La fuga dei giovani dalla Puglia per lavoro o studio: nel 2040 il 31% dei ragazzi in meno

In 18 anni la regione perderà 31 giovani su 100 solo come conseguenza del calo demografico, un calo che riguarderà nei prossimi anni tutte le aree del Paese ma che peserà in modo più consistente sulle regioni del Mezzogiorno

La fuga dei giovani dalla Puglia per lavoro o studio: nel 2040 la Puglia il 31% dei ragazzi in meno
La fuga dei giovani dalla Puglia per lavoro o studio: nel 2040 la Puglia il 31% dei ragazzi in meno
di Oronzo MARTUCCI
7 Minuti di Lettura
Martedì 2 Gennaio 2024, 05:00

I dati elaborati da Osservatori e Centri di ricerca sui giovani del Sud e della Puglia fanno emergere chiaramente che la fuga di chi cerca opportunità di affermazione professionale dopo la laurea è inarrestabile e che il ritorno a casa per chi studia nelle università delle regioni del Centro e del Nord è sempre più improbabile. Spesso torna solo chi può contare su una rete di accoglienza composta da parenti già in possesso di aziende o da titolari di studi professionali. Con la conseguenza che il contesto economico sarà sempre più povero e il contesto sociale vedrà la prevalenza di professionisti che sono stati aiutati nel ritorno da condizioni e percorsi familistici. Anche la selezione politica e quella per la scelta dei pubblici amministratori saranno condizionate sempre più da questo fenomeno e gli incarichi saranno appannaggio dei “figli di…”. 

Nel 2040 la Puglia avrà il 69 per cento di giovani residenti (in età tra 18 e 21 anni) rispetto alla situazione del 2022. In 18 anni la regione perderà 31 giovani su 100 solo come conseguenza del calo demografico, un calo che riguarderà nei prossimi anni tutte le aree del Paese ma che peserà in modo più consistente sulle regioni del Mezzogiorno.

La Sardegna perderà 33 giovani su 100, la Basilicata 31 come la Puglia, la Campania 27, come il Molise, la Sicilia 23, la Calabria 22. Sul fronte delle regioni più ricche il Trentino Alto Adige perderà in 18 anni 11 giovani su cento a causa del calo demografico, come l’Emilia Romagna. La Lombardia ne perderà 14, la Regione Lazio 17, Toscana e Liguria 18. 

La tendenza

La fuga verso il Centro e il Nord, e spesso anche verso l’estero, è una tendenza che caratterizza da molti anni le regioni del Sud, tant’è che dal 2002 al 2021 sono emigrati 1.320.405 giovani under 35, di cui 348.280 laureati (26,4 per cento del totale) con un saldo migratorio negativo nello stesso periodo di 808.561 unità (con 262.633 laureati pari al 32,5 per cento). Se ci si ferma ad analizzare il movimento relativo al 2021 emerge che il fenomeno migratorio è sostanzialmente stabile con 62.381 unità, ma i giovani laureati che lasciano in Mezzogiorno sono in forte aumento, sia in termini assoluti (26.226) che in percentuale (il 42 per cento del totale) con un saldo migratorio negativo di 38.881 unità, di cui 19.210 laureati (50,1 per cento del totale). Si tratta di numeri elaborati dall’Osservatorio Talents Venture su dati Alma Laurea e dalla Svimez nel Rapporto 2023 su dati Istat. Numeri noti che confermano chiaramente come, a fronte delle belle parole spese da tutti i governi e da tutti i politici sul rafforzamento della qualità del capitale umano come risorsa fondamentale per ridurre il gap tra Nord e Sud e tentare di frenate la fuga dal Mezzogiorno, la realtà è molto diversa: la forbice si allarga e i giovani vedono vanificata giorno dopo giorno, anno dopo anno, la possibilità di una affermazione o realizzazione professione senza emigrare.

La ricerca di affermazione attraverso lo studio o il lavoro da parte di tanti giovani nelle regioni del Nord o all’estero non è di per sé una scelta sbagliata, perché le opportunità offerte da contesti economici più ricchi aiutano la crescita personale. Se invece la fuga diventa una necessità, i giovani del Sud d’Italia in qualche modo replicano la decisione (a volte accompagnata dalla disperazione) dei loro coetanei del Sud del Mondo, dell’Africa o dell’Asia. Diventa difficile vedere differenze, se non che nel Sud Italia non ci sono guerra e non si muore di fame, mentre in Africa e in Asia, nell’Est europeo e in Medio Oriente fame e guerra spesso vanno di pari passo.

