Il Vietnam di Lou Dematteis e il reportage contro le fake news: la mostra

Vietnam, Lou Dematteis
Vietnam, Lou Dematteis
di Sara Hèlèna VAN PUT
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Venerdì 4 Agosto 2023, 05:00

Una foto è un cristallo di memoria che racchiude l’identità di un popolo, racconta la sua storia creando per le generazioni future una traccia in cui leggere la realtà. Ed è la velocità con cui una foto racconta la verità che ha ispirato la vita e la quarantennale carriera di Lou Dematteis, fotoreporter italoamericano a cui Festa di Cinema del Reale dedica una mostra antologica dal titolo “Five From One. Cinque paesi, cinque storie” a cura di Claudio Domini e Paolo Pisanelli. 
La mostra, allestita presso il Castello di Corigliano d’Otranto da Francesco Maggiore e fruibile fino al 19 ottobre, racconta i lunghi viaggi del fotografo in Italia alla ricerca delle sue radici e nei paesi dell’America Latina per raccontare la verità di quelle popolazioni ricattate dagli interessi politici ed economici delle grandi potenze mondiali. 
Nella sua vita c’è un forte legame con l’Italia, che significato ha avuto per la sua carriera?
«Sono italoamericano e provengo da una famiglia emigrata dal centro Italia. I miei genitori sono nati in America, ma sono cresciuto ascoltando i racconti di com’era la vita in Italia, tanto che preferivo non giocare con gli altri bambini pur di ascoltare queste storie. Ero molto affascinato dalla cultura italiana solo che i miei genitori non mi hanno mai portato in Italia, ma quando sono arrivato all’università ho sentito l’esigenza di fare un viaggio per scoprire le mie radici e sono stato molto colpito dall’arte e dalla bellezza del paesaggio italiano. Fu durante il mio primo viaggio in Italia che decisi di incominciare a fotografare».
Com’è iniziata la sua carriera di fotoreporter? 
«A diciott’anni mi iscrissi alla facoltà di Scienze Politiche, mi interessava capire quello che accadeva nel mondo, ma non sapevo come declinare questa disciplina in una professione e la prima idea fu quella di diventare un fotoreporter. Chiaramente era una professione difficile da intraprendere e portare avanti. Così iniziai facendo quello che all’epoca veniva chiamato fotografo documentarista che scriveva delle storie, le documentava con delle fotografie e le inviava a delle riviste specializzate. Dopo otto anni decisi di dare una svolta alla mia carriera e incomincia a fare il fotoreporter ed è stato un momento particolare per la mia vita: in quegli anni era in corso la guerra in Vietnam che fu devastante per la mia generazione, soprattutto perché capimmo che il governo non stava dicendo la verità su ciò che stava succedendo e questa consapevolezza è la base su cui è nata l’idea di diventare fotoreporter».
Nella sua carriera il caso del Nicaragua è stato molto importante, cosa l’ha portata li?
 «In Nicaragua la rivoluzione portò alla destituzione della famiglia Samoza e il nuovo governo attuò un programma che ebbe un forte impatto sull’educazione e nel campo della sanità pubblica. Parallelamente con il cambio del governo negli Stati Uniti, da Carter a Reagan, l’amministrazione di Reagan decise di ribaltare nuovamente la situazione in Nicaragua perché non ottimale agli interessi degli Stati Uniti. Per giustificare questa presa di posizione Reagan affermava che i sandinisti e il nuovo governo rappresentavano una minaccia, ma per me questo era ridicolo, così decisi di andare in Nicaragua per documentare la situazione. Appena atterrai nella capitale e vidi la situazione in cui viveva la popolazione capì quanto fosse grande la menzogna di Reagan; era un paese estremamente povero dove non c’erano macchine, ma carretti che giravano per le strade. È stata un’immagine visiva forte che ribaltava la retorica di Reagan, ed è stato qui che ho capito che cercare la verità doveva essere il mio lavoro». 
Quanto è importante oggi la figura del fotoreporter soprattutto di fronte a una comunicazione sempre più veloce, dove molto spesso si cade nelle fake news?
«Oggi questo mestiere è veramente importante perché fare fotografie vuol dire riportare la verità; Proprio la mia esperienza in Nicaragua è stata un esempio di come smascherare una fake news. Anche se a raccontarla è un presidente Usa. Se abbiamo due versioni dei fatti e sappiamo che una delle due è falsa allora bisogna far emergere la verità». 
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