Ex Ilva, la partita sul Dri si allunga sempre più: dubbi su impegni e scadenze

Ex Ilva, la partita sul Dri si allunga sempre più: dubbi su impegni e scadenze
Ex Ilva, la partita sul Dri si allunga sempre più: dubbi su impegni e scadenze
di Domenico PALMIOTTI
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Martedì 1 Agosto 2023, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 07:50

L’avvio dell’installazione del quarto filtro Meros per arginare polveri e diossine dell’impianto di agglomerazione e l’estensione della salvaguardia penale ai progetti di decarbonizzazione che dovrà attuare Acciaierie d’Italia, che sono cosa diversa dal preridotto Dri per i futuri forni elettrici, non chiudono il cerchio sulla partita ambientale del siderurgico, né sciolgono i nodi del futuro della fabbrica.

L’intervento col nuovo filtro Meros, che si aggiunge ai tre installati, è un passo avanti verso il completamento dell’Aia in vista della scadenza del 23 agosto, ma restano ancora delle prescrizioni incompiute, tant’è che l’azienda ha chiesto una proroga. Così come, venendo all’estensione della salvaguardia penale introdotta dal dl “Salva Infrazioni”, sono tutti da farsi gli interventi di decarbonizzazione che AdI dovrà attuare con i 150 milioni tempo fa stornati dalla disponibilità dei commissari di Ilva in amministrazione straordinaria per le bonifiche - soldi che rinvengono dal miliardo fatto rientrare in Italia dai Riva -.  Ma in questa fase ciò che desta dubbi e interrogativi maggiori non è tanto che ciò accade dopo il 23 agosto quando l’attuale Aia terminerà, oppure quando si aprirà l’istruttoria sulla nuova Aia (l’azienda ha già presentato richiesta) e che percorso seguirà, o, ancora, quando vedrà la luce il nuovo piano industriale di AdI e quando cambierà l’assetto societario con lo Stato in maggioranza.

Aspetti importanti questi, sia chiaro, ma adesso ci si sta chiedendo che fine fa uno dei principali interventi di decarbonizzazione, ovvero la costruzione da parte della società pubblica Dri d’Italia, controllata da Invitalia, dell’impianto per il preridotto. 

I dubbi sul miliardo

C’era un miliardo postato sul Pnrr e adesso non c’è più. Spostato dove, non è ancora noto. Il Governo ha solo garantito che verrà riallocato diversamente: fondo di sviluppo e coesione? Piano complementare? Le forze di maggioranza, a partire da FdI, tranquillizzano. Non si è perso nulla, il preridotto non è sfumato. Le forze di opposizione, a cominciare dal Pd (e sulla stessa linea è anche il sindaco di Taranto, Rinaldo Melucci), temono invece l’apertura di una fase indefinita, come se attorno all’ex Ilva non ci fossero già ben undici anni di stallo. 
In attesa di capire come viene riposizionato il Dri e il modulo da 2,5 milioni di tonnellate di preridotto che Dri d’Italia deve costruire per AdI, due dati per ora appaiono chiari.

Il primo è che uscendo dal Pnrr, il preridotto non ha più il vincolo del 2026, data in cui l’impianto doveva essere completato come tutto ciò che c’è, o è rimasto, nel Piano nazionale di ripresa e resilienza. I tempi, cambiando posta finanziaria, sono meno rigidi. Si va oltre la scadenza del 2026. E non è detto che sia un bene, anzi, proprio perché la storia ex Ilva ha visto già tanti ritardi. Troppi. Il secondo elemento è che Dri d’Italia, attraverso il suo presidente Franco Bernabé - che è anche presidente di AdI ed ora anche della nuova Finint Infrastrutture Sgr che mira al controllo di Save, la società a cui fanno capo quattro aeroporti del Nord Est -, aveva annunciato entro luglio la scelta di investimento sulla tecnologia, tra le due individuate, per arrivare a settembre al contratto e all’affidamento dell’appalto per il modulo di AdI. Ora luglio è passato da ieri, e quindi l’essersi chiuso con un nulla di fatto rispetto agli annunci è solo un piccolo, magari marginale, slittamento, o piuttosto indice di un qualcosa di più serio? Si tenga conto che di recente AdI, che deve ospitare al suo interno l’impianto del preridotto, attraverso il suo ad Lucia Morselli, ha mosso pesanti critiche verso Dri d’Italia rivendicando voce in capitolo e anche la gestione dell’impianto. 

Se il miliardo del preridotto per l’ex Ilva esce dal Pnrr e va altrove, secondo fonti industriali sarebbe invece rimasto, almeno per ora, l’altro miliardo destinato al preridotto dei siderurgici privati. Risorse, queste, messe a bando. Per i privati è stabilito che si utilizzi idrogeno verde, da fonti rinnovabili, per almeno il dieci per cento del fabbisogno termico, lasciando il resto al gas naturale. E fatto 100 il fabbisogno termico, quanto cioè serve all’impianto per il processo di preriduzione, il 10 per cento equivale al 30 per cento in volume per l’idrogeno. Solo per l’impianto dei privati, è indicata la quota del 10 per cento di idrogeno. Inoltre, se Dri d’Italia dovrà costruire il preridotto per AdI, non è detto che lo faccia anche per gli acciaieri, il cui consorzio ha manifestato interesse per un’area all’interno del perimetro della Zes Ionica. 

Le ipotesi

Può darsi che Dri d’Italia avanzi un’offerta ai privati, ma il consorzio è fatto da 12 industriali azionisti che potrebbero anche compiere scelte diverse. Sul preridotto, i privati a fine giugno hanno fatto domanda al bando nazionale che mette a disposizione l’altro miliardo, ma la copertura dell’investimento, se ammesso, non andrà oltre il 20 per cento. Il resto del miliardo sarà ripartito tra gli altri soggetti partecipanti.
Infine c’è da dire che hanno suscitato molte perplessità nei sindacati le dichiarazioni di AdI secondo cui l’altoforno 1 viene fermato per tutto agosto per installare il nuovo filtro Meros. «Non è così - si sostiene - perché sono già stati installati tre filtri di questa tipologia e nessun fermo di altoforno c’è stato. I problemi sono altri: stato dell’impianto, arrivato a fine campagna, e materie prime sempre più scarse. Sotto le coperture dei parchi minerali, per esempio, c’è pochissimo di stoccato. E ora la fermata dell’altoforno 1 rischia di trascinarsi anche l’acciaieria 1».

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