. Anzi di due, anzi di tre, anzi delle esistenze di tutti quelli che da quella libreria sono passati e hanno visto, come Daniela scrive, gli anni che si inseguivano, i Natali che si succedevano (con i pacchetti regalo e la folla degli acquisti dell’ultima ora), le estati troppo calde che sembravano non finire mai.
E poi le chiacchierate, le discussioni, gli autori, le presentazioni. Le grandi firme e quelle piccolissime, gli scrittori celebri e la folla degli anonimi.
Tra quelle pareti foderate di libri e piazza Mazzini scorre il tempo. Passano, per Daniela, gli anni dell’adolescenza che sono poi gli anni Ottanta: compagne di scuola, feste, sabati al cinema, abiti con le spalline d’ordinanza, naturalmente tanti, tanti libri, e appena fuori dalla porta sciami di scooter colorati, la Standa a due passi come un pianeta da esplorare. Immagini rapide e nette, ricordi personali che si fondono con una memoria collettiva, generazionale.
Oggi che la città è cambiata, tante cose appaiono diverse. La piazza che per cinquant’anni a Lecce è stata sinonimo di “nuovo” e di modernità è invecchiata insieme a quelli che, veri pionieri, andarono ad abitarla per primi; i bambini che partecipavano ai pomeriggi di lettura sono diventati adulti, uomini e donne, ora hanno famiglie, impegni, responsabilità.
La libreria Palmieri è sempre lì, con i suoi protagonisti, la porta aperta sui pochi gradini che, più che dividere, uniscono due dimensioni: il pubblico e il privato. C’è Anna che in tutti questi anni è stata - ed è - memoria e futuro insieme, pilastro forte di un salotto che ha favorito non solo letture, ma anche conoscenze, scambi e amicizie. C’è Elvira, puntello fondamentale. Torna spessissimo Claudio, arguto e sapiente. Ci sono adesso Luigi e Daniela, c’è Lucia e c’è il piccolo Pietro che tra i libri ha il suo personale e meraviglioso parco giochi. E poi c’è Edo, naturalmente, che sempre rispunta, in mille e mille discorsi. Infine, i clienti: fedelissimi, antichi, nuovi, informati, pedanti, qualcuno un po’ fissato. E gli ospiti, i curiosi, i passanti.
Quanto sbaglia chi pensa a una libreria come a un luogo statico, connesso con l’immobilità. Pochi spazi possono essere più vivaci, e per scoprirlo basta pochissimo, è sufficiente andarci.
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