Le Sud Est come un grand hotel: dirigenti assenti o lontani e ricchi rimborsi spese

Le Sud Est come un grand hotel: dirigenti assenti o lontani e ricchi rimborsi spese
di Vincenzo DAMIANI
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Martedì 22 Marzo 2016, 06:25 - Ultimo aggiornamento: 17:46

C’era un amministratore unico che agiva come un monarca, in assoluta autonomia; poi, un organismo di vigilanza composto dagli stessi professionisti che ottenevano sempre da Luigi Fiorillo incarichi e consulenze; e ancora: un direttore del personale che si era fatto trasferire l’ufficio nel suo appartamento a Roma, svolgendo in sostanza un telelavoro profumatamente remunerato (220mila euro all’anno). E c’era anche un dirigente che per 17 anni ha lavorato per conto del ministero, ma è stato pagato da Ferrovie Sud Est. Più che un’azienda, per molti Fse era considerata una casa: ognuno faceva quello che gli pareva, tutto ovviamente a proprio vantaggio personale. Nella relazione dei commissari emerge anche questo spaccato, oltre alle consulenze d’oro: i 2,9 milioni pagati alla famiglia Cezza per la costituzione dell’archivio, gli 83 milioni spesi per l’esternalizzazione dei servizi contabili e i 116 per i sistemi informativi, senza dimenticare i 27 milioni all’avvocato romano Schiano.
«Comanda solo Fiorillo»L’ex amministratore unico di Ferrovie Sud Est, Luigi Fiorillo, agiva come se la società fosse un’azienda privata di cui era il proprietario, si era attributo i più ampi poteri discrezionali. A metterlo nero su bianco sono i commissari di Fse. “Il sistema di governance prevedeva un’attribuzione all’amministratore unico di ampi poteri per l’amministrazione ordinaria e straordinaria della società. L’interpretazione che nel tempo l’amministratore unico sembra averne dato è finalizzata all’acquisizione della sua più ampia discrezionalità, non di rado contravvenendo non solo alla prassi della buona gestione, ma anche alle leggi e ai regolamenti”. Questo avrebbe provocato difficoltà a chi avrebbe dovuto controllare. A titolo esemplificativo, i commissari riportano alcuni casi: l’8 ottobre del 2014, “dopo innumerevoli segnalazioni e solleciti, il collegio sindacale ha invitato l’amministratore unico ad essere presente alle verifiche trimestrali di rito per permettere allo stesso di venire a conoscenza in maniera diretta ed approfondita delle problematiche e degli avvenimenti gestionali della società”. Non solo: “Il collegio sindacale ha più volte manifestato l’esigenza di porre rimedio ad alcune situazioni gestorie potenzialmente pregiudizievoli per l’equilibrio economico e finanziario di Fse”. Tra i problemi segnalati “il massiccio ricorso alle collaborazione esterne”, “l’indebitamento verso i fornitori”, i costi troppo elevati per mantenere un secondo ufficio a Roma, dove Fiorillo viveva. “Le considerazioni si qui svolte mettono in evidenza come gli ampi poteri dell’amministratore unico non siano stati adeguatamente controbilanciati da una struttura organizzativa e da procedure aziendali formalizzate in modo da garantire un’adeguata istruttoria e motivazione degli atti gestionali, favorendo così quella che sembra essersi velocemente affermata come una sostanziale illimitata discrezionalità dell’amministratore unico, spesso protetta e forse alimentata da un atteggiamento di riservatezza imposta a tutta la struttura apicale di Fse”.

Il dirigente “fantasma”
Tra i vari episodi anomali segnalati dai commissari c’è la storia di un dirigente che nel 1998 viene distaccato a Roma “presso la segreteria tecnica del ministero dei Trasporti, distacco sistematicamente rinnovato ad ogni scadenza su richiesta del ministero pro-tempore”. Nonostante per 17 anni questo dirigente abbia lavorato a tempo pieno a Roma per il ministero, Fse ha continuato a pagargli lo stipendio.

Il direttore del personale
Poi c’è la storia legata al direttore del personale: anch’egli per “motivi di salute svolgeva la propria attività da Roma”. In sostanza, Fse aveva ufficiosamente delle sedi distaccate nella Capitale. Inizialmente, il direttore del personale lavora in un ufficio preso in affitto, poi quando il collegio dei revisori fa notare che la spesa è eccessiva, anziché far ritorno a Bari, decide di restare a Roma e viene autorizzato ad operare direttamente da casa sua, munito di pc, fax e sistema di videoconferenza. Un telelavoro ben retribuito, visto che il direttore del personale percepiva 220mila euro all’anno. Ma, quando era “costretto” a raggiungere la sede di Bari, gli veniva riconosciuta un’indennità di trasferta da 98 euro all’ora. “Sembra quasi configurarsi il paradosso di una trasferta al contrario: non per recarsi fuori, ma in azienda”, scrivono sarcasticamente i commissari. Ovviamente, sia l’amministratore unico che il direttore del personale potevano contare su un autista e un’auto di rappresentanza.

Inadeguato sistema di deleghe e procedure: l’organismo di vigilanza
Per i commissari “l’inadeguatezza del lavoro svolto (dall’organismo di vigilanza, ndr) è testimoniata dallo stato stesso in cui versa la società dal punto di vista della trasparenza e della regolarità della propria attività”.

Organismo di vigilanza, però, del quale - probabilmente non per una semplice coincidenza - ha fatto parte anche l’avvocato romano Angelo Schiano: sì, lo stesso avvocato al quale è stato affidato l’intero contenzioso legale e che ha accumulato un credito di circa 27 milioni di euro nei confronti di Fse. Schiano avrebbe fatto parte dell’Organismo di vigilanza dal 2013 al 2015. Anche l’avvocato Pino Laurenzi, “destinatario di importanti incarichi di consulenza e assistenza legale”, ha fatto parte, nello stesso periodo, dell’organismo che avrebbe dovuto controllare la gestione dell’amministratore unico.

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