La tragedia delle tabacchine, una medaglia per ricordare

A 63 anni dal rogo che vide sei giovani operaie di Calimera arse vive nell’opificio in cui lavoravano, nell’aula consiliare del comune salentino la consegna dell’onorificenza al merito civile alla memoria

La tragedia delle tabacchine, una medaglia per ricordare
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Martedì 13 Giugno 2023, 05:10

Come ogni 13 di giugno, da 63 anni, alle ore 8.30, Calimera si ferma per ricordare le sei giovani donne arse vive nel tabacchificio dei concessionari “Pranzo e Villani”. Oggi alle 18, il Consiglio comunale consegnerà loro una medaglia al merito civile, alla memoria. Questi i nomi delle sei giovani donne, delle dodici chiamate al lavoro quel giorno: Luigia Bianco (34 anni), Assunta Pugliese (46 anni), Lina Tommasi (22 anni), Luigia Tommasi (30 anni). Epifania Cucurachi (28 anni), Lucia Di Donfrancesco (32 anni). Quattro persero la vita all’interno della fabbrica. Altre due morirono a seguito delle ustioni. Sulla lastra di marmo che ricorda l’episodio, a pochi metri dalla fabbrica, è scolpita una struggente poesia di Maria Roca Montinaro, che è anche un atto d’accusa verso gli imprenditori dell’epoca: “Per essere donne, maledettamente donne…”. Quella tragedia, fu ripresa dalla stampa nazionale. Su “Vie Nuove” l’inviata, Miriam Mafai, storica deputata del Pci e giornalista, scrisse un memorabile articolo che titolava: “Sulla via del tabacco”. Così come fece La Domenica del Corriere. La storia di quel maledetto giorno racconta che, per disinfettare il tabacco si utilizzava il solfuro di carbonio da depositare all’interno delle ballette. Un elemento altamente infiammabile e velenoso. A provocare l’incendio bastò una semplice disattenzione, l’assenza di misure di sicurezza fece il resto. A pochi passi dal tabacchificio è ancora presente la fontanina (a futura memoria) a cui le donne, avvolte dalle fiamme, si precipitarono nel tentativo di trovare salvezza. Fu l’ultimo atto. La carne al contatto si staccava dall’osso e finiva nel tombino sottostante. Sbriciolata “come foglie secche di tabacco”, scrisse in una poesia Antonio Campanelli.
(Fernando Durante)

Claudia PRESICCE
Le urla terribili, il fumo nero, la rete alla finestra che le rese prigioniere e bruciò loro il futuro: le immagini ricostruite del 13 giugno del 1960 del magazzino di tabacchi Lefons di Calimera sono quadri narrativi scolpiti nella storia del Salento. Raccontano storie drammatiche di donne e sfruttamento, di lavoro e morte: binomi di parole che non avrebbero motivo di esistere. 
Quel maledetto giugno di sessantatré anni fa dodici lavoratrici del tabacco si ritrovarono avvolte in un incendio improvviso e per sei di loro fu fatale: per un cerino che non avrebbe mai dovuto essere lì, trovarono un potente rogo senza via di fuga laddove dovevano trovare dignità e speranza, promesse e garanzie del lavoro. Sono le sei giovani donne oggi ricordate con questo dovuto riconoscimento a Calimera. C’è stato un lunghissimo tempo in cui tutta l’economia più florida in Salento girava intorno alla tabacchicoltura. 

La condizione delle tabacchine del Salento alla ribalta nazionale


Eredità dell’800, nella prima metà del ‘900 con tabacchifici onnipresenti nelle cittadine salentine e lavoratori del tabacco si muovevano cifre da capogiro. Nel 1950 si parlava di quasi 5 miliardi di lire di ricavo annuo industriale. E le tabacchine, che erano le operaie più sfruttate e meno garantite della catena produttiva, arrivarono ad essere circa 40mila. Al tempo dell’incidente la parabola di questa grande epopea produttiva cominciava ad essere discendente per andare a chiudersi nel decennio successivo. Ma, in quel giugno del ’60, per le donne delle classi popolari era ancora una speranza entrare nelle grazie delle cosiddette “maestre” che reclutavano le tabacchine. 
Le ricostruzioni dell’incendio al tabacchificio risalirono l’Italia intera, ne scrisse anche Miriam Mafai in un celebre articolo uscito nel luglio successivo dal titolo “Bruciate vive sulla via del tabacco”. Sentì la storia dalla voce delle sopravvissute e subito parlò di responsabilità dei concessionari e delle condizioni di lavoro delle operaie senza sicurezza. 
In anni recenti è stato il documentario “Arse vite” di Christian Manno e Alberto Giammaruco a riparlare di questa storia, dando voce ai tanti testimoni ancora in vita.

Ma ripartiamo dall’inizio. Il magazzino era di Giuseppe Lefons, gestito per le operazioni di disinfestazione del tabacco dalla ditta Villani. Quel giorno queste ragazze, senza indumenti ignifughi e in un ballatoio precario senza uscite di sicurezza, vennero mandate a disinfettare il tabacco col solfuro di carbonio. A guardarle nell’operazione c’era un addetto “alla sicurezza”, vice brigadiere Berardino Cecchini: fu lui ad accendersi una sigaretta. 

Il processo senza colpevoli


Fu rogo immediato dall’ingresso rapido verso l’interno. Le operaie avevano l’uscita in fiamme e l’unica finestra presente dall’altra parte era sbarrata da una rete che cercarono disperatamente di divellere. Nel frattempo arrivarono i soccorsi e alcune vennero tirate fuori. Quattro morirono tra il 13 e il 14 per le ustioni gravissime; Epifania il 16 luglio e Lucia dopo mesi e mesi di agonia nel gennaio del 1962. Tanti i feriti gravi, alcuni anche tra i soccorritori. Il sindaco di allora Giannino Aprile fece occupare il Comune dei funerali. Ma la rabbia del dramma evitabile montò, le richieste di sicurezza dell’ambiente di lavoro stavano maturando con i tempi moderni. Purtroppo nessuno pagò davvero nei vari processi che si succedettero per anni. In sede giudiziaria si capì che quella disinfestazione si sarebbe dovuta svolgere in locali sicuri e lontani dal centro abitato. Sul banco degli imputati finirono Cecchini, l’amministratore Zaccaria Pranzo (titolare della licenza del solfuro di carbonio), Donato Colopi (responsabile dell’impiego del solfuro), Raffaele Martina (tecnico patentato preposto alle operazioni di disinfestazione) e l’ufficiale sanitario Vincenzo Tommasi. Una Corte d’Appello nel ’62 riconobbe agli imputati attenuanti generiche e ridusse la pena a due anni di reclusione. Ma il Salento non dimentica il sacrificio di quelle donne e ogni anno Calimera gli rende omaggio.

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