Bari e la piazza/ Il coraggio di un Sud "altro" stufo di essere solo Gomorra

Bari e la piazza/ Il coraggio di un Sud "altro" stufo di essere solo Gomorra
di ​Oscar IARUSSI
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Domenica 24 Marzo 2024, 13:00 - Ultimo aggiornamento: 17:08

«È stato dato a questa città un supplemento di coraggio». Conciso e combattivo come sempre, Luciano Canfora ha concluso con tali parole il suo intervento di ieri mattina dal palco di Piazza del Ferrarese. Il grande filologo e storico era il primo degli oratori della manifestazione “Giù le mani da Bari. #iostocondecaro” indetta dal Partito democratico e dalla Cgil per esprimere solidarietà al sindaco del capoluogo regionale, Antonio Decaro. In migliaia si sono assiepati nella piazza d’ingresso a Bari Vecchia e di sicuro non v’erano solo i militanti del Pd o gli iscritti della Cgil, il sindacato che nel 2024 compie ottant’anni e venne a lungo guidato dal pugliese Peppino Di Vittorio. 

Di Vittorio già nell’estate 1922 – ha ricordato Canfora – fu tra coloro che respinsero l’assalto delle squadre fasciste alla Camera del Lavoro barese. È stata una festosa reazione di popolo al procedimento che potrebbe portare allo scioglimento del Consiglio comunale nel caso dovessero essere accertate infiltrazioni mafiose.

In particolare, la piazza ha contestato duramente l’iniziativa del ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, ritenendola più politica che giuridica poiché avviata soltanto poche settimane dopo i centotrenta arresti di persone ritenute responsabili di reati di stampo mafioso, tra cui lo scambio elettorale tra i clan e i partiti (fra gli indagati c’è Maria Carmen Lorusso, consigliera comunale eletta col centrodestra e poi passata con la maggioranza di centrosinistra). Una tempistica quanto meno frettolosa, secondo alcuni giuristi, per di più sul principio della campagna elettorale per le comunali. Si è ignorato, oltretutto, l’impegno antimafia di Decaro (sotto scorta da anni) attestato dal procuratore barese Roberto Rossi ai primi di marzo.


Ecco, il coraggio è una buona chiave di lettura di quanto sta accadendo e che investe l’identità stessa di Bari, della Puglia e in generale di un Sud «altro», stufo di essere identificato in una sconfinata Gomorra. Donde la risposta di ieri. Parliamo di un Sud coraggioso nel contrastare le cosche criminali, che pure non hanno mai rinunciato a esercitare pressioni sul territorio, e parimenti coraggioso nel concepire e nel concretare una città diversa e innovativa rispetto all’immagine tradizionale. Il coraggio è il segno distintivo di una baresità non corriva che ciclicamente riaffiora alla ribalta, di solito grazie a minoranze battagliere. Così accadde per i giovani azionisti e antifascisti riuniti intorno a Benedetto Croce e all’editore Laterza durante l’ultima guerra mondiale (tra i quali Fabrizio Canfora, padre di Luciano). Così per gli intellettuali dell’eresia marxista della cosiddetta «école barisienne» negli anni Sessanta/Settanta, e poi per l’accoglienza – non senza resistenze locali e nazionali – in occasione del grande sbarco degli albanesi della «Vlora» nel 1991. Ma anche Pinuccio Tatarella, barese d’adozione, ebbe il coraggio di condurre il Movimento sociale italiano oltre il neofascismo e verso una destra moderna, nonché di coltivare un profilo mediterraneo per la città di cui fu assessore alla cultura negli anni Novanta. Insomma, la Bari levantina, utilitaristica, affezionata ai denari «picche, malditt’e ssubbete» (pochi, maledetti e subito), più volte ha saputo trovare in sé stessa gli anticorpi per mitigare l’egoismo e il mercantilismo. 

Oggi Bari è una città degna di dirsi tale innanzitutto per le sue contraddizioni, che sono distintive della dimensione metropolitana «tout court». Bari calamita capitali internazionali e investimenti tecnologici, mentre perde energie giovanili in fuga; risplende sugli schermi e al contempo «si scopre» ancora preda della malavita come di violenze occasionali; è una meta turistica grazie al porto e all’aeroporto, ma ha collegamenti ferroviari decisamente non all’altezza; corteggia il futuro, eppure si attarda nel folclore delle orecchiette a mo’ di stendardo; serba il culto di San Nicola «amante dei forestieri» cruciale nel nostro tempo di guerra, però rischia la «disneyficazione» per l’eccesso di bed & breakfast o la dismisura della movida; ha restaurato quasi tutto il restaurabile e ora è attesa alla sfida di una visione condivisa per il domani che potrà avvalersi di un miliardo di euro tra Pnrr e altri fondi attirati negli ultimi anni. È una città chiaroscurale, complessa e quindi moderna, baciata dalla luce meridiana che ha incorniciato la manifestazione di Piazza del Ferrarese, irriducibile alla fosca sembianza della «Bari mafiosa» catapultata in prima pagina in questi giorni.

Ha ragione Decaro, ieri acclamatissimo, quando dice che «Bari non più è sotto il ricatto di nessuno, né della mafia né della politica». Ha ragione perché Bari è cambiata in meglio, aggiungeremmo fin dai tempi di Simeone Di Cagno Abbrescia. Lo ha sostenuto a chiare lettere l’ex studentessa fuorisede calabrese intervenuta sul palco prima del sindaco e del presidente Michele Emiliano, ricordando che una città è di chi vi nasce e di chi sceglie di viverci e di lottare per migliorarne l’identità. Coraggio, Bari, supererai anche questa prova… Ecco l’afflato della piazza.

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