Visti da (molto) vicino/ Leo Ferrarese:
«Vi presento il mio Re Mida»

Visti da (molto) vicino/ Leo Ferrarese: «Vi presento il mio Re Mida»
di Rosario TORNESELLO
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Domenica 17 Novembre 2013, 18:26 - Ultimo aggiornamento: 25 Novembre, 14:52
LECCE - Ha imparato a non aver paura di volare, e non metafora. In compenso soffre ancora di vertigini, e anche questo non per dire. Stare in cima alla massima serie di basket, la Lega A (che poi vuol dire Montepaschi Siena, Granarolo Bologna, Emporio Armani Milano, brividi e canestri...),

dà di suo capogiri. Starci con patologia specifica deve essere sofferenza autentica. Lui, monsieur le patron, non si cura del malessere e guarda oltre. Play off, magari. Che poi vuol dire Europa, insomma. Spostare in su l’asticella mitiga il disagio: c’è sempre un luogo, più in alto, da raggiungere, da sperimentare. Intanto oggi si va a Varese a fare i conti con Cimberio. Sfoderare corno, bicorno, amuleti e talismani, please. La capolista merita più di un augurio. Se va male, sia: diremo che l’Enel Basket non può essere sempre epica, come pure è stata. Se va bene, meglio: sarà anche merito di questa paginata, un po’ gaudente e molto ruffiana.

Lui è Massimo Ferrarese. Il “gancio” che “sgancia” e tratteggia retroscena, invece, è il figlio, Leo. Leo da Leonida, come il padre del padre, bancario. In questa storia i destini si incrociano e i nonni ritornano. Chiacchierata nella sede dell’“azienda che costruisce le aziende”, la Prefabbricati Pugliesi, tra Manduria e Oria, impiantata nel 1980 da Simeone D’Antona, il padre della madre, Giuliana. Si entra negli uffici col sole, si esce col diluvio. Il ragazzo, 25 anni, è lì al lavoro da poco, da giugno. Poltrona e scrivania accanto a quelle di cotanto genitore, una porta scorrevole a unirli e, all’occorrenza, separarli. Il giovanotto è un marcantonio che si è formato fuori: laurea in Economia bancaria a Roma, stage prima a New York (da Salvatore Ferragamo) e poi a Milano (G6 Retegas), infine il rientro. «Sono meteoropatico, il grigio del Nord mi intristisce». Come il gilet che indossa. Come il cielo che ci sovrasta. L’aria di casa, evidentemente, può di più.



Figlio di papà? «È così, non ci posso far nulla. Dovrò sempre dimostrare di essere bravo al di là del cognome. Mi do cinque anni per creare qualcosa di mio. Vorrei vendere prodotti nel mondo. Cina, Australia... Con questo lavoro, invece, se tieni d’occhio i costi di trasporto non puoi superare un raggio di azione di 300 chilometri». E il patronimico li copre tutti. Abbondantemente. Proviamo l’affondo: Giovannino Agnelli fu spedito alla catena di montaggio, in incognito, per capire dal basso come funzionasse la Piaggio. Tuta e berretto. «Anche mio padre lo ha fatto con me - ricorda Leo -, ma ero studente, avevo 16 anni e preso l’ennesimo debito in Fisica. Luglio e agosto in produzione, fortuna che a ferragosto l’azienda chiuse». Non proprio la stessa cosa, più espiazione che iniziazione, ma almeno...

Papà, dunque. Lui lo chiama “Re Mida”. E ti credo. «È incredibile: tutto quel che tocca lo trasforma in oro. Così l’azienda, così la squadra di basket...». La Provincia, però, l’ha mollata in mano al commissario. «Alt: l’ha dovuto fare. Anche l’avventura politica è legata a una passione...». Pensavamo al senso degli affari... «Passione. A differenza di molti, di troppi, lui non campa di politica. Tutt’altro: sostiene, con Noi Centro, una squadra che in Puglia conta 140 tra consiglieri, amministratori locali e dirigenti». La Provincia, dicevamo. «Già. Quando da Roma hanno tagliato i fondi, sottratto competenze, ventilato soppressioni e accorpamenti, lui ha lasciato: non poteva ristrutturare una scuola, sistemare una strada, niente. E lui a far niente non è capace. Così ha salutato». In famiglia hanno tirato un sospiro. Il ragazzo era fuori, all’epoca. La sorella, Iride, due anni più grande, no. Troppe attenzioni. Tensioni. Leo taglia corto: «Essere nell’occhio del ciclone non è agevole. Prima si viveva meglio, molto meglio». Se lo dice lui...

