L'Istat lancia l'allarme: il Covid ha accentuato le disuguaglianze al Sud

L'Istat lancia l'allarme: il Covid ha accentuato le disuguaglianze al Sud
di Massimiliano IAIA
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Sabato 4 Luglio 2020, 08:49 - Ultimo aggiornamento: 15:47
L'Italia ha i livelli di scolarizzazione tra i più bassi dell'Unione Europea, e ad occupare gli ultimi posti nella classifica per regioni c'è proprio la Puglia. Tutto questo in un territorio già caratterizzato da disuguaglianze che rischiano di essere accentuate dal Covid. È tutt'altro che confortante l'ultima fotografia dell'Istat, che ha preso in esame diversi ambitì del Paese, dalle imprese all'istruzione, dalla sanità alla famiglia.

In Italia, è scritto nel report, l'epidemia «ha colpito violentemente le persone con maggiori fragilità, acuendo al contempo le significative disuguaglianze che affliggono il nostro Paese, come testimoniano i differenziali sociali riscontrabili nell'eccesso di mortalità causato dal Covid-19». «L'eccesso di mortalità più consistente si rileva per gli uomini di 70-79 e di 80-89 anni, per i quali i decessi cumulati dal primo gennaio al 30 aprile aumentano di oltre 52 punti percentuali rispetto allo stesso periodo della media 2015-2019, segue la classe di età 90 e più con un incremento del 48%. Per gli uomini più giovani (50-59 anni) l'eccesso di mortalità è del 26%». «Nel marzo 2020 e, in particolare, nelle aree ad alta diffusione dell'epidemia, oltre a un generalizzato aumento della mortalità totale, si osservano maggiori incrementi dei tassi di mortalità, in termini tanto di variazione assoluta quanto relativa, nelle fasce di popolazione più svantaggiate, quelle che già sperimentavano, anche prima dell'epidemia, i livelli di mortalità più elevati», puntualizza il rapporto.

«Uno scarso livello di istruzione, povertà, disoccupazione e lavori precari influiscono negativamente sulla salute e sono correlati al rischio di insorgenza di molte malattie (ad esempio quelle cardiovascolari, il diabete, le malattie croniche delle basse vie respiratorie e alcuni tumori), che potrebbero aumentare il rischio di contrarre il Covid-19 e il relativo rischio di morte».

Ma se preoccupa il fronte delle disuguaglianze, ancora più netto è l'allarme lanciato dal punto di vista dell'istruzione. L'Italia presenta livelli di scolarizzazione tra i più bassi dell'Unione europea, purtroppo anche con riferimento alle classi d'età più giovani nonostante negli anni la diffusione dell'istruzione sia considerevolmente cresciuta. In Italia hanno almeno un diploma quasi i tre quarti dei giovani tra i 30 e i 34 anni (+11 punti percentuali rispetto al 2009), ma nell'Ue la media è dell'84%. Ma è in Puglia, così come in Sicilia e in Calabria si osservano i valori più bassi per i laureati, quelli più elevati per la popolazione meno istruita e, insieme, i progressi minori.

In Italia, le uscite (ossia gli abbandoni) precoci dal sistema di istruzione e formazione - misurate come quota dei giovani tra 18 e 24 anni con al più la licenza media o una qualifica biennale e non impegnati in formazione - sono diminuite dal 35,1% nel 1994 al 13,5% nel 2019. Eppure in Puglia gli abbandoni restano ancora molto alti.
La didattica a distanza vede in svantaggio bambini e ragazzi del Mezzogiorno che vivono in famiglie con un basso livello di istruzione. Nel biennio 2018-2019, prosegue, il 12,3% dei minori di 6-17 anni (pari a 850mila) non ha un pc né un tablet ma la quota sale al 19% nel Mezzogiorno (7,5% nel Nord e 10,9% nel Centro). Lo svantaggio aumenta se combinato con lo status socio-economico: non possiede pc o tablet oltre un terzo dei ragazzi che vivono nel Mezzogiorno in famiglie con basso livello di istruzione. Il 45,4% degli studenti di 6-17 anni (pari a 3 milioni 100mila) ha difficoltà nella didattica a distanza per la carenza di strumenti informatici in famiglia, che risultano assenti o da condividere con altri fratelli o comunque in numero inferiore al necessario. Svantaggi aggiuntivi per i bambini possono derivare dalle condizioni abitative.

Infine, le difficoltà di conciliazione tra tempi di vita e di lavoro pesano soprattutto sulle donne. Il 38,3% delle madri occupate e il 42,6% se con figli da 0 a 5 anni modificano orario o altri aspetti del lavoro per adattarli agli equilibri familiari, mentre i padri lo fanno in misura molto minore, rispettivamente 11,9% e 12,6%». Se i nidi e i servizi integrativi, «tradizionalmente strumenti di conciliazione», rivestono «una importante funzione educativa e quindi un ruolo nella riduzione delle diseguaglianze tra bambini», l'offerta di servizi per la prima infanzia, «carente e diseguale sul territorio, svantaggia le donne scoraggiandone la partecipazione e i bambini che non frequentano il nido perché costoso o non disponibile». Lo svantaggio, nemmeno a dirlo, ricade soprattutto sui bambini delle famiglie meno agiate e sul Mezzogiorno.
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