L'ex boss pentito e la faida di mafia: così San Paolo rischia di diventare polveriera

Uno degli ultimi agguati al rione San Paolo
Uno degli ultimi agguati al rione San Paolo
di Vincenzo DAMIANI
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Sabato 2 Aprile 2022, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 17 Febbraio, 17:10

Gli equilibri nei clan baresi sono saltati. La seconda sparatoria consecutiva nel rione San Paolo ne è la dimostrazione: pur non essendo collegati tra di loro i due episodi, è sintomo che non c’è più da parte delle cosche il “controllo” del territorio. Qualcosa si è rotto, per capire cosa sta accadendo nel rione a nord di Bari basta leggere le dichiarazioni dell’ex boss del rione, Arcangelo Telegrafo, da un paio di mesi passato dall’altra parte della barricata e diventato collaboratore di giustizia.

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Il tentato omicidio del 23enne

Il tentato omicidio di Nicola Cassano, 23 anni, infatti rientra in una faida che inizia a far paura: il ragazzo, miracolosamente sopravvissuto all’agguato, è infatti considerato dagli inquirenti il braccio destro di Telegrafo.

In particolare, il giovane sarebbe affiliato a Donato Telegrafo, fratello di Arcangelo. Il suo grave ferimento potrebbe essere la risposta al tentativo dei due Telegrafo di staccarsi da un alleato storico, Alessandro Ruta. «Io – spiega il pentito - non ne volevo sapere più di Ruta, dovevo mettermi con qualcun altro. Volevo essere autonomo. Gli spiegavo (ad un altro affiliato, ndr) di dire a mio fratello che noi dobbiamo essere più autonomi, non dobbiamo avere bisogno più di queste persone». «Noi siamo Telegrafo – rivendica - non siamo Strisciuglio, siamo in comparanza con gli Strisciuglio, solo per riti di affiliazione siamo Strisciuglio, però noi portiamo sempre la bandiera Telegrafo avanti». Per questo motivo, «noi – ribadisce - ci dovevamo fare una batteria a parte, contro il gruppo di Ruta». Insomma, il giovane ma esperto capo mafia aveva mire espansionistiche sul quartiere San Paolo, voleva creare un gruppo indipendente, affiliato solo alla ‘Ndrangheta. Quindi, aveva avvertito un affiliato di «stare con la guardia alta, perché se io ho mandato a dire a Ruta che di lui non ne voglio sapere più niente, loro potevano fare qualcosa».

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Il lungo interrogatorio davanti ai pm

E, forse, così è stato. In un lungo interrogatorio alla presenza dei pm antimafia Daniela Chimenti e Marco D’Agostino, Telegrafo ricostruisce l’intera catena di comando delle cosche baresi e dà una sua interpretazione delle frizioni: «Il dissidio con Ruta - spiega - è nato nel momento in cui Lopez è stato scarcerato e io ho visto che Ruta lo ha fatto camminare sul San Paolo. Perché anch’io avevo i miei contatti sul San Paolo che stavano fuori, come “Lo Sciacallo”, Nicola Cassano, che è un affiliato di mio fratello e mi riportava tutte queste cose qua la sera al telefonino, mi diceva: “Vedi Alessandro che sta facendo? Lo sta facendo camminare sul San Paolo. Se fosse per me non lo facevo neanche camminare, però purtroppo siccome siamo in minoranza dobbiamo fare il doppiogioco. Poi, nel momento in cui esce tuo fratello o esci tu, ci mettiamo di schiena a lui”». Telegrafo ha raccontato anche dei nascondigli usati dai clan per le armi. Proprio la grande disponibilità di mitragliette e pistole preoccupa molto gli investigatori.

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La relazione della Dia

Le organizzazioni criminali baresi riescono con estrema facilità a procurarsi arsenali interi, rendendo vani i sequestri delle forze dell’ordine. «Se – si legge nell’ultima relazione della Dia - a tanto si aggiunge una enorme disponibilità di armi, comprovata da numerosissimi sequestri, è evidente che ogni alterazione dei fragili e temporanei equilibri e, più in genere, qualsivoglia intralcio al più spregiudicato affarismo criminale viene sbrigativamente risolta con fatti omicidiari». «Nel capoluogo pugliese – scrive ancora la Dia - è rilevato un contesto criminale in continua evoluzione caratterizzato da frequenti spaccature anche interne, sì da far ritenere tuttora sussistente una struttura orizzontale di tipo camorristico al cui interno nuovi soggetti sarebbero sempre pronti a rimpiazzare quelli neutralizzati dall’azione di contrasto dello Stato o da sanguinose faide». La criminalità barese ha ormai inquinato anche l’economia, infiltrandosi nel tessuto imprenditoriale e persino in quello della pubblica amministrazione: «La propensione affaristica – si legge - si concretizza in una spiccata duttilità operativa su più fronti (socio-economico, finanziario e politico-amministrativo) di tutte le mafie pugliesi. La camorra barese, ad esempio, lungi dall’essere un rozzo agglomerato criminale da strada avrebbe negli anni privilegiato i settori più remunerativi del traffico di stupefacenti, del contrabbando e con un trend in notevole ascesa della gestione del gioco e delle scommesse on-line, senza tuttavia tralasciare le attività estorsive e l’usura».

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