Nessuna usura, appropriazione indebita, nessuna truffa. Quindi nessuna irregolarità nell’iter di concessione di un mutuo alla società del presidente del Taranto calcio. Ma c’è di più: i dirigenti della Banca popolare pugliese, ritenendosi ingiustamente accusati, hanno formulato querela per calunnia. E ora l’imprenditore Massimo Giove – insieme ad Anna Albano, entrambi di Taranto – rischia il processo in virtù di una richiesta di rinvio a giudizio della Procura. I due sono stati denunciati dai manager della banca, tutti assistiti dall’avvocato Massimo Manfreda e Giuseppe Dell’Anna Misurale, che sono quindi passati da imputati a persone offese e potranno eventualmente costituirsi parte civile all’udienza preliminare.
Cosa è successo
La vicenda è lunga e complessa. Giove è coinvolto nella sua qualità di titolare dell’azienda Enetec. Albano è la precedente amministratrice della società e per l’accusa «consapevole dei fatti in quanto firmataria dei contratti di mutuo e costituitasi parte civile» nell’altro procedimento penale, per cui c’è stato proscioglimento.
Avrebbero accusato «falsamente», sapendoli innocenti, dei reati di appropriazione indebita e truffa Vito Antonio Primiceri, di Matino, Carmelo Caforio, di San Pietro Vernotico; Vitoantonio Vinci, di Gallipoli; Antonio Costa, di Lecce; Alberto Petraroli di San Pietro Vernotico, rispettivamente presidente della Banca popolare pugliese e membri del comitato esecutivo, nonché Roberto Scudella, in qualità di quadro direttivo.
L'inchiesta
L’inchiesta per calunnia è del pm Francesco Ciardo. La richiesta di rinvio a giudizio risale alla fine di maggio. L’udienza preliminare è fissata per il prossimo 22 settembre a Taranto davanti al gup Benedetto Ruberto.
«È risultata smentita - si legge nella denuncia - tutta la ricostruzione compiuta da Eentec e dai suoi legali rappresentanti». E ancora: «Nell’atto si sosteneva la sussistenza di interessi usurari» e in virtù di questo era stata chiesta l’emissione di un provvedimento di sospensione dei termini di scadenza dei debiti.
Per le accuse avanzate da Giove, a quanto viene specificato, il pm aveva esercitato l’azione penale. La vicenda è stata affrontata dinanzi al Tribunale che ha altresì disposto una perizia: «Con la perizia - era specificato sempre nella querela - si è definitivamente accertato che nel contratto di conto corrente non è rilevata usura originaria; i tassi effettivamente applicati nel corso del rapporto non hanno mai superato i tassi soglia». Dunque il giudizio si è concluso con sentenza ampiamente assolutoria per insussistenza del fatto, divenuta irrevocabile».
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