Visti da (molto) vicino/Fabio Novembre
Un genio salentino per la casa del Milan

Visti da (molto) vicino/Fabio Novembre Un genio salentino per la casa del Milan
di Rosario TORNESELLO
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Domenica 12 Gennaio 2014, 19:16 - Ultimo aggiornamento: 19 Gennaio, 18:45
LECCE - Formato maxi. Difficile pensarne altri. Grande la famiglia, grandi i progetti, grandi i traguardi. Grandi gli spazi e perci grandi le idee. Parti da una manifattura tabacchi trasformata in distesa espositiva (via tutto, tranne i muri portanti) e arrivi nel mondo, il mondo vero, anche questo modello open space: non ci sono barriere, nessuna frontiera da superare. L’arte ha spazi che i diversamente umani - privi di fantasia, orfani di poesia - neppure riescono a immaginare. Illimitati.

Tutto comincia, qui, a Copertino. Per caso. Con un militare dell’arma, Antonio, arrivato da Noci ai primi del Novecento. Che qui conosce una donna, Eugenia, si sposa e mette su famiglia. Che qui si toglie la divisa dell’Arma, apre un mobilificio. E apre all’arte. 1927. Eccoci qua. Non è vero che le terze generazioni siano chiamate a distruggere il lavoro dei nonni e dei padri. L’estro ha origini che non t’aspetti. E qui hanno lavorato sodo: dopo i fondatori i genitori, papà Mario e mamma Erminia. E ora loro. E tra loro Fabio.



Novembre. Come il cognome. Come una data ricorrente.
Il matrimonio, la prima figlia. Verde, poi arriverà Celeste. Una storia di colori, di forme, di stile. Nessuna linea essenziale, niente tracce di total black, via ogni parvenza di minimalismo. Fabio, che però è nato a ottobre, è l’architetto e designer della ricercatezza, della stravaganza. È il cappello rosso in tribuna vip a San Siro, tra Barbara Berlusconi e Adriano Galliani, la sera stonata del derby smarrito alla vigilia di Natale. Unico tocco di colore tra volti scuri (lato diavoletto), però capace col big selfie, con l’autoscatto dello smartphone, di riavvicinare i due amministratori rossoneri e strappare a entrambi un sorriso nel gelo. «Lui è così: come noi, nato e cresciuto in case grandi, in negozi giganteschi. Grandi spazi e grandi pensieri, in una terra barocca che educa alla ricercatezza, circondata dal mare e perciò con orizzonti ampi». Ecco Fabio spiegato dal fratello, Andrea, tre anni più piccolo, anche lui architetto calato nell’arte, impastato di stravaganza, ora impegnato ad allestire lo stand della Puglia al Macef, il salone della casa che apre a Milano a fine gennaio. «Soprattutto, però, Fabio è ‘nu strunzu»: sorride, butta la sigaretta e fa strada nei quattromila metri quadri di esposizione “Novembre”. L’affetto da queste parti, anche se giri il mondo, anche se crei eventi, pure se modelli la fantasia, ha espressioni semplici. Immediate. D’effetto. «Però non lo scrivere, cos’è Fabio...». Va bene. Se proprio scappa (e scappa), saremo in due.



