Ex Ilva al bivio, oggi Bernabè lascia la presidenza

Ex Ilva al bivio, oggi Bernabè lascia la presidenza
di Domenico PALMIOTTI
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Giovedì 26 Ottobre 2023, 05:00

È il giorno di Franco Bernabé e di Adolfo Urso. Il primo dovrebbe formalizzare oggi le sue dimissioni da presidente di Acciaierie d’Italia Holding, dove si era insediato il 21 luglio del 2021.

L'addio

Qualche sera fa, intervistato su La7 da Lilli Gruber, Bernabé, alla domanda se fosse ancora il presidente di Acciaierie, ha risposto: “Per qualche altro giorno ancora”. Ma già il 17 scorso, in audizione alla Camera, il manager aveva ricordato tutte le sollecitazioni fatte, a partire dagli azionisti, perché s’intervenisse concretamente sulla società e sottolineato: “Di più non posso fare dati i limiti del mio ruolo”. E aveva confermato di aver rimesso il mandato di presidente al Governo “in modo da lasciare la più totale libertà per intervenire nelle forme e nei modi che il Governo riterrà più opportuno”. In quanto a Urso, ministro delle Imprese, bisognerà vedere se oggi alla Camera, davanti alle commissioni, riunite congiuntamente, Attività produttive della Camera e Industria del Senato, fornirà novità sull’ex Ilva e parlerà del memorandum che è stato sottoscritto l’11 settembre tra il ministro Raffaele Fitto, l’ad di Acciaierie, Lucia Morselli, e due rappresentanti di Mittal, la multinazionale che detiene il 62 per cento di Acciaierie. 

Il casus belli

Certo, non è stato Urso a firmare il memorandum e il ministro delle Imprese che pure per diversi mesi è stato delle partita, e ha ipotizzato, a fronte di mancate risposte di Mittal, una salita dello Stato in maggioranza in Acciaierie (oggi è al 38), oggi appare decisamente in secondo piano rispetto alla vicenda. Spodestato. Ma il memorandum è comunque diventato un casus belli e in ogni caso è prevedibile che ci sia un’eco alla Camera. Il Pd ha infatti attaccato la mossa di Fitto attraverso i suoi parlamentari. Altrettanto da parte del M5S. E i sindacati hanno già protestato verso Palazzo Chigi e i ministri Fitto, Urso, Giorgetti e Calderone, chiedendo formalmente l’accesso agli atti, perché ci sono stati due incontri in presidenza del Consiglio (il 27 settembre e il 20 ottobre) e il Governo, entrambe le volte, non ha minimamente accennato al fatto che era stato sottoscritto un memorandum col socio privato. Documento che prevede un orizzonte temporale sino al 2030 per l’attuazione dei vari interventi, una produzione a regime di 8 milioni di tonnellate e 4,6 miliardi di investimenti, dei quali 2,270 arriverebbero dal Repower EU. 
Rispetto al piano illustrato da Bernabé nel 2022 e a inizio 2023, si accorcia la tempistica, la cui conclusione era fissata prima al 2032, e c’è circa un miliardo in meno (e il 31 gennaio, al Senato, Bernabé aveva anche detto che le stime di investimento fatte per la transizione del siderurgico devono essere riviste per l’inflazione). Nessun accenno al documento benché il 27 settembre a Palazzo Chigi fosse presente lo stesso Fitto insieme ai colleghi ministri Urso e Calderone (Lavoro) e al sottosegretario alla presidenza, Mantovano. 
Ma anche Invitalia, che di Mittal in Acciaierie è il socio di minoranza col 38%, ha protestato per il fatto di non essere stata assolutamente avvertita del memorandum. Nonostante, ha scritto l’ad di Invitalia, Bernardo Mattarella, ad Acciaierie, a Morselli ed ArcelorMittal, le “riunioni consiliari del 21 settembre e del 16 ottobre” e la consegna di “documenti programmatici citati nel memorandum senza che gli stessi, ancora una volta, fossero stati messi a disposizione o precedentemente comunicati e condivisi con il consiglio di amministrazione della holding e con Invitalia, nella qualità di socio pubblico chiamato a contribuire allo sviluppo della società. Circostanze queste che, qualora confermate, determinano inevitabilmente li sorgere di precise responsabilità”. 
Mario Turco, senatore e vice presidente pentastellato, in un’interrogazione presentata ieri al Senato, si chiede “come sia possibile che Invitalia, socio pubblico di una società strategica come l’ex Ilva di Taranto, possa essere stato tenuto all’oscuro di un accordo firmato tra il Governo e il socio privato della stessa azienda”.

E “quali ragioni abbiano impedito di vincolare gli impegni finanziari alla sottoscrizione di un accordo di programma avente ad oggetto la chiusura delle fonti inquinanti, la diversificazione e riconversione industriale, nonché la tutela ambientale e sanitaria delle aree, unitamente ad interventi di sostegno al reddito e alla riqualificazione dei lavoratori e delle imprese dell’indotto”. E attacca il centro destra e il deputato Dario Iaia, l’assessore comunale Mattia Giorno (Dem), per il quale “da quando è in carica il Governo di Fratelli d’Italia non c’è più una linea sullo stabilimento siderurgico e i fatti di questi giorni lo certificano”. Mentre l’Ugl metalmeccanici, con Alessandro Dipino, si unisce alle altre sigle sindacali per sostenere che “anche Invitalia si accorge dell’inaffidabilità di Acciaierie d’Italia. Rilanciare l’ex Ilva sicuramente non è possibile farlo con un socio privato come ArcelorMittal”. 

L'udienza

Non entra invece nella querelle il sindaco Rinaldo Melucci, che da Bruxelles, dove è andato per il Just Transition Fund (Taranto ha quasi 800 milioni a disposizione e Comune e Provincia hanno presentato progetti per 300), dice: “Serve in questo momento che il Governo ci faccia comprendere quale è la sua strategia sull’ex Ilva. La nostra transizione potrebbe non essere completa e avere maggiori difficoltà se non sciogliamo il nodo dell’industria siderurgica”. 
E oggi, infine, al Tar di Lecce c’è l’udienza per discutere nel merito dell’ordinanza di maggio di Melucci sullo stop impianti a causa dell’inquinamento da benzene. Ordinanza impugnata da Acciaierie e attualmente sospesa. Il Comune ha chiesto al Tar di rinviare l’udienza a dopo il 7 novembre perché prima vuole attendere il verdetto della Corte di Giustizia Europea su un’altra vicenda ex Ilva.

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