Mare, concessioni, parcheggi: le sabbie mobili del turismo, tra ritardi e incertezze

Mare, concessioni, parcheggi: le sabbie mobili del turismo, tra ritardi e incertezze
di Rosario TORNESELLO
5 Minuti di Lettura
Venerdì 10 Maggio 2024, 15:05 - Ultimo aggiornamento: 22:13

L’estate rischia di coglierci ancora una volta impreparati. La spiaggia come punto di approdo di molteplici interessi diventa anche la prova della nostra (in)capacità di governare lo sviluppo e l'appartenenza al mondo contemporaneo, vasto e complesso, senza affondare nelle sabbie mobili dell'inconcludenza. Nonostante tutto – l'Europa, il mercato unico, l'ambiente, il cambiamento climatico e così via – a fare presa, ancora una volta, è il metodo discutibile. In questo modo i problemi si avvinghiano più alle soluzioni di comodo che al rispetto delle regole (e se non delle regole, degli impegni presi).

Gli stabilimenti balneari, ad esempio. La Bolkestein – in altre parole: la disciplina europea della concorrenza – diventa il terreno di scontro tra opposti interessi. Le norme dell'Unione sono chiare: le concessioni devono essere aperte alla competizione sovranazionale, e quindi messe a gara. Poi spetta agli Stati membri disciplinare la questione, prevedendo modi e forme per tutelare gli interessi in gioco. Inclusi quelli degli attuali titolari, che hanno investito somme importanti o che – al contrario – non possono farlo perché nell'incertezza totale è difficile rischiare capitali senza prospettive di remunerazione. Ma la legge non arriva e a Roma si accapigliano sulla scarsità o meno del "bene litorale": inesistente per la commissione incaricata dal governo, secondo cui c'è abbondanza di luoghi e quindi nessun bisogno di procedure competitive sugli stabilimenti già assegnati; conclamata, al contrario, per il Consiglio di Stato, ad avviso del quale i tratti esistenti devono essere messi sul mercato.

Alla fine i vari Tar si pronunciano in prima istanza caso per caso, col risultato che la matassa, invece di dipanarsi, si ingarbuglia ancor più.

E poi le strutture a servizio del mare. Prime tra tutte, i parcheggi. Col litorale già preso d'assalto, perché da queste parti – al di là di tiepide indecisioni meteo degli ultimi periodi – l'estate quando arriva arriva, senza aspettare la canonica data di giugno: spiagge, scogliere e calette sono ormai alquanto affollate. Né sappiamo, neanche quest'anno, come andrà a finire il tira e molla sulle aree di sosta tra enti mossi da obiettivi diversi: la Sovrintendenza da una parte, i Comuni dall'altra. Eppure il paesaggio dovrebbe stare in cima ai pensieri di tutti in una zona che fa della sua bellezza, e in particolare di quella fronte mare, il principale brand e il primo catalizzatore di interessi, presenze e insediamenti lavorativi. Così lungo due perle della costa pugliese, versante ionico il primo – Gallipoli – e adriatico il secondo – Melendugno –, la contrapposizione finisce col precludere l'uso delle aree di sosta individuate, perché molto invasive e poco rispettose dell'ambiente. Tutto questo fino al prossimo vertice. La settimana entrante.

Ritardi, problemi, disagi. Poi, per carità, i dati ufficiali parlano di un'economia in salute: un'occupazione mai così alta in Italia; un Pil mai così florido in Puglia (al punto da fare invidia per il periodo 2020-23 a tutti i paesi del G7 prossimi graditi ospiti, Usa esclusi). Il punto è che una questione così importante, nevralgica e strategica, è affidata a logiche diverse: alcune di tornaconto politico, altre di interessi spicci di bottega. Ne deriva che la risorsa mare, unita all'inestimabile tesoro dell'ambiente, entrambi delicati e decisivi per il sistema economico-culturale della Puglia, sono affidati a percorsi tortuosi. Che si traducono, da un lato, in procrastinazioni (quando non vere e proprie elusioni) di scadenze assertivamente perentorie, vedi la Bolkestein; dall'altro, in corse a ostacoli, rincorse e improvvisazioni. Quasi che – come nel caso dei parcheggi a servizio degli arenili, ma anche in quello dei limiti imposti dall'erosione costiera: altro flagello – gli interventi in extremis possano legittimare condizioni eccezionali di proroga. Tipo: "dai, ancora quest'anno, il prossimo si vedrà". E avanti così. 

Di questo passo, il salto di qualità tarderà ad arrivare. Il settore proverà a barcamenarsi – alcuni operatori benissimo, altri molto meno – tra attese e incertezze. E i lavoratori cercheranno altrove condizioni migliori d'impiego. Perché – depurato il mercato dagli effetti distorsivi, presunti o reali, del reddito di cittadinanza – anche quest'anno si ripropone un ormai consolidato male di stagione: la mancanza di addetti per le strutture ricettive e turistiche, dai camerieri e dai baristi fino agli animatori e agli chef. I sindacati lamentano la scarsità di tutele e il mancato rispetto dei contratti; gli operatori rispondono con la scadente formazione professionale e la debole propensione al sacrificio dei giovani. 

Comunque sia, il problema resta. Enorme. Mancata programmazione, insufficiente addestramento. E discutibile – diciamo così – sensibilità verso la tutela dei beni paesaggistici. Detto questo, restiamo una delle mete più ricercate e apprezzate. Il punto è proprio qui: che bello sarebbe se fossimo anche solo un po' meno improvvisati. 
 

© RIPRODUZIONE RISERVATA