Brindisi capitale, i giorni del re in città: una disputa storica che ancora divide, da ottant'anni ad oggi

Il re Vittorio Emanuele III a Brindisi
Il re Vittorio Emanuele III a Brindisi
di Mimmo TARDIO
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Domenica 10 Settembre 2023, 17:53 - Ultimo aggiornamento: 19:28

Esattamente 80 anni fa, era il 10 settembre 1943, Brindisi diventava capitale d’Italia. Al netto delle scontate dispute storiche, considerando che di fatto era la capitale del regno del sud, l’Italia ancora in guerra dopo l’armistizio del’’8 settembre 1943, mentre dalla Campania e sino al nord ancora di lì a poco avrebbero scorazzato i nazisti ed i repubblichini protofascisti della repubblica di Salò, di fatto Brindisi fu la capitale ufficiale dell’Italia liberata e sede del governo italiano.

Un anniversario che ancora divide

A dirla tutta, la nostra terra, Salento e Puglia in generale, fecero le prime prove d’una rinascita democratica e di effervescenza politica ed ideale, si vedano i congressi sindacali, gli incontri politici, insomma la ripresa della vita libera, che proprio nella nostra terra rinacque. Punto e basta. E lo fu, sempre al netto delle disinformazioni sin troppo diffuse, anche strumentalmente per diminuirne il valore, ( “è stata capitale per 1 giorno!”, ancora in molti, anche “acculturati” dicono), sino all’11 febbraio 1944.

L'arrivo del re e la nuova capitale

Le storie. In quel 10 settembre, era un classico pomeriggio settembrino, venerdì, “tiempu ti fichi”, l’Ammiraglio Luigi Rubartelli era stato a lungo a pensarci su, se quel messaggio sibillino ricevuto in codice, sull’arrivo a Brindisi del Ministro della guerra, il conte Raffaele de Courten fosse vero. Poi a fugare i suoi dubbi fu un particolare che solo tra pochi il ministro sapeva, suo vecchio compagno all’Accademia navale di Livorno, ovvero dell’appellativo a lui riservato, “Buttiglione”, che i compagni di corso gli riconoscevano. Però quando il quel fatidico 10 settembre spuntò già annunciata l’imbarcazione corvetta “Baionetta”, con l’incrociatore “Scipione l’Africano” nel porto brindisino, Rubartelli, poi salito a bordo, si trovò davanti, oltre al ministro, anche il re Vittorio Emanuele III, la regina Elena ed il principe Umberto, attorniati dal capo del Governo Pietro Badoglio e da uno stuolo di ministri, per poco non gli pigliò un colpo.

Un periodo tragico

Il Re con i suoi soliti modi ruvidi e sbrigativi chiese subito all’ammiraglio se a Brindisi vi fossero ancora i tedeschi e se persistesse pericolo di mine. Rassicurato fece per scendere, col suo seguito, ma per fortuna Rubartelli aveva fatto appena in tempo ad inviare un marinaio ad avvisare la sua famiglia di sloggiare dal Castello di terra, loro momentanea abitazione, visto che ne prendevano possesso il Re ed il Governo. Questa è la prima sequenza di questa ricostruzione narrata qui, altre seguiranno, tutte da inquadrare in un puzzle che come in un piccolo caleidoscopio raccontano comunque quei tragici mesi. Perchè è incontrovertibile che, per l’Italia, già sconvolta dai bombardamenti degli alleati e dall’occupazione violenta nazi-fascista, dalle notizie della nostra ormai certa disfatta in guerra, che quel che seguì alla firma dell’armistizio il 3.9.1943 a Cassibile in Sicilia e poi alla colpevole pubblicizzazione della sua firma, a mezzo radio e all’insaputa del nostro esercito e di tutti fatta l’otto, diede origine al più terribile e tragico periodo per il nostro paese, non solo del Novecento. E forse la poco opportuna fuga, di questo si trattò: punto e basta!, dei reali e del governo da Roma verso Brindisi, passando per Ortona/Pescara, senza prima pensare almeno ad organizzare minimamente l’esercito italiano ed il paese, nel suo complesso, insomma “alla sicurduna”, è stata una di quelle scelte storiche che da allora peseranno sulla storia del paese.

L'errore strategico del re

Basterebbe aggiungere, da quel che poi se ne è saputo, che pare che Umberto di Savoia, che si sentiva anche militare, aveva frequentato l’Accademia navale della Nunziatella, avesse chiesto al padre di autorizzarlo a raggiungere i monarchici, militari e non, che si sapeva erano confluiti già nella Resistenza. Vittorio Emanuele III oppose un no categorico, poco lungimirante, se è vero che sicuramente se Umberto si fosse messo alla guida dei monarchici che combattevano il nazi fascismo, le quotazioni per la Monarchia sarebbero state più alte, quando il 2 giugno 1946 gli italiani scelsero la Repubblica, che vinse con 12 milioni di voti contro i 10 milioni e 800 della Monarchia.

La Monarchia era già molto compromessa, chissà se quel non non abbia pesato…La fuga comunque acuì alla grande le tragedie per gli italiani.

I rapporti con i locali

Ecco perchè, per esempio, come racconta il bravissimo storico locale brindisino Antonio Mario Caputo, si ebbe il caso a Brindisi dell’incontro prima ruvido e poi più “diplomatico”, tra “Mestru Cosimu Selicato”, valente meccanico d’auto operante al centro della città capoluogo ed il Re d’Italia. Si racconta che il maestro scarabocchiasse certi suoi appunti in officina, quando un suo collaboratore, Ventura Mangiullo, gli comunicò “sta vvau, m’annu chiamatu pi nna riparazione”, al quale sovrapensiero Selicato ribatte : “non ffa’ tardi!”. Il problema all’auto riguardava addirittura quella di Vittorio Emanuele III e quando l’operaio si era messo al lavoro da ormai sin troppo tempo fu Selicato poi ad accorrere e visto che era “ti lu re”, prima gli scapparono certi sapidi e irripetibili moccoletti, non proprio benefici, nei confronti del sovrano, poichè lo aveva associato subito al figlio disperso in guerra; salvo poi quando il re “sciaboletta” si erse, si fa per dire in tutta la sua maestà in piedi, scendendo dall’auto, il buon maestro, con troppo italica ipocrisia, scattò in piedi e disse: “Cce cumanni assignuria maestà?”.

