Desiati vince lo Strega: è il trionfo degli “Spatriati”. La dedica: «Alla Puglia, a chi è emigrato e a Di Lascia»

Desiati vince lo Strega: è il trionfo degli “Spatriati”. La dedica: «Alla Puglia, a chi è emigrato e a Di Lascia»
di Alessandra LUPO
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Venerdì 8 Luglio 2022, 00:52 - Ultimo aggiornamento: 10:41

Una vittoria annunciata e confermata con 165 voti quella di Mario Desiati al Premio Strega che ha confermato le aspettative per la felicità dei suoi tantissimi sostenitori. Un bersaglio già sfiorato nel 2011 con Ternitti, anche in quell’occasione un termine mutuato dal dialetto pugliese. Questa volta, invece, Spatriati (Einaudi) ce la fa e Mario Desiati, tra le voci più felici della generazione degli scrittori pugliesi che ormai da una manciata di anni hanno cementato la loro credibilità nel panorama letterario nazionale, si aggiudica la 76esima edizione del Premio Strega, che si è celebrato come da tradizione al Ninfeo di Villa Giulia a Roma, in diretta Rai3 dalle 23. Che sarebbe finita così era già chiaro dal quarto e quinto scrutinio che lo ha visto staccare di molto gli altri finalisti.
«Sono molto felice - ha detto lo scrittore ritirando il premio che ha voluto dedicare alla scrittrice pugliese Mariateresa Di Lascia, che non fece in tempo a ritirare il premio. Quella di Desiati è stata un’apparizione diversa dal solito: «Aprirò questa bottiglia nella mia Puglia per lei», ha detto emozionato sul palco dove lo scrittore ha voluto sottolineare anche nel vestiario e nel trucco la natura fluida dell’identità, non solo sessuale, dei suoi personaggi. Quasi un omaggio agli spatriati di ogni latitudine. «Ma spatriato sto cercando di esserlo anch’io. Ed è difficile ma anche bellissimo», ha detto rispondendo alle domande di Geppi Cucciari. Già nel 2011 partecipai con Ternitti allo Strega, ora con Spatriati mi sono chiesto perché si emigra così tanto dall’Italia. Di certo per una ragione economica ma anche per una sottile ragione esistenziale. Ma mi sono rimasti dubbi».
Al di là del termine, che in dialetto tarantino vuol dire irregolare, fuori dagli schemi, anche con una connotazione socialmente negativa e di sospetto, l’essere spatriato è la condizione per mettere a repentaglio le aspettative della società scoprendo una ricchezza umana e relazionale che i due protagonisti dimostrano di avere. È cosi?
«Spatriati è la storia di persone che in un tempo in cui ci chiedono di definirci e polarizzarci in un settore preciso, non vogliono definirsi. Non solo a livello sessuale ma anche di luogo, lavoro e aspirazioni. Quando ho scritto Spatriati sognavo di scrivere sull’utopia di un mondo di persone che scelgono di realizzarsi tenendo però presenti i valori della solidarietà e della libertà degli altri».
Una scrittura che ripara, insomma?
«Quando si scrive uno cerca spesso di correggere la realtà. Ovviamente anche questa è un’utopia. Ma la scrittura a volte è utopia, è raccontare un sogno, un desiderio. Che nella realtà non può realizzarsi ma nella scrittura sì». 

 

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