Ripartiamo. Un padre spesso fuori per lavoro, ma presente con i suoi princìpi. Il dovere, innanzitutto. Poi il piacere. E cioè il basket. Va bene su entrambi i fronti. L’azienda che pare aver superato la crisi (le auto parcheggiate fuori testimoniano lo stato di salute e 150 lavoratori: «Mai così tanti»).



La squadra che sovrasta i colossi del basket.
Le soddisfazioni riscaldano il cuore. E anche la voce, evidentemente: Massimo Ferrarese ci ha preso gusto, così mercoledì e giovedì s’è chiuso ancora una volta in sala incisione con Al Bano, a Cellino. Nuovo cd, dopo quello del 2008 (“Al Massimo”). Ventimila copie vendute, allora. Tutti i ricavi in beneficenza. Adesso si punta al raddoppio. Presentazione del nuovo lavoro l’8 dicembre. Difficilmente l’evento oscurerà l’altro cui tutti pensano: l’elezione del nuovo segretario nazionale Pd. In compenso, qui l’intento è solidale. Al massimo, almeno.



Dunque, il “Re Mida”.
«Il segreto del suo successo? La capacità di intessere relazioni». Qualche volta anche di troncarle, ma questa è un’altra storia. «Si è sposato con mia madre nell’86 - racconta Leo -; è entrato nell’impresa di mio nonno nel ’92, come ragioniere». La biografia è terreno di battaglia. Chi gli vuol male lo punzecchia: l’Università, l’azienda del suocero. «Sì, papà un po’ si infastidisce. Ma si inorgoglisce anche: ha realizzato tutto da solo, con le sue forze. È vero, non ha preso la laurea ma ha fatto 18 esami di Giurisprudenza a Bari. E aver perduto i genitori a 18 e 19 anni gli ha imposto di pensare subito al lavoro. Quando nel ’96 diventa amministratore della Prefabbricati, mio nonno materno era morto da poco. L’azienda era in stallo. Lui in due anni decuplica il fatturato. Idem col basket: ha rilevato la squadra in B2 nel 2004, biancazzurri in zona retrocessione. In cinque anni l’ha portata nella massima serie». Quanto è costato? «Milioni. Ma va bene così. Papà voleva fare qualcosa di importante per Brindisi. Mi pare ci stia riuscendo». Al palazzetto vanno tutti, in famiglia. E in fondo la palla a spicchi è all’origine di questa storia: Massimo e Giuliana si sono conosciuti al minibasket, a Francavilla, da ragazzi. «Sono una coppia unita. Gli unici litigi, per il cibo. Lui arriva a cena affamato? lei va sul leggero. Lui vuol restare leggero? la mamma prepara fino al dolce. Per fortuna accade di rado. E quando papà decide di mettersi ai fornelli, scodella la pasta “sciuè sciuè”: pomodorini e cacioricotta». Ottima per un invito al volo (ma questa storia del tramutare tutto in oro sembra annuncio di digiuno forzato, per quanto dorato).



Infine, l’uomo.
Vanesio in dosi eco-compatibili. «Non esce di casa se non in perfetto ordine. Doccia, barba, capelli, giacca, cravatta. E 500 profumi custoditi in una teca, nel bagno, da usare secondo la giornata, secondo l’umore. Forse la sua unica mania». La paura dell’aereo l’ha superata con un corso a Bari. Le vertigini no, quelle restano. «Abitiamo al sesto piano, a Francavilla: non s’è mai affacciato da un balcone. L’ho portato a Dubai a visitare il grattacielo più alto del mondo, il Burj Khalifa, 800 e passa metri: è rimasto impalato al centro dell’ultimo piano». Non gli passerà neanche stando lassù, in cima al campionato. Meno alto delle vette arabe, ma forse più emozionante. Le trasferte è tornato a praticarle, dopo averle rifuggite causa sospiri di sconforto che una volta gli capitò di esalare per i canestri imbarcati in Laguna. Quanto agli incontri casalinghi, è sempre lì al solito posto, da dieci anni in corrispondenza della linea di centrocampo, uno dei riti pre-gara praticati con devozione religiosa. La linea, ecco. Ultimo baluardo. E pure ultimo cruccio. «Ci tenesse un po’ di più anche sotto l’aspetto fisico - chiude Leo - sarebbe perfetto». Re Mida. Col gessato che cade a piombo.
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