La fine delle leggi razziali

E come non ricordare poi quell’agente portato a Brindisi col seguito reale, Dick Mallavy, inglese, che a nome degli alleati, 007 ante litteram, con la sua potente ricetrasmittente comunicava ai comandi angloamericani le mosse di re e governo? E se a Bari nasceva la mitica “Radio Bari”, con l’aiuto degli alleati, (si ricordi questo periodo ripensando al grande film di Alberto Sordi con Monica Vitti, “Polvere di stelle”), a Brindisi si stampava la Gazzetta ufficiale delle leggi presso la vecchia tipografia Ragione. Nella città capoluogo si mise fine ufficialmente, per legge, all’infamia delle leggi razziali, contro gli ebrei del 1938; qui venne dichiarata finalmente ed ufficialmente guerra, troppo tardi, contro i tedeschi, considerato che loro la iniziarono subito e sin troppo cruenta e soprattutto contro le popolazioni civili, appena sentito il comunicato radio sull’armistizio dell’otto settembre.

L'amore per la regina Elena

E a Brindisi e nella nostra terra anche le piccole ed a volte anche tenere storie acompagnarono quesi mesi. La vita, si sa, alterna, anche nel corso delle bufere più terribili, storie tragiche a storie più edificanti. Come fu quella, ad esempio, della bravissima Regina Elena, da subito amata a Brindisi e dintorni, per il suo umanitario filantropismo: si recava a portare conforto e doni presso le orfanelle e negli ospedali, costruiva da sola bambole per i figli dell’Ammiraglio Rubartelli e si concedeva pure qualche vezzo. Amava i cappelli, per cui individuata una bellissima e brava cappellaia, dal nome dolce, ovvero Geisha Perugino, visitò il suo laboratorio, al centro di Brindisi, la invitò al castello Svevo e lei stesso disegnò dei vezzosi cappellini “ a cloche”, sui modelli che la sovrana aveva ammirato sulla stampa della famosa modista francese Caroline Reboux. Cappellini che Geisha realizzò con risultati bellissimi, che la Regina Elena apprezzò molto. Ancora molti anni dopo Geisha a chi improvvidamente le chiedeva quanto avesse guadagnato da questi lavori per la sovrana rispondeva, alzando sdegnosa le spalle, quasi inorridita: “Niente, ci mancherebbe, solo il grande piacere di servire la mia Regina!”. Altro che!

Sincronie storiche

Chi invece ebbe un rapporto più importante con la Regina Elena furono due freschi sposi, di Francavilla Fontana, Maria Bungaro e Totò Tardio, che poi sono i genitori di chi qui scrive e, per dirla con Baricco in “Novecento”, questa è la sua “buona storia”, senza la quale non sarebbe nata la sua famiglia. Questi avevano realizzato la loro fuitina d’amore proprio l’8 settembre ‘43, nelle campagne francavillesi e proprio questa evenienza della stessa data della fuga, per ragioni diverse, da Roma verso Brindisi, della regina e degli altri come di loro, destò la grande curiosità della sovrana. Fu quando casualmente, i due sposini in autarchico viaggio di nozze, su uno “sciarabbà”, un calesse, nei dintorni di Oria, incontrarono la Regina Elena, nei pressi di una fresca fontanina; costei chiese chi fossero ed appreso che erano scappati pure loro in quella storica data e che poi aspettavano di già un bambino, decise di passare qualche ora con loro, su un grande plaid e seduti su sedie da campo messe dagli attendenti. Si narra che la Regina sorrise molto al racconto dei due ed apparve molto più rinfrancata, tanto che esternò a Maria e Totò la grande ambascia che aveva nel cuore, pure commuovendosi: ovvero dell’arresto della loro figlia, la principessa Mafalda, che si trovava nel lager di Buchenwald, vicino Weimar. Dove poi morì nel 1944.

La storia e le storie

Alla fine del loro incontro Maria regalò alla Regina Elena una poesia di Giuseppe Ungaretti, “Veglia”, che lei aveva ritagliato dal suo sussidiario a scuola. In segno di speranza, perchè dalla guerra potesse nascere l’amore per la vita; promettendole anche che se fosse loro nata una bambina l’avrebbero chiamata Mafalda. Ed è quel che fecero. Anzi quando appresero nel 1952 della morte della Regina Elena a Montpellier in Francia decisero, Maria, Totò e Mafalda, che aveva già 8 anni, di andare in quella città francese a mettere un fiore sulla tomba della sovrana. Proprio mentre pregavano su quel simulacro il caso volle che un omone anziano ed elegante venisse verso quella tomba per mettervi, proprio in quel giorno, una grande cornice d’oro, con dentro la poesia di Ungaretti, che Maria aveva donato nel 1943 alla Regina Elena e che questo era stato un profondo desiderio di Elena di Savoia, poi affidato al suo maggiordomo personale e che questo ora esaudiva. Ecco come la Storia convive da sempre con le Storie, l’una confluente nelle altre, in un inestricabile groviglio di tragedie e e serenità. Che aspettano solo che qualcuno le racconti, per non morire. Come è accaduto oggi su questa pagina.

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