Giustizia & favori, l'inchiesta/ L'importanza del garantismo, le esigenze di trasparenza

Giustizia e favori: l'inchiesta della Finanza sulla sezione Fallimentare
Giustizia e favori: l'inchiesta della Finanza sulla sezione Fallimentare
di ​Rosario TORNESELLO
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Mercoledì 31 Maggio 2023, 14:43 - Ultimo aggiornamento: 23:44

Quante cose urtano contro l’ideale di giustizia in quest’ultima inchiesta che ora costringe ai domiciliari un magistrato, il suo compagno avvocato e tre commercialisti? Quali malaffari e malcostumi, ancorché solo presunti, indignano di più tra i tanti descritti come accaduti dentro e attorno a quel mondo complesso – ed evidentemente permeabile ad alcune pulsioni e tentazioni – in cui, nei Tribunali, si decidono le sorti delle persone e delle aziende, dei loro patrimoni, della dignità e credibilità di ciascuno? E quando finirà, se le ipotesi di accusa rispondono a verità, questo misero gioco al ribasso (la vicenda Palamara insegna, ma non emenda) in cui le carriere, anche le più prestigiose, in questo caso quella di un giudice, ancora una volta, debbono sottostare alla raccomandazione, alla sponda del potente di turno, al meccanismo perverso dello scambio di favori?

L’inchiesta di Potenza sulla Sezione commerciale e fallimentare del Tribunale di Lecce (ma in passato storie simili hanno travolto identici uffici in altre parti della regione, giusto per sottolineare il problema insito nel tema) ha un pregio che svela un difetto.

E questo al netto della presunzione di innocenza dovuta a tutti: alcune misure cautelari sono state emesse, altre sono state negate, ma queste con immediato annuncio di appello dalla Procura. Il corso della giustizia sul contestato giro di nomine e consulenze in cambio di orologi, viaggi, preziosi e altre prebende non è di certo all’inizio – le indagini infatti vanno avanti da tempo – ma l’inchiesta non ha ancora affrontato un solo grado di giudizio. Al momento nessun colpevole. E fin qui pace. Ma in questo caso, come in altri analoghi, la riflessione non ha bisogno della giurisdizione. Sicché qualcosa si può già dire.

Il pregio, intanto. La magistratura ha in sé gli anticorpi necessari e sufficienti per accertare anche al proprio interno l’eventuale commissione di misfatti di vario ordine e grado. Sotto il profilo delle garanzie, nulla da dire: la verifica affidata all’inchiesta penale dovrebbe porre al riparo da qualsiasi dubbio su correttezza e imparzialità. E questa vicenda – così come altre, clamorose se non di più – dimostra e conferma un elemento evidente: il rapporto di colleganza non inficia in alcun modo la verifica imposta dagli indizi prima ancora che dai fatti. Nessuna paura dello scandalo, neppure davanti alla consapevolezza del discredito che potrebbe derivarne per l’intera categoria, molto lontana dal consenso di massa di qualche anno fa. Fare il proprio lavoro senza timori di sorta – e farlo bene – favorisce la credibilità. Non ci sono altri metodi. Vedremo come andrà a finire.

E poi, però, il difetto. La ricorrenza di inchieste simili (a Lecce come altrove, ma quanti casi?) solleva non pochi dubbi intorno ad alcune circostanze che evidenziano una imperfetta tenuta del sistema. La selezione all’ingresso, i meccanismi interni di controllo, le procedure di verifica delle attitudini, il percorso disciplinare, il sistema delle correnti che ancora sovrintende all’organo di autogoverno della magistratura nonostante la recente riforma elettorale: sono tutti elementi su cui rischia di innestarsi una perversa spirale del potere anche nell’ordinamento giudiziario. Degenerazioni vere e accertate o, come nell’ultimo caso, solo presunte e tuttavia fondate su parole e situazioni che, seppure non dovessero testimoniare il malaffare, di certo incarnano un evidente malcostume. E poi, infine, altro difetto: l’eccessiva permeabilità di alcuni settori, dove la discrezionalità degli incarichi e le caratteristiche proprie delle procedure diventano la leva su cui alcuni finiscono per agire con obiettivi tutt’altro che commendevoli.

Ecco: il pregio svela il difetto. Ed è l’ennesimo inciampo che solleva non poche perplessità e impone di trovare al più presto rimedio. Non solo a salvaguardia dell’onorabilità di un organo costituzionale che fonda il proprio prestigio sull’onestà e sul senso del dovere, per alcuni fino all’estremo sacrificio, della stragrande maggioranza dei suoi rappresentanti. Ma anche (e in particolar modo) a garanzia di tutti noi. Che in quell’autonomia e in quell’indipendenza crediamo di avere, e di fatto abbiamo, la tutela e la difesa da qualsiasi forma di abuso e sopruso. Anche se talvolta si manifestano come sottospecie degenerata e inattesa, perniciosa e perciò ancor più dolorosa, dell’uno e dell’altro. Casi limitati, per carità, anche prescindendo dall’ultima inchiesta, ancora da definire. E tuttavia troppi.
 

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