“Ambiente svenduto”, l'accusa del pubblico ministero: «Ilva gestita in maniera sciagurata e criminale»

“Ambiente svenduto”, l'accusa del pubblico ministero: «Ilva gestita in maniera sciagurata e criminale»
di Mario DILIBERTO
4 Minuti di Lettura
Lunedì 1 Febbraio 2021, 11:25 - Ultimo aggiornamento: 13:08

«Siderurgico gestito in maniera sciagurata e criminale». Così il pubblico ministero Mariano Buccoliero si è espresso questa mattina in avvio della requisitoria al processo Ambiente Svenduto, a proposito della gestione Ilva da parte del gruppo industriale Riva. In Corte d'Assise, infatti, stamane si sono aperti gli interventi della pubblica accusa al processo per il disastro ambientale prodotto dall'inquinamento industriale, che vede imputate 44 persone e tre società. In avvio di intervento il magistrato ha sottolineato che nel corso della sua gestione il gruppo industriale non ha eseguito gli interventi di miglioramento degli impianti, acquistati in condizioni precarie già nel '95, al momento del passaggio dall'Iri di Stato al privato.  Il gruppo Riva, nella sua gestione dell’Ilva, ha detto Buccoliero, non ha proceduto “a sostanziali interventi di risanamento dell’industria che aveva acquistato”. Anzi, ha sottolineato il pm “ha sfruttato al massimo della sua capacità produttiva. Una capacità molto produttiva ma altamente inquinante”.

La requisitoria dei pm si protrarrà per sei udienze. Il processo da questa mattina, con la discussione finale, si sta celebrando nell'aula Magna della scuola sottufficiali della Marina per garantire maggiore capienza e il rispetto delle normative per contenere il rischio di contagio da Covid-19.

Una volta esauriti gli interventi dei pm, parola alle parti civili e ai difensori degli imputati. Sentenza attesa tra fine aprile e i primi giorni di maggio.

Sotto i rilfettori il gigantesco caso giudiziario, che ha portato in aula l'inquinamento di Taranto prodotto dall'oramai ex Ilva, la grande fabbrica dell'acciaio, accomodata sin dagli anni sessanta a pochi metri dal centro abitato della città.

Video


Sott'accusa la gestione privata del siderurgico con al timone la famiglia Riva, subentrata a metà degli anni 90 alla gestione pubblica delle partecipazioni statali. Questa mattina il pm Mariano Buccoliero ha aperto la lunga ricostruzione delle contestazioni, spalmate in più di trenta capi di imputazione. Al suo fianco, dinanzi ai giudici della Corte d'Assise, presieduta dal giudice Stefania D'Errico, a latere il giudice Fulvia Misserini, hanno preso posto il procuratore aggiunto Maurizio Carbone, attuale numero uno della procura jonica, e i pm Remo Epifani, Giovanna Cannarile e Raffaele Graziano.


Nel mirino i vertici della gestione Riva. Dopo la morte del patron Emilio, a giudizio sono ancora i figli Nicola e Fabio. Ma anche lo stato maggiore, ufficiale e non, dell'industria di quegli anni in cui, seguendo la contestazione principale, a Taranto si sarebbe realizzato un disastro ambientale, con effetti drammatici sulla salute dei tarantini. Con lo scopo di prediligere il mero profitto e trascurare le cautele e le migliori tecnologie che avrebbero potuto lenire l'impatto sulla città del colosso dell'acciaio e di conseguenza abbattere le ripercussioni sulla salute dei tarantini. Un'accusa gravissima che pende sugli uomini forti del gruppo e sulle tre società.


Nella requisitoria, però, i pm tireranno le somme anche su quanto emerso, nei quattro anni di dibattimento, sulle posizioni dei politici chiamati in causa a vario titolo. In linea verticale, quindi, saranno esaminate le accuse nei confronti dell'ex governatore della Puglia Nichi Vendola, dell'ex presidente della Provincia Giovanni Florido (oggi presente in aula), e dell'ex sindaco Ippazio Stefàno. Tutti e tre, va detto, da sempre e anche nel procedimento, hanno escluso con fermezza di aver prestato il fianco alle manovre degli uomini della grande fabbrica. Tra i tanti episodi che saranno snocciolati dai pm nelle sei udienze della requisitoria, anche due gravi incidenti sul lavoro che provocarono la morte di due operai, ma anche il comportamento dei vertici dello stabilimento successivo al sequestro dei grandi impianti dell'area a caldo, per i quali venne consentita la facoltà d'uso solo per gli interventi finalizzati al loro risanamento e all'abbattimento delle emissioni inquinanti e nocive per i tarantini.
Un quadro pesantissimo che, solo al termine degli interventi dei pubblici ministeri, verrà rapportato alle singole posizioni con le conseguenti richieste di condanna, attese per la prossima settimana.

© RIPRODUZIONE RISERVATA