Allarme per il tessile, produzioni in Turchia. Le imprese: «Ma noi resteremo qui»

Allarme per il tessile, produzioni in Turchia. Le imprese: «Ma noi resteremo qui»
di Pierpaolo SPADA
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Martedì 30 Agosto 2022, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 14:31

Prudente. Con gli occhi sempre spalancati sui mercati esteri. E certamente molto preoccupato. Ma - spiazzando, forse, un po’ anche i più scettici - il mondo pugliese del lusso, per ora, non si piega al rischio paventato da analisti e associazioni di categoria di dover svuotare gli stabilimenti regionali per intensificare la produzione in quelli già da un decennio impiantati a Est e sui quali i brand potrebbero ora puntare per contenere gli effetti del caro energia.  Parola di quegli imprenditori locali che in fabbrica, dopo la pausa estiva, sono appena rientrati per dare impulso alla notevole mole di lavoro da sviluppare. Tutti salentini, perché, con quella martinese, è la provincia di Lecce la porzione di Puglia in cui la filiera del tessile-moda-accessorio (Tma) è più estesa: spazio di produzione e creatività - che per le calzature, si è conquistata anche la denominazione di “sneakers valley”, tra Galatina, Nardò e Casarano. È qui che operano le più grandi aziende del territorio che più potrebbero imprimere l’enunciata “svolta ad Est”, perché attive con decine di plant e migliaia di operai tra Albania e Turchia. 

Smi


A sostenere l’esistenza della possibilità che i brand tornino a preferire bacini di produzione più convenienti dell’Italia è stato nei giorni scorsi il presidente di Sistema Moda Italia (Smi), Sergio Tamborini: «Il processo di reshoring dall’Asia si potrebbe fermare. Le nostre aziende sono piccole e medie imprese che non possono permettersi di produrre in perdita e che rischiano quindi la chiusura», ha detto al Sole24Ore, suggerendo la visione secondo la quale alla nefasta perdita di posti di lavoro si aggiungerebbe il pericolo che i marchi della moda cerchino fornitori in altri Paesi, a partire dalla Turchia. 

Gli imprenditori


Pierluigi Gaballo è l’amministratore di Gda, Officina Tessile e Tessitura del Salento. Da un decennio è attivo a Tirana, con Textile Service Albania, e a Tunisi con un altro stabilimento per la produzione di abbigliamento e pelletteria. E in Turchia gode del suo miglior partner per la produzione di dispositivi di protezione individuale anti-Covid. «Sicuramente l’aumento del costo dell’energia determinerà dei cambiamenti, ma in termini di costi - dice -, non di produzione. Dunque, per quanto ci riguarda, non avverrà alcuno spostamento. Quello che c’è in Italia continuerà a essere prodotto in Italia, probabilmente rivisto nella componente di costo ma in maniera contenuta, perché il segmento lusso è quello che meno risente delle crisi. E analogamente procederemo in Albania, dove è dal 2020 - precisa l’imprenditore - che la richiesta sale». 
Ne sono ancor più consapevoli i produttori di calzature, perché è in Albania che si concentra sempre più la produzione di tomaie. Ma anche tra questi i toni restano distesi pur nella difficoltà del momento: «Anche se esiste un impatto diretto e indiretto su alcune delle nostre realtà manifatturiere, esso non è tale da innescare processi di trasferimento generalizzato delle produzioni», afferma Michele Zonno, delegato per la Moda di Confindustria Puglia, amministratore del calzaturificio di Italian Fashion Team di Casarano e co-proprietario, a Valona, di Albanian Fashion Lab. A supporto della sua tesi, elenca tre motivazioni: «Le nostre non sono aziende particolarmente energivore. Molte realtà del Salento, poi, si sono dotate e attrezzate per alimentare in parte i propri impianti con fonti rinnovabili da fotovoltaico. E - terzo - abbiamo puntato sulla qualità e quindi abbiamo come priorità la tutela, il consolidamento e lo sviluppo delle nostre filiere salentine del made in Italy anche quando sono integrate con il supporto di fasi svolte in Albania, Tunisia, Serbia, Bulgaria, come avviene già da decenni in altri distretti italiani del settore moda». 
Dello stesso avviso è Antonio Filograna Sergio, numero uno di Green Seagull srl, la holding con sede a Milano cui fa capo Leo Shoes a Casarano (il più grande calzaturificio del Salento, eccellenza italiana con oltre 200 milioni di euro di fatturato nel 2021), Antonio Filograna srl ma anche l’albanese Time10 (a Shijak), a sua volta controllata dalla connazionale Titan gs, afferente allo stesso gruppo. L’imprenditore n’è certo: «Anche se il costo dell’energia è aumentato non cambierà assolutamente la nostra strategia. Continueremo a produrre in Italia per assicurare il made in Italy, perché è questa la condizione necessaria per i brand del lusso. Noi non produciamo il prodotto finito in Albania ma solo alcune produzioni di tomaia per alcuni clienti che richiedono espressamente le tomaie prodotte all’estero. Il montaggio è prodotto solo in Italia». 
«Lo scenario paventato da Smi non riguarderà il nostro settore», conferma Gianni Casarano, che in Albania opera in partnership con aziende locali per assicurare tomai alle sneakers che produce con Gianel Shoes tra Casarano e Supersano. «In Albania implementeremo la produzione di tomaie, perché i prezzi della manodopera per quel tipo di produzione sono assai più convenienti, ma ciò non avrà effetto sulle produzioni salentine. È vero che i costi stanno aumentando, ma i brand del lusso non avvieranno mai dall’oggi al domani una produzione completa all’estero, sostituendoci.

Che possano diminuire gli ordinativi non lo escludo, ma siamo fiduciosi che ciò non accadrà».

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