«Pit 9, investimenti troppo alti»: nessuno vuole i 18 milioni del Tac

Un'impresa tessile
Un'impresa tessile
di Pierpaolo SPADA
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Lunedì 8 Aprile 2019, 07:21 - Ultimo aggiornamento: 07:22
Ci sono 18,6 milioni di euro, residuo dell'Accordo di programma del 2008, a disposizione di tutte le aziende del Tac operative nell'area Pit9 interessate a investire sulla propria attività. Ma nessuno, per ora, li vuole. «Investimenti troppo alti per le esigenze del Calzaturiero salentino, il rischio è che restino inutilizzati»: è l'allarme lanciato dagli imprenditori del settore che sta vivendo un balzo in avanti.
L'avviso è promosso da Invitalia ed è stato già pubblicato. La Regione Puglia (che cofinanzia il bando con il ministero dello Sviluppo economico) aveva comunicato l'apertura dei termini per la consegna delle domande: dal 29 marzo al 28 maggio e vuol dire che sta per aprirsi la seconda settimana.
L'importo minimo d'investimento ammissibile è pari a 1,5 milioni di euro, mentre quello massimo è di 3 milioni di euro. Il workshop organizzato da Regione e Invitalia due settimane fa a Casarano per presentare le opportunità offerte dal bando, non aveva registrato un'affluenza poi così ampia: era presente solo un imprenditore. Come mai? Interpellata, l'Agenzia per gli investimenti non si sbilancia. «Al momento dicono dall'ufficio a Roma - le domande sono poche o del tutto assenti. Ma per il Pit9, che è un bando articolato, c'è ancora un ampio arco di tempo per presentare la domanda. Aspettiamo».
Il problema, però, è nelle zone industriali del Salento. E le perplessità, in questo caso, arrivano dagli imprenditori del Tac con maggiore capacità produttiva e occupazionale nell'area del Pit9. Non certo dagli ultimi arrivati. Anzi. E le perplessità sono motivate con una serie di specificità direttamente legate al nostro territorio. La prima voce è quella dell'amministratore di LeoShoes, Antonio Sergio Filograna, che era anche l'unico imprenditore presente al workshop di Casarano: «Il problema - spiega - è che la soglia degli investimenti è troppo elevata per quelle che sono le realtà di questa terra. Si parte da un minimo di 1,5 milioni. Una linea di montaggio completa, con tecnologie di ultima generazione come quella abbiamo installato nei giorni scorsi e che impiegherà fino a 3.540 persone, non costa più di 450mila euro. Con 1,5 milioni di euro - sostiene Filograna - s'installano, quindi, 4 linee. E dove le troviamo qui le aziende che abbiano necessità di installare 4 linee di montaggio rispetto alle nostre esigenze? Se i cosiddetti tagli di investimento fossero di 500mila euro sarebbero più alla portata di tutti».
Poi, secondo lo stesso imprenditore, ci sarebbe anche una questione di poca convenienza legata all'eventuale tempistica del bando. «Non dico che queste risorse non siano utili perché i finanziamenti sono, comunque, qualcosa di importante. Le tempistiche, però, in questi casi non sono confacenti alle esigenze aziendali. Per dirla in breve: se io faccio un investimento non posso aspettare 6-7 mesi prima di ricevere l'ok. Se ci sono richieste oggi l'azienda deve rispondere subito, altrimenti - dice Filograna - quel treno lo perde».
Da polo di Casarano (che nel Salento ha fatto la storia del settore) alla zona industriale di Nardò dove opera Luciano Barbetta - altro punto di riferimento del settore - che pure sembra tutt'altro che convinto della funzionalità dei finanziamenti previsti dal bando di Invitalia. Con motivazioni diverse da quelle di Filograna. Barbetta parla di poca flessibilità: «Mi sembra uno strumento un po' datato. Le agevolazioni previste sono concesse in base ai criteri fissati dalla legge 181/1989 per la riqualificazione delle aree di crisi industriali. I nostri consulenti ritengono lo strumento poco flessibile rispetto a tanti altri di cui oggi disponiamo a livello nazionale e regionale. Penso, ad esempio, al credito d'imposta. E poi - aggiunge lo stesso Barbetta - il bando è eccessivamente vincolante, soprattutto in termini occupazionali. È troppo farraginoso».
E, dunque, l'imprenditore sembra intenzionato a non presentare alcuna domanda. Ma una proposta, questa sì, Barbetta la avanza: «Se quei 18 milioni fossero dirottati sulla formazione rappresenterebbero realmente un'opportunità. Oggi il Tac del Salento non è più in crisi. Registriamo una forte crescita e, per sostenerla, abbiamo bisogno, soprattutto, di manodopera specializzata che, essendo sempre meno facile da reperire, siamo costretti a formare noi, con tutto ciò che, in termini di tempo e denaro, tale impegno comporta. L'invito che faccio è per una rimodulazione del bando. Non so se tecnicamente è possibile, ma sarebbe auspicabile per il territorio». Per evitare il rischio flop. Un danno per tutti se quei 18 milioni dovessero restare nel cassetto.
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