“Cappello rosso” è in Argentina. Starà fuori un mese. La moglie, Candela Pelizza, incantevole modella, viene da lì. La storia è nota: quattordici anni di differenza, s’incontrano per caso in un locale di Milano. Lei con amiche, lui con Carlo Capasa, altro salentino doc, amministratore di “Costume National” e fratello di Ennio, il creativo della maison. Fabio punta una del gruppo, Carlo gli consiglia di spostare lo sguardo e cercare meglio. E ha ragione. Il matrimonio quattro anni dopo, quando Fabio chiude il capannone milanese - ex aeroplani Caproni - dove vive, lavora e fa vita da scapigliato. Candela vuole una casa vera, non una “comune” («un problemone - spiega Andrea - perché Fabio “è” la comune: si sta tutti assieme. Sempre. Una cosa da litigarci, a volte»). La casa, dunque. Lui la compra in via Perugino. Ci annette lo studio. Crea una dépendance per gli amici. Insomma, ripristina lo spazio allargato come piace a lui, ma con gli ambienti separati come piace a lei. Matrimonio a Las Vegas il 30.11.03, scritto così perché lei vuole la data palindroma (la successiva avrebbe richiesto non poca pazienza: 01.11.10, comunque necessariamente novembre...). La tatuano assieme sull’anulare. Giro in elicottero sul Grand Canyon et voilà il viaggio di nozze, dopo il pranzo nuziale con hamburger. In tre giorni tutto è compiuto. Si ritorna a Milano. «Candela - spiega Andrea - è l’unica capace di tenergli testa. O almeno ci prova. Fabio è un tipo così, schietto. È insieme empatia ed anarchia: quello che deve dire lo dice. Sapessi quanti lavori manda all’aria, sceicchi o magnati che siano i committenti: se sono ricchi e cafoni non c’è prezzo che tenga e arrivederci. Lui è così. Io dico che è un talebano, un integralista: una visione etica e morale del lavoro e della vita. Una concezione differente dell’esistenza, come un ordine prestabilito: per lui il matrimonio è per sempre, io sono alla vigilia del terzo. No, non è un mediatore: o bianco o nero». Anche quando dipinse di notte la facciata del Politecnico di Milano, primi anni Novanta, e la fece rosa con un cuore rosso al centro, non fu per indispettire ma per squarciare il grigiore di una Milano neppure più tanto da bere. «Passò la notte in Questura - taglia corto Andrea - perché i primi ad “ammirare” l’opera furono i poliziotti della Digos. C’è poco da fare: Fabio o lo ami o ti sta sul....». Ok. Va bene. Messaggio ricevuto.



L’ultima opera è per il Milan. Nuova sede, da via Turati a via Aldo Rossi. Trasloco storico, dopo 47 anni (gli stessi dell’architetto, per chi tiene alla cabala). Barbara Berlusconi stravede per Fabio. Oltre alla ristrutturazione degli uffici, il designer ha già curato la mostra sui rossoneri alla Triennale di Milano e la copertina di “Seconda pelle”, il volume sulle maglie indossate dalla squadra più titolata al mondo dal 1899. Alla presentazione, accanto a Ricardo Kakà e Franco Baresi, due capitani che sono pezzi di storia, anche lui. Il prossimo passo, il nuovo logo del Milan. «Sai qual è la cosa bella? Che lui da piccolo tifava per l’Inter - spiffera Andrea -. E per il Lecce, sia chiaro. Ovunque siamo, ci sentiamo in caso di vittoria dei giallorossi. Fabio da ragazzino s’è fatto anche tutte le trasferte. Poi ha smesso con le grandi e ha amato solo il buon calcio. Zeman, per dire». Ora alle squadre rifà il look.



La lady del Milan è stata sua ospite in pieno agosto. Pochi giorni, capatine da Giuliano Sangiorgi a Porto Cesareo e dai Capasa a Otranto. «Non un caso - spiega Andrea -. Loro sono i “fratelli” di Fabio». La “comune” ritorna. Anche in questo. Grande la famiglia, nove fratelli di sangue, più gli innesti dettati da simpatia ed empatia. «Con i Capasa si sono incontrati a Milano - racconta Andrea -. Anche se il termine esatto è “annusati”». Con il leader dei Negramaro è andata diversamente. Anzi: burrascosamente. «Gliel’ho presentato io a Lecce - ricorda -. Fabio era già affermato; Giuliano agli esordi. Beh, comincia una discussione intorno ai Coldplay e allo stile del gruppo che ancora un po’ e finisce male. Però da allora sono inseparabili». Fin lì non si erano mai incrociati. Eppure tra “Novembre arredamenti” e la casa paterna di Giuliano, a Copertino, su due strade parallele, corrono appena 50 metri in linea d’aria.



Il mondo per casa, il Salento nel cuore.
Il fratello la butta là: «Ha le radici nel passato, lo sguardo nel futuro». Sembra Pierangelo Bertoli, ma Andrea giura di averla pensata al momento. Per sé, invece, Fabio usa un’altra immagine: “Le gambe ti si allungano se fai il passo più lungo”. Calzante, non solo per l’inevitabile coinvolgimento dei piedi. Poche parole, molti fatti. E forse per questo, alla fine, prevale su tutto quello che papà Mario diceva a loro e agli altri figli. “Fate quello che volete, basta che vi piace”. A noi della “comune degli estimatori” piace. Moltissimo.



Decima puntata - negli incontri precedenti:


- Paolo Perrone

- Dario Stefàno

- Roberta Vinci

- Massimo Ferrarese

- Elenonora Sergio

- Mario Buffa

- Antonio Conte

- Giuliano Sangiorgi

- monsignor Filippo Santoro



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