L'intervista al vescovo Intini: «No ai ricatti occupazionali. Lavoro e ambiente conciliabili»

monsignor Giovanni Intini
monsignor Giovanni Intini
di Antonio SOLAZZO
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Domenica 3 Settembre 2023, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 4 Settembre, 08:33

Sei mesi dal suo insediamento (datato 10 febbraio 2023) nella diocesi di Brindisi-Ostuni, le emozioni per la sua prima festa patronale nel capoluogo adriatico e il tema – sempre caldo e d’attualità – legato ai giovani del territorio. Sono questi i principali argomenti affrontati dal vescovo di Brindisi e Ostuni Giovanni Intini, con l’obiettivo di fare un resoconto della sua esperienza brindisina arrivati ormai al giro di boa del primo anno.

Monsignor Intini, come valuta l’impatto con la città e come ne ha percepito il rapporto in questi primi sei mesi?
«Ho cercato di costruire, attraverso gesti, incontri e parole, un rapporto familiare, diretto e senza mediazioni, improntato sulla fiducia reciproca nell’ascolto e facendo intuire che mi sento una persona tra le altre, senza le distanze e i timori reverenziali che si presentano quando si parla di vescovo o di persone con titoli. In questi mesi ho trovato un po’ di fatica nel creare relazioni dirette perché forse non se ne era molto abituati, ma tutto sommato c’è stata una corrispondenza a questo mio atteggiamento».
Dopo il suo insediamento, a Brindisi si sono intervallati due sindaci: prima Riccardo Rossi e poi Giuseppe Marchionna. Com’è il suo rapporto con le istituzioni?
«Il rapporto è buono perché il mio compito come vescovo è quello di costruire relazioni di stima reciproca con le istituzioni nel pieno rispetto delle responsabilità. A me non interessa tanto l’appartenenza politica di chi che si sussegue alla gestione della città, ma guardo più da vicino alla collaborazione nell’interesse del bene comune: dove si può lavorare insieme per costruire qualcosa di bello per la gente, credo ci sia la disponibilità da parte mia e di tutta la comunità ecclesiale di Brindisi. Devo dire che i rapporti con le istituzioni (civili e militari) sono ottimi, di grande stima. Quando ci sono stati gli sbarchi dei migranti, il Prefetto mi ha sempre avvisato e noi ci siamo messi subito subito a disposizione. Esiste una buona sinergia, ma è vero che si può sempre fare meglio».
Uno dei temi principali da affrontare resta quello legato ai giovani del territorio. Qual è il messaggio che gli vuole lanciare e qual è la sua opinione a riguardo?
«L’attenzione ai giovani non può essere una cosa di circostanza. Ci sono dei temi su cui noi ci ripetiamo perché fanno tendenza, ma quella sui giovani deve essere invece una preoccupazione forte sia per la Chiesa che per la società. Dobbiamo porci una domanda: perché non creiamo sul nostro territorio le condizioni per permettere ai giovani di realizzarsi qui? L’obiettivo deve essere questo o, almeno, quello di garantirgli possibilità una volta rientrati dopo aver studiato fuori dalle mura di Brindisi. Si tratta del nodo cruciale. Con il progetto Policoro, in atto in tutta la Chiesa italiana, ci stiamo interrogando su questo: come possiamo favorire un’imprenditoria giovanile? Come possiamo sostenere i giovani nell’avviamento di attività? Dobbiamo guardarci intorno, abbiamo dei temi che, se coltivati, possono portare frutti. Bisogna creare una rete tra la Chiesa, le istituzioni, la famiglia e la scuola per offrire ai nostri giovani concrete possibilità.

Lo Stato, poi, potrebbe anche farsene carico economicamente, dando loro credito e accompagnandoli in questo percorso che potrebbe diventare un importante investimento».

In Italia in generale, ma a Brindisi più nello specifico, esiste un eterno dilemma: quello tra la tutela del diritto al lavoro che puntualmente si scontra con l’esigenza di salvaguardare l’ambiente. Qual è la sua posizione e qual è, secondo lei, l’equilibrio da raggiungere?
«Il lavoro non può diventare un ricatto. Lavoro e ambiente devono andare insieme, ci sono le possibilità per farlo, grazie a tecnologie che sono molto avanzate. Forse bisogna rinunciare a qualche profitto, il vero totem che a volte porta a mettere le persone di fronte all’aut-aut: o il lavoro o l’ambiente. Noi dobbiamo dire no, bisogna fare entrambe le cose. Il lavoro porta dignità, benessere e serenità a una comunità cittadina, mentre la tutela dell’ambiente resta una priorità. Bisogna creare una cultura diversa, educare e accompagnare».
In questi giorni Brindisi celebra i suoi santi patroni Teodoro e Lorenzo: è la sua prima festa patronale come vescovo della diocesi di Brindisi-Ostuni. Quali sono le sue emozioni e, soprattutto, qual è il senso di questa festa per il capoluogo adriatico?
«Vivo questa prima festa con una certa emozione e con il desiderio di conoscere, vedere ed entrare nello spirito del luogo relativo a queste celebrazioni. Si tratta certamente di un’occasione di svago ma non si deve perdere il senso per riflettere e capire che occorre il contributo di tutti per andare avanti e costruire qualcosa di nuovo. Dal punto di vista religioso, abbiamo riscontrato grande volontà di incontrarsi nel nome di san Teodoro: questa può essere per la chiesa di Brindisi una possibilità di costruire relazioni ecumeniche fondate sulla riflessione teologica e sulle relazioni di amicizia. Ricordando san Lorenzo da Brindisi, invece, c’è un leggero velo di tristezza ricordando i nostri frati cappuccini che, dopo tanti anni di presenza in città, andranno via per mancanza di vocazioni che li costringono a lasciare qualche realtà, ma san Lorenzo resta un gigante nel campo della spiritualità che diventa il fondamento per l’azione».

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