Bari, il presidente della Corte d'Appello Cassano: «Ombre su alcune toghe. Ma guai a sottovalutare»

Il presidente della Corte d'Appello di Bari Franco Cassano
Il presidente della Corte d'Appello di Bari Franco Cassano
di Beppe STALLONE
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Sabato 19 Febbraio 2022, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 21 Febbraio, 13:25

L’operazione Levante, che ha portato all’arresto di 59 persone, ha scoperchiato un mondo di malaffare e di pericolose connivenze fra professionisti e crimine organizzato, tra presunti contatti privilegiati con cancellieri “amici” e giudici denigrati e messi nel mirino. Il dibattito è aperto, la riflessione necessaria. Spiega il presidente della Corte d’appello di Bari, Franco Cassano: «Bisognerebbe conoscere bene gli atti, innanzitutto. Non ci dimentichiamo che siamo nella fase delle indagini e questo significa che c’è una presunzione di non colpevolezza che non va mai dimenticata altrimenti diamo per scontato tutto. Se le cose stanno come sembrerebbe, diciamo che forse non è la prima volta che si verificano in Italia fatti del genere, purtroppo si è visto a Roma, nel Meridione sono molto frequenti. Purtroppo le professioni non sono sempre e completamente impermeabili alle lusinghe di una certa imprenditoria che a volte è pregna di malavitosità»

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«Bisognerebbe conoscere bene gli atti, innanzitutto. Non ci dimentichiamo che siamo nella fase delle indagini e questo significa che c’è una presunzione di non colpevolezza che non va mai dimenticata altrimenti diamo per scontato tutto. Se le cose stanno come sembrerebbe, diciamo che forse non è la prima volta che si verificano in Italia fatti del genere, purtroppo si è visto a Roma, nel meridione sono molto frequenti. Purtroppo le professioni non sono sempre e completamente impermeabili alle lusinghe di una certa imprenditoria che a volte è pregna di malavitosità». 
Presidente Cassano, nella sua relazione per l’inaugurazione dell’anno giudiziario ha detto che la magistratura è un’istituzione fragile. In che consiste questa fragilità?
«Anche nella magistratura ci sono stati, soprattutto in Puglia, una serie di episodi che hanno molto ferito i magistrati e l’opinione pubblica, fatti gravi che sono stati di corruzione, ma non solo.

In genere hanno dimostrato un abbassamento della percezione dei valori propri di questo lavoro. Questi episodi fanno pensare a un’istituzione che perde la percezione di sé, che non ha più la consapevolezza del proprio ruolo sociale e quindi che non ha più valori di riconoscimento forti, stabili e quindi è più fragile e si perde dietro lusinghe di altro genere. Questo discorso non va generalizzato, appartiene a infime minoranze. Però di queste minoranze ci dobbiamo preoccupare, come di un fenomeno che evidenzia una crisi di percezione dei valori della professione. Bisogna lavorare molto e di nuovo sulla deontologia, sulle basi su cui si costruisce il lavoro del magistrato, che non è fatto di mera tecnica, ma è fatto anche di spinte ideali, di consapevolezza, soprattutto anche di quelli che sono i limiti del proprio ruolo che non vanno travalicati, rispettando gli altri poteri. Quindi il lavoro del magistrato non è solo il lavoro di un tecnico, ma di un tecnico con una forte percezione del proprio ruolo sociale e con una parte ideale e deontologica molto forte. Su questa bisogna tornare a lavorare. I magistrati combattono fatti singoli non fenomeni sociali e quindi dovrebbero rifuggire da protagonismi, o dall’idea di interpretare la volontà popolare». 

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Eppure 30 anni fa, con Mani pulite, la magistratura ha svelato e combattuto un fenomeno sociale dilagante.
«Questo Paese ha due grandi problemi irrisolti. Uno è il finanziamento pubblico ai partiti che non è mai stato compiutamente realizzato e anzi è stato eliminato da un certo momento in poi, come se la politica non avesse bisogno di denaro per mantenersi. Questo lascia un problema serissimo irrisolto e spiega la crisi dei partiti popolari, la nascita dei partiti personali intono a singole figure e la necessità continua della politica di attingere a finanziamenti che non sono pubblici e diventano quasi sempre poi illegali, come se non ci fossero delle vie di mezzo fra queste due strade. Questo produce uno scontro forte con la magistratura chiamata a un controllo di legalità. Altro grosso problema irrisolto è che in Italia non c’è una burocrazia forte, consapevole e matura come in Francia o Germania quindi è un’istituzione fragile, molto debole, con retribuzioni basse che hanno facilitato una certa diffusività del fenomeno corruttivo. Anche qui la magistratura è in prima linea nel combattere il fenomeno». 
Ma si è fatto qualche passo in avanti o la situazione è la stessa di 30 anni fa?
«La corruzione c’è, ma non va più verso i partiti. Prima era un sistema che coinvolgeva partiti e burocrati, ora è un fenomeno più individuale perché non c’è mai stato un tentativo di porre rimedio a quei due problemi che dicevo prima. In Italia c’è un tasso molto elevato di corruzione ma c’è una coscienza molto più forte fra i cittadini. Ma poiché il malcontento è stato incanalato nell’antipolitica, nata negli anni ’90, è un cane che si morde la coda. Noi invece abbiamo bisogno di politica, di politica sana». 
Sono venuti meno, però, i corpi intermedi. 
«Dappertutto, anche nella magistratura, questo è un problema, non è un bene. Qualche magistrato talvolta pensa di interpretare il sentimento popolare e quindi combatte ora la corruzione, ora altri fenomeni sociali».
Non pensa che la litigiosità in seno alla magistratura abbia raggiunto un livello troppo alto? 
«Quello che si vede ora è niente rispetto al passato, solo che prima ci si divideva su come interpretare il proprio ruolo nella società oppure su come si organizzavano gli uffici, che ruolo riconoscere ai capi, insomma su problemi ordinamentali che però implicavano visioni della giurisdizione e del rapporto fra giustizia e le altre istituzioni. Venute meno le divisioni di quel tipo, il rischio e che rimangano queste correnti solo come veicoli delle ambizioni personali di qualcuno. Bisogna invece assicurare la trasparenza del dibattito, dello scontro quando c’è, farlo emergere, dargli delle conseguenze, non assopirlo. Lo scontro di per sé è buono, è dialettico. Scegliere correnti che hanno visioni diverse significa scegliere un modo diverso di esercitare la giustizia». 
Come si fa a restituire ai cittadini la fiducia nella magistratura?
«I magistrati in questo momento devono subire un’onda d’urto. Nella speranza di limitare i danni. Se la magistratura viene imbavagliata non è che la società ne beneficia. Bisogna togliere soltanto le distorsioni che si sono verificate ma non imbavagliare».

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