L'allarme del procuratore aggiunto di Bari: «C'è il rischio di infiltrazioni nei fondi del Pnrr»

Il procuratore aggiunto Francesco Giannella
Il procuratore aggiunto Francesco Giannella
di Beppe STALLONE
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Venerdì 18 Marzo 2022, 06:00 - Ultimo aggiornamento: 17 Febbraio, 16:31

Francesco Giannella è Procuratore aggiunto presso il tribunale di Bari, coordinatore della Direzione Distrettuale Antimafia. Ha diretto decine di inchieste che hanno smantellato organizzazioni mafiose e fatto luce su zone grigie di illegalità e pericolose contiguità fra criminalità organizzata, pubblica amministrazione, professionisti. Fra le ultime in ordine di tempo, l’operazione “Levante” che ha portato all’arresto di 75 persone fra cui alcuni insospettabili. 
Dottor Giannella i miliardi che giungeranno in Puglia con i fondi del Pnrr fanno gola a molti. Il pericolo che la criminalità si infiltri è più che un’ipotesi, non crede?
«Il pericolo esiste certamente. Se il pericolo di infiltrazioni mafiose nei fondi pubblici esiste in tempi e condizioni normali, in tempi straordinari il pericolo è accresciuto. Il problema è sempre quello di trovare il giusto equilibrio fra i controlli e lo snellimento delle procedure, che è un problema ultradecennale. Equilibrio fra due valori che si contrappongono, cioè aumentare i controlli preventivi significa rallentare l’azione burocratica, amministrativa. Bisogna trovare giusti equilibri di tipo amministrativo che non mi competono. Dal punto di vista investigativo noi abbiamo i nostri meccanismi che ci potrebbero consentire di monitorare la situazione». 
Abbiamo strumenti normativi soddisfacenti per contrastare il fenomeno?
«Le normative ci sono sempre state e continueranno a esserci. Il punto è la diffusività dei controlli e la capacità tecnica per attuarli efficacemente e correttamente. Certo in presenza di un effluvio di fondi il lavoro potrebbe diventare improbo».
In Puglia, dal punto di vista investigativo abbiamo forze a sufficienza per controllare e contrastare?
«Ci avviciniamo quasi al massimo possibile. Certo se ci fossero più energie sarebbe meglio. Non dobbiamo dimenticare che per questo genere di attività e di controlli preventivi o successivi ci sono anche organismi nazionali, come lo Scico della Guardia di Finanza, i Ros dei Carabinieri, non esistono solo i reparti territoriali ma anche reparti di competenza nazionale che possono sostenere questo tipo di attività».
Ma l’escalation di imprenditori arrestati in questo periodo è un puro caso?
«Non c’è una regola fissa. Le statistiche possono dire che in certi periodi si accertano più fatti e in altri periodi se ne accertano meno, ma questo non significa che questo corrisponda a una realtà oggettiva. Potrei dire che fenomeni corruttivi sono sempre esistiti e esisteranno purtroppo, si tratta di capire quanto si riesce a penetrare nel tessuto connettivo del rapporto fra imprese e pubblica amministrazione per riuscire a scoprirli». 
Quanto alle infiltrazioni mafiose nelle pubbliche amministrazioni quanto conta il lavoro delle prefetture?
«La questione delle infiltrazioni mafiose ci vede al lavoro insieme ad altri organismi quali le prefetture che lavorano sulle interdittive antimafia, sullo scioglimento dei comuni dove risultano infiltrazioni mafiose. Per esempio quella di Foggia da qualche anno funziona molto bene d’altronde non si sarebbero sciolti 5 consigli comunali. Frutto anche di un’azione di squadra. Loro fanno accessi amministrativi ma si servono anche dei risultati delle nostre investigazioni che consentono di penetrare di più e di accertare le infiltrazioni. D’altra parte i risultati dei loro accertamenti possono servire a noi per approfondimenti. Si lavora in maniera sinergica collaborando, comunicando le informazioni, la condivisione consente di agire molto più efficacemente. Per esempio nel caso del Comune di Foggia, l’azione di accertamento della commissione d’accesso è stata complessa e ha riguardato sia settori di stretta competenza amministrativa che settori e tematiche venute alla luce grazie alle indagini della magistratura. Alla fine il risultato è stato lo scioglimento del consiglio comunale di Foggia, risultato di una azione collettiva. In questa materia è importante che tutte le competenze istituzionali forze dell’ordine, organi controllo delle banche, magistratura, prefetture lavorino in maniera coordinata». 
Dottor Giannella sono sempre più diffusi i casi in cui commercialisti, avvocati, professionisti lavorano per la criminalità, si tratta di un fenomeno recente?
«Sono convinto che situazioni del genere siano sempre esistite, ma è una convinzione mia culturale non giudiziaria, il fatto sta che negli ultimi tempi la penetrazione dell’attività investigativa è stata più efficace e quindi sono venute alla luce una serie di situazioni che sono sotto gli occhi di tutti, ciò non vuol dire che non esistessero pure prima. Questo discorso vale in generale anche per la corruzione. Il fatto che in alcuni periodi storici non si sia accertato un caso di corruzione o peculato, non vuol dire che non ci fossero. Penso che sia un sistema che deve essere cambiato e questo sistema è tale da tanto tempo. In più ultimamente c’è l’infiltrazione delle organizzazioni criminali di stampo mafioso in certi gangli amministrativi e soprattutto nel riciclaggio. I profitti delle associazioni criminali sono talmente elevati e sono quasi tutti in contanti, pensiamo al traffico di droga. E’ chiaro che questa enorme quantità di denaro vada riciclata e viene riciclata in attività imprenditoriali. Quindi ci sono persone specializzate, competenti che sanno come fare, come riciclare in maniera subdola e difficilmente individuabile. E’ un fenomeno che è sempre esistito ora stiamo riuscendo a tirarlo fuori».
“Lavanderie” condotte da professionisti. 
«Quando parliamo di grandi profitti e di intere imprese messe su o acquisite a scopo di riciclaggio, allora parliamo di persone che hanno consulenti, commercialisti, o professionisti legali che sanno come e cosa fare. Non può il classico criminale che sa sparare o trafficare in droga avere competenze per agire in questo settore, ci sono persone che non compaiono mai che sono le vere menti». 
L’antidoto allora a parte le investigazioni, quale può essere?
«Sicuramente c’è una questione etica ed educativa.

Tanto vero che noi magistrati che ci occupiamo soprattutto di antimafia e criminalità organizzata non perdiamo occasione per cercare di proporre il nostro contributo nell’antimafia sociale. Uscire dai tribunali e mettere a disposizione le nostre conoscenze per chi deve insegnare, ai pubblici amministratori, agli studenti. Indicare quali sono i valori a cui si devono ispirare perché questo male possa essere estirpato. Secondo me le norme devono essere più semplici. Noi abbiamo un apparato normativo estremamente complesso e a volte anche molto contraddittorio, questa complessità favorisce fenomeni di corruzione e di infiltrazione. Un apparato normativo che si presta a migliaia di interpretazioni o che necessita delle competenze, dei pareri, di nulla osta di tantissimi enti e persone è un apparato che consente anche a una singola rotella di bloccare il tutto. L’Italia ha un record mondiale di leggi, esistono degli studi internazionali che ricollegano la trasparenza delle norme all’indice della corruzione, meno trasparenza più corruzione. 

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