Anche i giovani che dopo gli studi universitari restano al Nord pagano prezzi consistenti nella ricerca di una integrazione e di una stabilità lavorativa. L’Osservatorio Talents Venture ha calcolato che a un anno dalla laurea a fronte di una retribuzione mensile media dei giovani laureati che rimangono a Milano di 1.367 euro, il 69 per cento di quella somma viene utilizzato per pagare il fitto di un appartamento di circa 45 metri quadri. A Firenze va via il 60 per cento dello stipendio, a Roma il 48 per cento, a Bologna il 54 per cento, a Parma il 36 per cento, a Pisa e a Trento il 35 per cento, a Padova il 34 per cento. Ne consegue che anche la decisione di restare al Nord di tanti giovani è accompagnata dall’aiuto delle famiglie nel pagare gli alti fitti. È difficile tornare, ma non è facile neppure restare in assenza di sostegni familiari, soprattutto nei primi anni dopo la laurea.

Cambiamenti economici e sociali

Una ulteriore riflessione permette di verificare che la riduzione del numero dei giovani che restano al Sud pone le basi per una società nella quale non solo i cambiamenti economici ma soprattutto quelli sociali mostreranno la creazione di ulteriori divari, una sorta di corsa all’indietro verso il tempo in cui il potere era esclusivo appannaggio dei ricchi per censo, aristocratici, professionisti proprietari terrieri o i commercianti arricchiti.
Questa corsa all’indietro verso una società più classista anche se con classi meno strutturate di quelle che esistevano nel Mezzogiorno d’Italia nel XIX secolo e nella prima metà XX secolo (sino al Secondo Dopoguerra e agli albori del Miracolo Italiano) è determinata dal fatto che in molti casi i laureati che tornano a casa dopo aver completato il percorso di studi universitari negli atenei del Nord e del Centro lo fanno perché hanno alle spalle genitori che sono nelle condizioni di accoglierli e in parte di sostenerli economicamente in attesa di lasciare in eredità i loro studi professionali o le loro aziende. I neo laureati che non hanno genitori con studi professionali o aziende avviate cercano la sistemazione, che a volte è un’avventura, nell’area geografica in cui hanno studiato e sempre più anche all’estero, rinunciando a ogni idea di tornare a casa. Perché il ritorno a casa, per chi non può contare su una rete familiare accogliente, significa nuotare nei meandri della sopravvivenza, in studi professionali i cui titolari non sono abituati a remunerare adeguatamente l’impegno dei giovani, o a cercare occupazione in aziende che spesso hanno difficoltà a garantire contratti stabili. 

Sino agli anni Ottanta del secolo scorso era più facile il ritorno a casa. La Pubblica Amministrazione aveva sempre bisogno di laureati, i quali erano pronti ad accontentarsi di un posto stabile per tutta la vita. Anche i giovani che studiavano fuori regione nelle facoltà umanistiche erano pronti a tornare per un posto di professore, perché le ambizioni puntavano al raggiungimento di uno status sociale prima che a uno status economico. Ora la Pubblica amministrazione è avara di opportunità (il politico di turno non è nelle condizioni di garantire alcunché, perché anche la sua sopravvivenza nel sistema è sempre più a rischio). Le opportunità di lavoro sono offerte spesso dalle società di consulenza, le quali a loro volta operano per conto delle Pubbliche amministrazioni ma senza dover rispettare né ciò che resta dello Statuto dei Lavoratori né altre forme di garanzia. E allora si vive in una società più fluida che non significa opportunità di crescita per tutti nella scala sociale ed economica (il famoso ascensore sociale) ma instabilità per molti e opportunità soprattutto per chi è tornato a casa dopo gli studi universitari sapendo di trovare una rete familiare di sostegno. Il censo ti aiuta a studiare, il censo ti aiuta a tornare, il censo ti aiuta anche a restare al Nord. Il censo ti aiuta ad affrontare la selezione politica. E il Mezzogiorno sempre di più si impoverisce, non solo economicamente.

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