L'intervista all'eurodeputato Fitto sulla crisi energetica: «Situazione frutto dei troppi “no”. In Puglia serve una visione»

L'intervista all'eurodeputato Fitto sulla crisi energetica: «Situazione frutto dei troppi “no”. In Puglia serve una visione»
di Francesco G. GIOFFREDI
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Venerdì 4 Marzo 2022, 08:35 - Ultimo aggiornamento: 11:23

Raffaele Fitto, presidente dei Conservatori e Riformisti in Europarlamento, ex governatore ed ex ministro: Italia e Ue stanno scoprendo d'essere vulnerabili in termini d'approvvigionamento energetico e troppo dipendenti dal gas russo. Scoperta tardiva?
«L'Europa non ha una sua autonomia, dipende per oltre il 50% dall'esterno, l'Italia ancora di più: è frutto di scelte sbagliate nel corso degli anni, fatte preferendo rinviare il problema senza affrontarlo. La guerra di questi giorni ci fa capire cosa voglia dire dipendere da pochissimi Paesi, peraltro con forti instabilità geopolitiche».
La diversificazione delle fonti doveva essere una priorità. Ora per recuperare terreno occorrono scelte chiare e visione strategica.
«L'Italia è stata il Paese dei "no". Penso al nucleare: siamo circondati dalle centrali degli altri Paesi, senza benefici e solo con eventuali danni. Basti vedere come la Francia sta affrontando, con maggiore serenità, l'emergenza energetica. Abbiamo detto di no anche ai rigassificatori, e per realizzare impianti rinnovabili ci vogliono anni: Ursula von der Leyen ha lanciato l'allarme, occorrono 5-8 anni realizzare parchi fotovoltaici o eolici. E questo mina la prospettiva che stiamo costruendo. La logica del no, della marcia, della raccolta del consenso immediato, senza avere un briciolo di visione, è la regola. E oggi raccogliamo ciò che è stato seminato».
Parlava di rigassificatori: a Brindisi è stata rispolverata la vicenda del progetto British gas. Lei dovrebbe saperne qualcosa.
«Nel 2003 il rigassificatore fu autorizzato. Partecipai anche a un incontro durante il G8 per ascoltare l'intesa tra i premier Blair e Berlusconi. Poi ci furono le proteste, le marce, i "no" e saltò tutto. Ma quell'impianto oggi avrebbe potuto soddisfare il 10% dei consumi nazionali, quando ora invece a livello europeo si cercano accordi con altri Paesi non avendo tempo sufficiente per realizzare nuovi gasdotti».
Il progetto brindisino era però gravato da inchieste penali.
«Al di là delle responsabilità dei singoli, il nodo sono le scelte: 18 anni fa potevamo avere un rigassificatore. C'è chi ha raccolto utili elettorali da quel "no", contribuendo a farci trovare in questa situazione, e chi - come me - ha invece messo la faccia su una battaglia di principio sacrosanta e ha pagato un prezzo elettorale».
Stiamo assistendo anche alla "riabilitazione" del gasdotto Tap. Ma non sarebbe stato il caso di incassare tempestivamente benefici, anche in bolletta, per il territorio? Il mea culpa dovrebbe essere di tutta la politica.
«Sul Tap sono state raccontate fandonie, con strumentalizzazioni di esponenti politici che oggi restano in silenzio. Se avessimo trattato per tempo, non solo saremmo stati centrali negli equilibri, ma avremmo potuto ottenere riduzioni del costo dell'energia per il territorio. Sono queste le vere compensazioni: nelle bollette che arrivano a famiglie e imprese inserirei una piccola sintesi di tutte le sciocchezze e le posizioni assunte in questi anni da molti personaggi politici».
Anche di centrodestra.
«La mia posizione è sempre stata chiara, la linea politica è dei partiti nazionali, poi sui territori possono subentrare dinamiche diverse. Intanto però abbiamo costi elevati dell'energia che rischiano di vanificare i segnali di ripresa, tra maggiori consumi e instabilità geopolitica. Dovremmo cominciare ad avere più maturità, a capire che una classe dirigente non può essere impegnata solo nell'acquisizione del consenso: se parliamo di transizione ecologica, dobbiamo assumerci le nostre responsabilità con scelte chiare e senza soluzioni impossibili».
La Puglia poteva e può diventare un hub per l'approvvigionamento energetico, con un ruolo strategico. C'è tempo per recuperare terreno?
«C'è un paradosso nel caso degli pseudo-difensori del territorio: sono contrari a tutto, ma intanto - preso dalla necessità - Draghi ha ipotizzato il rischio di tornare a maggiori volumi di carbone. Ecco a cosa portano i "no": all'aumento delle emissioni. Puglia strategica? Non abbiamo nemmeno un Piano energetico regionale...una cosa incredibile. Così come gli oltre 400 progetti per rinnovabili bloccati in Regione. Con questo non voglio dire che occorre approvarli tutti, possono esserci anche delle sovrapposizioni o degli impatti eccessivi, ma mi chiedo: chi fa l'arbitro? Lasciamo che siano i territori ad autodeterminarsi?».
E chi dovrebbe fare da arbitro?
«Il punto di partenza sarebbe il Piano energetico regionale. Ma abbiamo un presidente della Regione che contemporaneamente è d'accordo con chi vuol realizzare un impianto e con chi lo ostacola. Non possiamo più permetterci di scherzare, ne va delle prospettive di crescita dei territori. E se la Puglia fosse un hub energetico, riuscirebbe ad attirare investimenti per innovare e diversificare. È necessario sintonizzarsi con le dinamiche europee e mondiali per anticipare e dare una prospettiva. Ma spetta alle istituzioni guidare il processo e determinare le scelte, con una visione complessiva».
Tra Brindisi e il Salento ci sono in ballo due parchi eolici, ma l'accoglienza dei territori è diametralmente opposta.
«Non ho elementi per entrare nel merito dei progetti, ripeto: alcuni impianti possono magari essere bloccati, ma deve tutto accadere in una logica complessiva e di sistema».
La rotta intrapresa dalla Commissione Ue verso la transizione green consentirà all'Europa di ottenere l'indipendenza energetica?
«C'è un problema di tempistica: l'Europa produce l'8% delle emissioni totali, il cronoprogramma della transizione energetica rischia di far pagare alle imprese il prezzo. Bisogna procedere rapidamente, ma i tempi non possono essere quelli immaginati, soprattutto se Usa e Cina - che producono il 14% e il 27% di emissioni - hanno impostato tempistiche diverse, più diluite. Insomma, bene gli obiettivi della transizione, ma vanno calati nel sistema di riferimento senza perdere competitività».
Cambia il mondo, l'Europa deve indossare la corazza: le sanzioni "hard" alla Russia ridisegnano molti assetti e rapporti. Lei condivide la linea dura dell'Ue?
«Tanto in Parlamento quanto in Europarlamento abbiamo votato e sottoscritto le risoluzioni che prevedono le sanzioni a una inaccettabile aggressione unilaterale di un Paese.

Ora bisogna sostenere senza "se" e senza "ma" l'intervento europeo e le sanzioni, tenendo però presenti i contraccolpi su settori produttivi fondamentali. Abbiamo messo una proposta in campo: nei mesi scorsi sono stato tra i relatori di un provvedimento che ha istituito 5 miliardi di euro per imprese e cittadini che hanno ricevuto un danno dalla Brexit, allo stesso modo - e prendendo in esame le differenze di impatto Paese per Paese - ci batteremo perché anche in questo caso sia previsto un fondo di compensazione».

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