​Ucciso e il corpo non fu ritrovato: mafia, quattro arresti dopo 17 anni

Ucciso e il corpo non fu ritrovato: mafia, quattro arresti dopo 17 anni
​Ucciso e il corpo non fu ritrovato: mafia, quattro arresti dopo 17 anni
di Nicola MICCIONE
3 Minuti di Lettura
Martedì 17 Ottobre 2023, 07:00 - Ultimo aggiornamento: 08:04

Fu un lutto silenzioso quello di Biagio Genco, 32enne di Altamura scomparso il 17 novembre 2006. C'era il morto, ma il suo cadavere non è mai stato trovato.
A quasi 17 anni da quel delitto - un omicidio non plateale - i carabinieri hanno notificato un'ordinanza in carcere emessa dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bari, Giuseppe Ronzino, al 56enne Giuseppe Antonio Colonna, al 57enne Michele D'Abramo, conosciuto come «Terribile», al 61enne Giovanni Sforza, detto «Washington» e al 44enne Nicola Cifarelli, tutti di Altamura: le accuse nei loro confronti - gli ultimi tre erano già in carcere - sono, a vario titolo, di omicidio aggravato in concorso, detenzione e porto illegale di armi con l'aggravante del metodo mafioso.

L'accusa

Il corpo di «Gino» è stato fatto sparire.

Di quella persona è rimasto solo il nome. Secondo l'accusa, quel pomeriggio, proprio nel giorno del suo 32esimo compleanno, Genco fu condotto in un'Audi A4 «con l'inganno» (scrivono gli inquirenti, coordinati dal pubblico ministero antimafia Grazia Errede) in una campagna di Altamura, in via Corato, da due persone - l'ex boss Bartolomeo Dambrosio e Giuseppe Bruno, poi assolto - e fu colpito da tre colpi di fucile - l'ultimo, «per finirlo, alla spalla» - esplosi da Colonna che agì «con il supporto logistico degli altri tre» complici «che poi provvedevano a spostare e nascondere l'auto della vittima». Sforza e Cifarelli, infatti, col supporto di D'Abramo, avrebbero preso l'auto di Genco, un'Audi A6, lasciandola nell'agro di Mariotto, «per allontanare i sospetti dal gruppo di Altamura», mentre il cadavere sarebbe stato sotterrato in un campo tra Altamura e Matera da Colonna e Mario Dambrosio. Una diatriba risolta in silenzio, obbedendo a vecchie regole. Fondamentali, per le indagini, le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, che hanno consentito di individuare il movente dell'omicidio: Bartolomeo Dambrosio, mandante e allora a capo dell'omonimo clan, «avrebbe commissionato e partecipato all'omicidio per agevolare l'attività mafiosa del proprio gruppo criminale, con cui la vittima, pur avendone fatto parte, era entrato in contrasto sì da progettare a sua volta un attentato ai danni dello stesso capo clan».

Le indagini

Le indagini sulla morte di Genco, partite nel 2006, hanno avuto un punto di svolta a febbraio scorso con le dichiarazioni di Mario D'Ambrosio, indagato per il delitto in un altro procedimento. L'uomo, «oltre a confermare la sua responsabilità per l'ideazione e l'esecuzione dell'omicidio», è scritto, «forniva dichiarazioni etero-accusatorie nei riguardi» di Colonna, D'Abramo, Sforza e Cifarelli. «Un vero e proprio turning point in ordine alla ricostruzione dei fatti», si legge nell'ordinanza, confermata anche dalle dichiarazioni di altri cinque pentiti.
L'omicidio di Genco «può essere assimilato ad un'operazione di stampo militare, che ha richiesto un'attenta preparazione e una pianificazione complessa». Un delitto volto, «anche alla luce delle sue modalità, a ribadire l'affermazione di un gruppo criminale», nonché alla dimostrazione «dell'egemonia di un gruppo sull'altro» nell'eterna lotta per il controllo della Murgia. «Tutti gli indagati risultano legati a doppio filo agli ambienti criminali di Altamura», dove quel lutto è rimasto silenzioso.

© RIPRODUZIONE RISERVATA